Concluso il G20 di Roma: impegno a mantenere l’aumento della temperatura sotto gli 1,5 gradi, ma sparisce la scadenza del 2050

Non una completa disfatta, ma sicuramente diversi punti di criticità emergono dalla dichiarazione congiunta del G20 a presidenza italiana. Bene ad esempio l’impegno a contenere l’aumento della temperatura globale, meno buona la prospettiva di un raggiungimento dell’obiettivo zero emissioni solo dopo il 2050.
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Giulia Dallagiovanna 31 Ottobre 2021

Si è concluso il G20 di Roma a presidenza italiana. Mario Draghi, nell'intervento di chiusura, ha preso coscienza del fatto che i leader dei Paesi partecipanti saranno "giudicati per le azioni, non per le parole". Un atteggiamento che tiene in considerazione le accuse degli attivisti, ovvero quelle di limitarsi a un "bla, bla, bla", come Greta Thunberg aveva sottolineato più volte durante il suo intervento alla Pre-Cop26 di Milano. Dunque i propositi, almeno sulla carta, sembrano essere quelli di passare ad atti concreti. Ma i risultati del vertice non sono esattamente quelli che il mondo ambientalista sperava, sebbene, va detto, alcuni piccoli margini di miglioramento ci sono stati. Vediamo allora cosa si è deciso in questo Global Summit complesso, che arriva prima della Cop26 sul clima e dopo la pandemia.

Aumento della temperatura al di sotto di 1,5 gradi

I Paesi del G20 si sono assunti l'impegno di mantenere l'aumento della temperatura globale al di sotto degli 1,5 gradi, "con azioni immediate e piani a medio termine", ha specificato Draghi. Un piccolo passo avanti rispetto a quanto si era stabilito negli Accordi di Parigi del 2015, dove la soglia massima fissata era di 2 gradi.

"Come ha detto il presidente Biden – ha proseguito il presidente del Consiglio – vogliamo ricordare questo vertice come quello in cui siamo riusciti a trovare l'accordo. Questi due giorni hanno rappresentato l'ultimo passo di un anno di duro lavoro. E per questo motivo, vogliamo continuare l'impegno nella lotta al cambiamento climatico a beneficio delle attuali e delle future generazioni".

La decarbonizzazione

Altro elemento centrale della dichiarazione congiunta riguarda il carbone, ovvero la fonte fossile più inquinante. Si prevede infatti la fine dei finanziamenti statali delle centrali a carbone a partire dal 2021, ovvero da subito. Qualcuno ha già coniato il termine "carbon-exit", ma forse è troppo presto per cantare vittoria. Non bisogna infatti dimenticarsi che molti dei Paesi che hanno preso parte al vertice continuano a privilegiare l'energia prodotta da questa fonte fossile e tra loro compare anche la Cina che ne ha addirittura aumentato la produzione negli scorsi mesi. Sarà quindi importante capire come avverrà nel concreto la transizione e in quali tempi si concluderà.

Obiettivo emissioni zero

Su questo punto, quello delle emissioni zero, si arriva a un tasto dolente. In poche parole, si è reso necessario un compromesso che potrebbe non essere in linea con le esigenze del Pianeta. Dalla dichiarazione è scomparsa l'indicazione "entro il 2050" sostituita da una più vaga "entro metà secolo". Alcuni Paesi come India, Cina e Russia infatti hanno chiesto che la scadenza venga spostata al 2060, dal momento che prevedono di raggiungere il picco di emissioni inquinanti nel 2030, per poi iniziare a calare fino al raggiungimento dell'impatto zero.

L'Unione europea ha invece assunto impegni interni più ambiziosi per quanto riguarda la sostenibilità, ma bisogna ricordare che gli Stati membri tutti insieme sono responsabili solo dell'8% di tutte le emissioni inquinanti. Dunque non è una buona notizia che alcuni Paesi abbiano intenzione non solo di continuare a inquinare, ma di farlo addirittura di più.

Il fondo da 100 miliardi

Sul fronte della giustizia climatica, quello per cui ieri hanno manifestato oltre 40mila persone tra cui i Fridays for Future e Legambiente, si incontrano più che altro conferme. "Ci siamo ulteriormente avvicinati all'obiettivo del finanziamento da 100 miliardi di dollari a sostegno dei Paesi più vulnerabili e, come ha detto il presidente Macron, possiamo utilizzare degli stanziamenti per colmare qualsiasi divario rimanente. L'Italia triplicherà l'impegno arrivando a 1,4 miliardi di dollari l'anno per i prossimi cinque anni". Ha specificato Draghi su questo punto.

In realtà, c'è poco da essere orgogliosi. Il fondo avrebbe dovuto raggiungere la soglia prevista già tre anni fa, almeno. Inoltre, si tratta di un prestito, che i Paesi in via di sviluppo dovrebbero quindi restituire in futuro. Un meccanismo ingiusto se si pensa che questi soldi servono anche a mitigare le conseguenze del cambiamento climatico di cui sono responsabili soprattutto le Nazioni con più risorse, e che però si abbattono con maggiore intensità nei Paesi del sud del mondo. Proprio per questo motivo, gli attivisti chiedono che questo finanziamento diventi a fondo perduto.

Le altre crisi

"Siamo orgogliosi del risultato, ma è solo l'inizio – ha concluso Draghi. – Ci sono molte crisi da risolvere, da quella ambientale a quella sanitaria, dalla povertà alla fame, passando per le disuguaglianze. Abbiamo però fatto in modo che i nostri sogni non solo siano ancora vivi, ma stiano facendo progressi. Voglio ringraziare gli attivisti che ci aiutano a mantenerci vigili. Io penso che questo vertice abbia riempito di sostanza le nostre parole. Siamo tutti consapevoli che la nostra felicità dipende dalle nostre azioni".

Ora la palla passa alla Cop26. Forse non una delle migliori eredità, ma sicuramente meno disastrosa di quanto si temeva fino a ieri, quando sembravano saltati tutti i buoni propositi sul clima. Certo, i leader ci hanno abituato a tante promesse e ad altrettante delusioni. Aspettiamo quindi la prova dei fatti, che dovrà essere rapida ed efficace. Perché, come dicono gli scienziati e non solo gli attivisti, non abbiamo più tempo.