Cop28, Oberti (ISPI): “Sembra che Al Jaber ragioni più sulle possibilità di profitto che sulla transizione energetica”

Insieme a Benedetta Oberti dell’ISPI abbiamo ricostruito i retroscena e il significato geopolitico del primo discorso pubblico di Ahmed Al Jaber, neo presidente della Cop28.
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Francesco Castagna 17 Gennaio 2023
Intervista a Benedetta Oberti Esperta ISPI su clima e politiche energetiche

Il 14 gennaio 2023 si è tenuto il primo discorso pubblico e di peso del prossimo presidente della Cop28, che si terrà negli Emirati Arabi Uniti, a Dubai, dal 30 novembre al 12 dicembre. La sua nomina però ha ricevuto subito numerose critiche da parte delle realtà ambientaliste, che hanno protestato contro la scelta di nominare come presidente dell'evento l'amministratore delegato di ADNOC, la compagnia petrolifera di Stato.

Nel suo primo discorso come presidente designato, Al Jaber ha affermato al Global Energy Forum del Consiglio Atlantico che "che abbiamo bisogno di una COP di solidarietà che includa tutte le persone e tutte le parti interessate e una COP di azione che aumenti l'ambizione e che passi dagli obiettivi al raggiungimento dei risultati".

Ma chi è Sultan Ahmed Al Jaber? E cosa si legge dietro al suo discorso? Lo abbiamo chiesto a Benedetta Oberti, esperta ISPI su clima e politiche energetiche.

Oberti, politicamente parlando, quanto è credibile un amministratore delegato dell'azienda petrolifera di Stato (ADNOC) come guida della transizione green?  

Al Jaber sa certamente il fatto suo: ha studiato energia chimica in California e ha un PhD in Business and Economics preso alla Coventry University nel Regno Unito. Oltre a essere CEO dell’Abu Dhabi National Oil Company – ADNOC – è anche presidente di Masdar, la compagnia emiratina che si occupa di energia rinnovabile: quando si tratta di energia, che sia fossile o verde, Al Jaber non è un inesperto.

Ciononostante, è evidente il conflitto di interesse che porta con sé e che deriva proprio dal fatto di essere a capo del gigante petrolifero statale degli Emirati. Per questo motivo è difficile sperare che Al Jaber possa promuovere al 100% la sostituzione del sistema energetico attuale (in cui le fonti fossili hanno un ruolo preponderante) con uno basato sulle rinnovabili. Infatti, a meno di una ristrutturazione totale, un’effettiva transizione energetica penalizzerebbe gli interessi e le prospettive di crescita e guadagno dell’ADNOC.

I Paesi africani, durante la Cop27, hanno dovuto sperare in una guida forte del governo del Cairo, verso la quale vedevano comunque una sorta di figura/leader. Gli Emirati Arabi Uniti sono un'altra realtà però. Pensa che accadrà la stessa cosa?  

I paesi africani avevano bisogno di un leader per riuscire a far valere la propria posizione in negoziati dove si sono dovuti confrontare con Stati con un peso politico ed economico molto maggiore del loro. La situazione nel caso degli stati arabi del Golfo è diversa. Ad esclusione di Bahrain e Oman, tutti gli altri stati della regione fanno parte dell’OPEC, l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio: anche solo questo li rende interlocutori d’obbligo in qualsivoglia dialogo sulla transizione energetica. I paesi del Golfo non avranno problemi a portare le proprie istanze, e farsi ascoltare, al tavolo delle trattative.

Nel caso specifico degli Emirati Arabi Uniti, avere un proprio rappresentante come presidente della Cop28 è solo un’ulteriore garanzia che i propri interessi – quelli di un Paese che basa gran parte del proprio reddito sulla vendita di petrolio – verranno difesi.

Inoltre, a differenza dei Paesi africani, gli Emirati e gli altri stati del Golfo non hanno bisogno che il resto della Comunità internazionale si mobiliti a sostegno di politiche di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici. Oltre ad essere in minor misura esposti – per ora – agli effetti dei cambiamenti climatici, gli EAU si trovano in una situazione di minor fragilità economica rispetto ai paesi africani – sono entro i primi 30 paesi al mondo per PIL e PIL per capita. Adottare politiche di adattamento e mitigazione è costoso ma, rispetto agli stati dell’Africa, gli EAU hanno maggior disponibilità di denaro.

Gli Emirati Arabi Uniti stanno investendo molto in progetti all'estero che riguardano l'energia pulita, ma non molti giorni fa hanno fuso le due società energetiche per rendere ADNOC più competitiva sul mercato. Pensa che sia realistico un abbandono dei combustibili fossili in breve tempo?  

