Cos’è esattamente la “Novembrata” e perché dovrebbe cominciare a preoccuparci

Perché fa ancora così caldo in Italia? Le temperature elevate sono il frutto del riscaldamento globale sempre più evidente? Ne abbiamo parlato con Antonella Senese, ricercatrice e docente di Climatologia presso la Statale di Milano.
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Francesco Castagna 28 Ottobre 2022
Intervista a Prof.ssa Antonella Senese Esperta di Climatologia e Climate Change

Se abiti in una città del sud Italia sei abituato a girare ancora per strada con le mezze maniche, se però sei di Milano, Torino, Venezia o Bologna sicuramente ti sarai accorto che c'è qualcosa che non va. Fa ancora troppo caldo per il cambio di stagione e in molti comuni non abbiamo ancora cambiato le ruote delle nostre auto.

Così, dopo un settembre caldo e un ottobre senza cappotto pesante, il rischio è che la stessa situazione continui anche a novembre. Se ho utilizzato il termine rischio è perché sai che tutto ciò ha un nome: riscaldamento globale. Ce ne accorgiamo perché le temperature in questi giorni sono sopra la norma. Le previsioni del tempo mostrano come questo sia dovuto alla presenza di un anticiclone dai connotati estivi.  I picchi di temperatura sulle Alpi arrivano sino ai 15° a 2000m, in Val Padana la temperatura massima è di 24°, al Centro-Sud fino ai 26/27° e in Sardegna ci sono punte anche di 27/28°.

Decisamente una situazione anomala per essere alle porte di Novembre, che ha portato i sindaci di molte città a non doversi preoccupare nel ritardare l'accensione dei riscaldamenti, anche se il motivo principale è quello dell'aumento dei costi dell'energia.

È con queste premesse che abbiamo deciso di approfondire il tema con Antonella Senese, Ricercatrice presso l'Università degli Studi di Milano. È docente di Climatologia presso la Statale di Milano e i suoi studi si riguardano il climate change e il suo impatto in ambienti d'alta quota. Ma si può prevedere un caldo del genere? Senese ci spiega che i modelli previsionali sono difficili da realizzare e interpretare, lo stesso infatti era avvenuto con le alte temperature anomale lo scorso  maggio.

Elemento complicato su cui poter fare delle affermazioni certe è la durata dei periodi di caldo. Non è facile prevedere per quanto tempo durerà queste condizioni meteo torride, "è da maggio che fa caldo, già a giugno eravamo con due mesi d'anticipo rispetto alle condizioni climatiche che in genere si osservano nel nostro territorio. Quello che si sperava è che arrivasse il freddo prima, ma così non è stato".

"La cella di alta pressione rimane e comporta l'arrivo di aria calda da Sud", spiega Senese. Sulle previsioni, invece, c'è una sola "certezza": sono valide al massimo fino ai due giorni successivi, dopodiché è molto probabile che non rispecchino la situazione reale di quei giorni. Ma come si fa a stabilire se l'ondata di caldo è continua? Dipende dal grado di affidabilità del dato, più si va avanti con le previsioni e più la probabilità diminuisce.

Questo perché, ci spiega Senese, ci sono dei modelli basati su dati misurati con le stazioni meteo e dati satellitari. Si osserva la situazione dei giorni precedenti e quella attuale e, grazie a un background di conoscenze su come si evolve il sistema climatico, si riesce a fare una previsione su un fenomeno atmosferico (es. temporale).

La probabilità diminuisce con il passare dei giorni, perché le previsioni vengono inserite nei modelli previsionali, pur non essendo dati certi. Può succedere che questo porti a temporali che non hanno un grosso impatto, come può accadere purtroppo che si verifichino situazioni come quella del nubifragio nelle Marche.

Fenomeni che si sviluppano in poco tempo e, come spiega Senese, "autoalimentati dal calore del mare". È per questo che sostiene che siano ormai necessari dei modelli previsionali di seconda generazione, che riescano a prevedere meglio questi eventi estremi. Essendo tali, però, non sono quello che ci si aspetta nella norma, per questo che si fa fatica.

