Come salvare l’oceano? La formula di Francesca Santoro di IOC/UNESCO: “Educhiamo i ragazzi con il gaming, e poi li portiamo sul campo”

L’UNESCO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura ha dato il via a un nuovo progetto sull’Ocean Literacy: un think tank guidato dall’italiana Francesca Santoro si occuperà di coordinare le politiche per la formazione delle nuove generazioni al rispetto dell’oceano.
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Francesco Castagna 13 Ottobre 2023
In collaborazione con Francesca Santoro Senior Programme Officer per IOC/UNESCO e responsabile a livello mondiale dell’Ocean Literacy per il Decennio delle Scienze del Mare per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite (2021-2030).

Chi lo ha detto che delle politiche ambientali se ne debbano occupare soltanto le istituzioni? Greta Thunberg aveva già smontato questo pregiudizio, creando i Fridays for Future, uno dei movimenti ambientalisti più diffusi in tutto il mondo, di sicuro quello con più partecipazione giovanile.

Ora l'UNESCO tramite IOC, la Commissione Oceanografica Intergovernativa, ha dato il via a un nuovo progetto di educazione ambientale. Nasce quindi il primo think tank dell'Agenzia delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura, che si occuperà di coinvolgere le nuove generazioni per renderle parte attiva nella tutela delle vaste distese d'acqua salata presenti sulla Terra. A guidarlo sarà un'italiana, Francesca Santoro, Senior Programme Officer per IOC/UNESCO e responsabile a livello mondiale dell’Ocean Literacy per il Decennio delle Scienze del Mare per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite (2021-2030)., che ha coinvolto per questo "esperimento" numerose figure specializzate in diversi ambiti.

"Il primo principio dell’Ocean Literacy è che abbiamo un solo, unico, grande oceano, che dobbiamo conoscere e di cui dobbiamo prenderci cura partendo anche dai fiumi che giungono al mare", spiega Francesca Santoro. "Una gestione sostenibile e rispettosa dei bacini idrografici va anche a beneficio dell’acqua del mare: quello che oggi raccolgono i fiumi domani arriverà all’oceano".

Il 2023 è stato uno degli anni più decisivi in tema di tutela del mare, con la Water Conference delle Nazioni Unite a New York l'Onu è arrivato a firmare un accordo con cui ogni Paese membro si impegna a tutelare e favorire il risanamento delle specie marine a rischio estinzione.

In un mondo fortemente colpito dagli effetti del riscaldamento globale ci sarà sempre più bisogno che le generazioni future vengano sensibilizzate alla tutela e al rispetto dell'oceano. Per questo motivo, Ohga ha contattato Francesca Santoro, con la quale abbiamo parlato di come ha intenzione di innovare e comunicare l'Ocean Literacy in tutto il mondo.

Santoro, nell'ultimo mese ha ricevuto la nomina per dirigere il nuovo think tank dell'UNESCO sull'Ocean Literacy. Come procede, a che punto sono i lavori?

In queste settimane è stata mia premura selezionare diversi esponenti preparati in materia e provenienti da tutto il mondo. Ci stiamo confrontando su come affrontare quest'importante sfida, ma soprattutto su come dare un nuovo impulso alla formazione e all'educazione all'oceano, un tema che è molto importante e che nei prossimi anni assumerà sempre più valenza.

C'è un esempio di un Paese virtuoso che vorrebbe estendere agli altri Paesi membri delle Nazioni Unite? 

Sicuramente uno degli Stati più attivi sul tema dell'Ocean Literacy è il Brasile, che da anni porta avanti politiche ambientali attente al benessere del mare. Poi è interessante il progetto Scuole blu in Portogallo, un programma all'interno di Ocean Literacy che serve a sensibilizzare gli studenti su tematiche come il cambiamento climatico, l'inquinamento e la biodiversità.

Che tipo di esperti ha chiamato?

È stata mia premura far si che prendessero parte al progetto esperti di diversi settori, perché l'educazione all'oceano dev'essere fatta non esclusivamente come "educazione alle Scienze del mare", ma anche alla nostra relazione con esso. Vorremmo far emergere la relazione culturale ed emotiva con l'oceano, per cui abbiamo artisti, antropologi, archeologi marini, persone che vengono dal mondo della finanza, ricercatori, biologi marini, educatori, giornalisti. Volevo che fosse un gruppo più eterogeneo possibile, questa caratteristica rappresenta la sua forza. Ci siamo subito trovati in sintonia, la cosa bella è che ognuno ha potuto portare la propria esperienza e competenza.

Quanto spazio avrà secondo lei il mare nella prossima Cop?