Non credo, non nel breve periodo. È vero che gli Emirati stanno investendo molto in progetti legati all’energia verde; la stessa notizia della fusione dei reparti dell’ADNOC che si occupano di petrolio, gas naturale e GNL è stata spiegata dal CEO Al Jabar come una mossa necessaria per stare al passo con la transizione energetica.

Secondo Al Jaber, il gas naturale sarebbe essenziale per la decarbonizzazione in quanto combustibile di passaggio da un sistema basato sulle fonti fossili a uno basato sulle rinnovabili. Inoltre, l’ADNOC ha come obiettivo per il 2050 quello di raggiungere la neutralità carbonica.

Tuttavia, ADNOC è anche la stessa compagnia che ha in programma di spendere 150 miliardi di dollari fra 2023 e 2027 in progetti che le permetteranno di aumentare la produzione di petrolio, il che risulta in contrapposizione con l’obiettivo di neutralità carbonica. La decisione di ADNOC è in linea con la strategia governativa che prevede di aumentare la produzione di gas e petrolio per mettere al sicuro l’autosufficienza energetica e aumentare le esportazioni di combustibili fossili. Non a caso secondo Climate Action Tracker entro il 2030 le emissioni degli EAU aumenteranno del 30/35% rispetto ai livelli del 2010, complice anche la decisione della monarchia di sfruttare il giacimento di gas da 57 miliardi di metri cubi scoperto nel febbraio del 2022.

Negli Emirati Arabi Uniti è installato il più grande parco fotovoltaico al mondo che dovrebbe contribuire a far sì che il 75% dell’energia che serve al paese provenga da fonti pulite. Allo stesso tempo però l’Energy Strategy 2050 che gli EAU hanno lanciato nel 2017 riserba un posto di primo piano alle fonti fossili per soddisfare la domanda energetica interna, e fra le fonti energetiche pulite include il carbone (perché l’idea sarebbe quella di poterne “pulire” le emissioni tramite le tecnologie di carbon capture and storage).

Quindi, non credo che nel breve periodo gli EAU riusciranno nell’obiettivo di diventare un paese a emissioni zero perché, accanto agli investimenti in progetti green, il reddito del paese è ancora troppo dipendente dal settore dei combustibili fossili.

Nel 2019 Al Jaber, nel corso della conferenza ADIPEC, ha più volte illustrato i risultati di ADNOC, aggiungendo che alcuni movimenti e contratti a livello finanziario (Contratto Futures di Murban) avrebbero posto agli UAE "al centro geografico del commercio globale di greggio". Ora parla di finanza come "guida necessaria della transizione ecologica". Cosa è cambiato e come possiamo spiegarlo?  

Credo che Al Jaber sia sincero quando dice di voler supportare gli investimenti nel settore delle energie pulite. Il problema è che nel contempo sostiene anche gli investimenti nel settore oil&gas.

Sembra che Al Jaber ragioni più in termini di possibilità di sviluppo e profitto piuttosto che di transizione energetica. Ora anche il settore delle energie rinnovabili ha grandi prospettive di crescita e quindi per Al Jaber anche questo è un settore in cui vale la pena impegnarsi. L’obiettivo non è però quello di rendere possibile la transizione energetica, ma quello di non rimanere escluso da un mercato emergente e che promette bene in termini di guadagno.

Secondo lei gli Emirati Arabi Uniti avranno più o meno tolleranza dell'Egitto, per quanto riguarda le manifestazioni di dissenso o l'attivismo in generale? 

Secondo Amnesty International negli Emirati Arabi Uniti continuano ad esserci importanti violazioni dei diritti umani: detenzioni arbitrarie, trattamento inumano dei detenuti, soppressione della libertà di espressione, pena capitale e criminalizzazione dei rapporti fra persone dello stesso sesso, per citarne alcuni.

Tuttavia, è probabile che durante i giorni della Cop28 gli Emirati cercheranno di presentare una facciata più accettabile agli occhi degli altri stati e quindi non assisteremo a manifeste violazioni dei diritti. Credo che il governo permetterà manifestazioni e anche qualche espressione di dissenso, ma cercherà in tutti i modi di contenerle e controllarle confinandole entro spazi, modi e tempi prestabili e accettabili alla monarchia. Manifestazioni sì, ma finché servono a trasmettere l’immagine di un paese libero senza però mettere a rischio la presa della monarchia sulla società.