Cos’è la geotermia a bassa entalpia e cosa c’entra con il riscaldamento della tua casa

Per geotermia a bassa entalpia si intende il calore che proviene dal suolo, anche a basse profondità, e che può essere portato in superficie attraverso impianti a pompe di calore. È considerata una fonte di energia pulita e rinnovabile e può essere utile sia in funzione di riscaldamento che di raffreddamento. Vediamo perché.
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Giulia Dallagiovanna 30 Agosto 2022

Di geotermia a bassa entalpia nei prossimi anni si parlerà sempre di più. Fonte di energia già in uso da oltre un secolo, in Italia non viene sfruttata quanto potremmo. Eppure il calore che proviene dal suolo è considerato una fonte rinnovabile e pulita, che dovrà giocare un ruolo importante all'interno della transizione ecologica. Pensiamo, ad esempio, agli impianti di riscaldamento e climatizzazione degli edifici, che potrebbero essere realizzati a zero emissioni sul posto e, in generale, abbattendo del 40% la produzione di anidride carbonica rispetto ai sistemi tradizionali. Ma il vero passo avanti sarà l'integrazione delle pompe di calore geotermiche, che per funzionare hanno bisogno di energia elettrica, con impianti fotovoltaici ed eolici. Vediamo meglio di cosa stiamo parlando.

Cos'è la geotermia

Quando si parla di geotermia, ci si riferisce a una disciplina che studia il calore proveniente dall'interno della Terra da cui deriva l'energia geotermica. Energia legata al decadimento naturale di sostanze radioattive contenute nel nucleo del Pianeta e trasferito agli strati superiori da complessi processi geologici. Non stiamo parlando di qualcosa di astratto, ma di quella stessa energia che sta alla base, ad esempio, di geyser o sorgenti naturali di acqua calda. L'idea è quella di sfruttarla, trasferendo il calore dalla profondità fino alla superficie e poi all'interno degli edifici. Per questa operazione è necessario ricorrere a fluidi termovettori, ovvero a sostanze che accumulino e trasportino il calore. Per intenderci, la funzione che svolge l'acqua all'interno dei termosifoni che hai in casa.

Cos'è l'entalpia

Entalpia è un termine che deriva dal greco ἔνθαλπος ("enthalpein") e che significa letteralmente "scaldare dentro" o "calore interno". È una funzione "più o meno proporzionale alla temperatura" e  "usata per esprimere il contenuto termico (energia termica) dei fluidi, e dà un’idea approssimativa del loro ‘valore’", come spiega l'Unione Geotermica Italiana. La geotermia si divide in alta, media e bassa entalpia:

Geotermia ad alta entalpia

La geotermia ad alta entalpia è quella più utilizzata per la produzione di energia geotermoelettrica ed è caratterizzata da temperature che arrivano anche a superare i 150°C. Le centrali geotermiche oggi sfruttano diversi fluidi termovettori, come l'acqua o anche il vapore.

Geotermia a media entalpia

La geotermia a media entalpia opera nell'intervallo di temperature compreso tra gli 80° e i 150°C. La si può utilizzare sia per produrre energia elettrica, che per il funzionamento di impianti di teleriscaldamento. È quello che viene chiamato anche riscaldamento a pavimento e prevede lo scorrere di acqua calda in tubature apposite, in continuo scambio con una grossa centrale di produzione nella quale si accumula il calore da trasportare negli edifici.

La geotermia a bassa entalpia

Veniamo ora alla questione centrale dell'articolo: cos'è la geotermia a bassa entalpia e perché potresti sfruttarla anche a casa tua. La definizione precisa si trova nel decreto legislativo 22/2010, dove si specifica che le risorse geotermiche a bassa entalpia sono "caratterizzate da una temperatura del fluido reperito inferiore a 90 °C". Il calore viene prelevato a basse profondità e per questo motivo si tratta di una risorsa disponibile lungo tutto il nostro territorio nazionale. Non solo, ma la si può sfruttare tutto l'anno, prelevando calore durante l'inverno e cedendolo di nuovo al suolo con l'arrivo dell'estate. In poche parole, riscaldamento e raffreddamento.