Sicuramente ci sarà per la seconda volta l'"High Level Dialogue on Ocean and Climate", che per la prima volta si è tenuto in Egitto e ora verrà organizzato a Dubai. Questo è già un grosso passo avanti perché, se pensiamo che l'oceano regola il clima sul nostro Pianeta ma era totalmente assente dai negoziati Cop, finalmente siamo arrivati ad un buon risultato. La prima volta che si è menzionato nel documento finale l'oceano è stato a Parigi durante la Cop. In quell'occasione era nata una coalizione dal nome "Because the Ocean", ovvero "perché l'oceano è fondamentale quando vogliamo parlare del cambiamento climatico". La cosa interessante è che questa coalizione era molto "francese", eravamo a Parigi durante la Cop21 e partiva dal CNRS (Cnr francese) e noi come UNESCO avevamo supportato volentieri questa iniziativa. Adesso è un'alleanza che si è molto allargata a tutti i Paesi del mondo, chiaramente ci sono delle persone che sono dei "champions" -come li chiamiamo noi- che sono il Principe Alberto di Monaco, che è una persona che si spende molto per l'oceano e che ha spinto nel 2019 affinché ci fosse questo primo rapporto speciale dell'IPCC sull'oceano e sulla criosfera.

Dall'anno scorso poi esiste un padiglione alla Cop dedicato all'oceano, organizzato da istituzioni scientifiche ma anche con il supporto dell'UNESCO e la Fondazione del Principe Alberto. Ovvio che dovremmo fare molto di più, ma siccome sono tendenzialmente molto ottimista, mi reputo abbastanza felice di questi segnali. Un altro grande tema è quello del blue carbon e sul ruolo degli ecosistemi marini nello stoccare il carbonio.

Quali sono le preoccupazioni principali? 

Per quello di cui ci dobbiamo occupare, sicuramente della mancanza di consapevolezza -da parte delle persone- dell'importanza dell'oceano. Da questa mancanza derivano una serie di scelte sbagliate, perché quando non c'è attenzione non si possono prendere delle decisioni adeguate. Ovviamente ci preoccupano gli impatti della crisi climatica, questa è la preoccupazione più grande per tutti perché l'oceano che funge da regolatore sta perdendo la capacità di assorbire CO2. Queste sono cose molto preoccupanti, perché nel momento in cui si rompono questi equilibri stiamo parlando di effetti tra i vari fenomeni che ancora non sono neanche compresi dalla ricerca. Si parla di aumento del livello del mare, del fatto che la gran parte della popolazione mondiale vive in zone costiere. Alcuni degli impatti li stiamo già osservando.

Un altro tema molto discusso è quello del Deep Sea Mining, ovvero dell'estrazione mineraria dai fondali marini che potrebbe causare dei danni molto importanti. La scienza ci deve ancora dire quali sono gli impatti reali sugli ecosistemi legati a questo tipo di attività, per cui quello che come UNESCO diciamo è di procedere con cautela.

Sono tanti i Paesi che hanno chiesto -e stanno chiedendo tutt'ora- una moratoria per vietare l'estrazione mineraria in acque profonde.

Come facciamo a comunicare in maniera efficace i danni legati all'inquinamento della plastica in mare? 

Io ho sempre pensato che la plastica fosse il nostro "cavallo di Troia", nel senso che è molto più semplice vedere gli effetti di questo tipo di inquinamento rispetto al deep sea mining. Non sono solo i cittadini che devono essere consapevoli, ma le aziende devono essere consapevoli della loro attività. I cittadini possono anche essere molto sensibili sul tema, però poi dopo bisogna che si prendano delle decisioni a livello industriale. Le lobby della plastica si fanno sentire da tempo, basti vedere la direttiva sul Single Use Plastic, ci sono dei gap importanti che non sono stati presi in considerazione.

Queste lobby fanno chiaramente "il loro lavoro", quindi se il mondo produttivo non decide di andare in una certa direzione c'è poco da imputare al cittadino. Poi la responsabilità è anche di chi deve attuare queste decisioni perché, come nel caso della legge Salvamare, mancano ancora i decreti attuativi…chissà come mai.

In che modo vorreste educare le nuove generazioni all'ocean literacy, con il gaming, con delle gite agli acquari, con delle lezioni frontali, oppure con altro?

Esattamente con tutto ciò che avete detto. Il tema per me importante è non fare una lezione passiva, ma rendere i ragazzi attori principali. È fondamentale per noi trasmettere in una prima parte delle conoscenze, ma poi dopo i ragazzi devono essere subito messi nelle condizioni di usarlo questo sapere. Li abbiamo coinvolti nel fare dei progetti di riforestazione oceanica, loro sono andati in spiaggia con i nostri esperti a raccogliere le olive di mare, in modo tale da poter toccare manualmente le cose che spieghiamo.

I bimbi più piccoli vengono portati nelle isole, quindi oltre all'educazione all'oceano c'è anche un tema di istruzione all'aperto. Per noi questo è il fil rouge: fare in modo che i ragazzi diventino padroni di quello di cui stiamo parlando. Il loro sapere devono poi saperlo applicare nella vita quotidiana e trasmesso magari ai propri genitori. Un padre di un bambino che frequenta l'asilo ci ha detto proprio questo: "Io non ho mai avuto la fortuna di studiare, però grazie a mio figlio ho avuto la fortuna di apprendere tantissime cose". È stato commovente.

IOC/UNESCO è stato anche parte attiva nella realizzazione di un'app di gaming per ragazzi. Tra quelle proposte durante il concorso “Save the Wave App Challenge”, ha vinto “Ocean Savior” il videogioco creato dagli studenti di Napoli che consentirà ai giocatori di salvare l’oceano (sullo schermo).