E i ghiacciai? Dove si collocano? Ma soprattutto, che ruolo hanno in questa situazione? A inizio agosto Senese si trovava a Santa Caterina di Valfurva, a 1700m, e ci racconta che le temperature erano anormali per quella zona, per il caldo si poteva benissimo stare all'aperto in maglietta a mezze maniche, con una differenza rispetto alla norma di tre gradi in più.

Tra le soluzioni per rallentare lo scioglimento dei ghiacciai l'Università di Milano, con la collaborazione di Senese, ha proposto delle coperture geotessili bianche, per intenderci come il panno della cappa della cucina o quello che si usa sul ferro da stiro. Riflettono le radiazioni solari e fungono da isolanti termici. In questo modo riduce l'energia all'interfaccia geotessile neve, cioè la neve che sta sotto alla copertura riceve meno energia rispetto alla parte che sta attorno non coperta dal tessuto. Da questo esperimento i ricercatori hanno ottenuto risultati ben più alti delle loro aspettative: la neve fonde meno velocemente, con un'efficacia del 60%. Questa percentuale -tra neve e ghiaccio- viene salvata dalla fusione, mentre il restante 40% fonde per via del calore dei raggi solari.

Se il metodo è efficace, dove sarebbe il problema? Come ricorda Senese, il ghiacciaio e la neve non sono semplicemente cubetti di ghiaccio, ci sono degli ecosistemi: ci vivono batteri, insetti e ragni. Una varietà di specie animali, ma anche vegetali che, se coperta, potrebbe risentirne. "C'era stata a metà gennaio la pubblicazione di una lettera aperta, da parte di diversi professori e ricercatori italiani, contro l'utilizzo dei geotessili. Io e una mia collega non l'abbiamo firmata, perché non si conoscono ancora gli impatti negativi di questa tecnica".

Per preservare la neve gli impianti sciistici utilizzano questa tecnica, oppure prelevano acqua da un laghetto ad alta quota, sfruttando quell'acqua per creare neve artificiale, oppure si utilizzano degli additivi chimici. Le tecniche sono tante, ma ognuna di esse ha degli svantaggi, dal togliere acqua a un altro ecosistema fino all'aggiungere materiale chimico, che poi fonde insieme alla neve e -dopo un lungo processo- va a finire nei grandi bacini d'acqua. Inoltre, i poli sono gli specchi del nostro Pianeta, se si riducono quello che succede è che si va ad influire sulle superfici più assorbenti.

Da qui i cambiamenti climatici e sempre più effetto serra con gas climalteranti in quantità maggiore alle quantità necessarie per i processi naturali (dato che l'effetto serra di per sé non è un fattore negativo, anzi ci serve per la vita sulla Terra). Qual è il problema? La ricercatrice ci spiega che andando a scaldare le superfici, si interrompono le normali circolazioni -sia atmosferiche che oceaniche- che prima raffreddavano/riscaldavano. La corrente del Golfo è famosa, per esempio, per mitigare la temperatura delle coste.

Oltre ai ghiacciai, anche la mancanza di alberi influisce notevolmente sulla percezione della temperatura in città. "La cementificazione impazzita ha reso le metropoli delle vere e proprie isole di calore, cemento e asfalto sono superfici scure che assorbono le radiazioni solari, si scaldano e quindi rilasciano calore, giorno e notte", spiega Senese. Gli alberi invece fanno ombra ed evapotraspirazione, ovvero l'attività delle piante di rilasciare acqua sotto forma di vapore dalle foglie, per poter passare dallo stato liquido a gassoso hanno bisogno di energia. L'albero prende la sua energia dal sistema, che in questo caso è l'aria, più fresca perché ha ceduto il calore alla pianta per poter fare evapotraspirazione.

"Il clima sulla Terra dipende da tanti fattori che sono sempre stati in equilibrio. L'azione umana sta turbando sempre più questi equilibri e, come sta succedendo adesso, c'è questa cella stazionaria di alta pressione che non se ne vuole andare", conclude Senese.