Facciamo un esempio. Oggi il tuo impianto di aria condizionata funziona prelevando aria calda dalla stanza e ributtandola fuori alla temperatura che tu hai impostato grazie al telecomando. Per mettere in atto questo processo ricorre a un circuito idraulico alimentato a gas, che scorre attraverso tubi di rame. Il gas funge da termovettore e viene spinto dal motore all'interno del compressore, situato nell'unità esterna dell'impianto, dove rilascerà il calore grazie a un processo di decompressione che sfrutta le leggi della termodinamica. Una volta tornato allo stato liquido, raggiunge di nuovo lo split e passa nell'evaporatore, dove viene emesso allo stato aeriforme.

Una pompa di calore geotermica, invece, non sfrutta l'aria, ma appunto il sottosuolo. Il meccanismo prevede di portare il calore da una "sorgente" a un "pozzo". La sorgente è appunto il suolo, che dovrà essere a temperatura più bassa rispetto al pozzo, cioè l'ambiente da scaldare. Durante l'inverno, la tua casa sarà il "pozzo caldo", mentre con l'arrivo dell'estate questo percorso si inverte e l'edificio dove abiti diventa la sorgente fredda dalla quale estrarre il calore, per ridurre la temperatura.

Funziona quindi come uno scambio costante tra i due punti di arrivo e partenza. Il calore viene prelevato tra i 10 e i 200 metri di profondità, un livello in cui la temperatura rimane più o meno costante ed è equivalente alla media annuale di quella dell'aria, che si colloca tra i 6 i 18 °C.  In poche parole, il suolo è più caldo in inverno e più fresco in estate, situazione che lo rende ideale per adempiere allo scopo. E qui possiamo notare un primo vantaggio rispetto agli impianti aerotermici, dal momento che l'aria subisce invece variazioni molto più significative nel corso dell'anno.

I tipi di impianti

Nella maggior parte dei casi, il calore dal sottosuolo viene prelevato attraverso delle sonde geotermiche collegate con la pompa. In seguito, viene irradiato a tutto l'edificio per mezzo, ad esempio, di pannelli radianti installati nel pavimento. Questo continuo scambio può avvenire attraverso tre tipi di impianti:

  1. Impianto a circuito chiuso (closed loop): lo scambio avviene con il suolo e in modo indiretto, attraverso un circuito idraulico nel quale scorre un fluido termovettore che contiene acqua e additivi antigelo
  2. Impianto a circuito aperto (open loop): lo scambio termico viene effettuato prelevando l'acqua della falda sotterranea
  3. Impianto a scambio diretto: il circuito del refrigerante della pompa di calore si trova a diretto contatto con il sottosuolo

Gli impianti a circuito chiuso

Negli impianti a circuito chiuso il circuito primario, ovvero quello adibito allo scambio termico con il suolo, è di solito costruito in polietilene ad alta densità. Come soluzione antigelo, invece, viene usato principalmente il glicole propilenico, che ha sostituito quello etilenico, risultato tossico anche a basse concentrazioni. Un'altra possibilità, scoperta più di recente, è l'impiego di soluzioni di cloruro di calcio, che hanno il vantaggio di essere più economiche, meno viscose e di ridurre il consumo energetico per la pompa di circolazione, ovvero il circuito secondario dell'impianto.

Esistono due tipologie di closed loop: verticale e orizzontale. Il primo è composto da tubi che vengono installati nel terreno verticalmente, appunto, in modo da formare un circuito chiuso all'interno del quale scorre il fluido termovettore. Per fare questo, si effettuano delle perforazioni lungo le quali si installano le sonde geotermiche, in alternativa si passa attraverso un palo di fondazione. Le due opzioni devono essere valutate di volta in volta, in base ai costi, al rendimento, al tipo di terreno e alla presenza o meno di una falda sotterranea.

Nel circuito orizzontale, invece, le pompe di calore attingono da profondità più basse, che si aggirano tra gli 1 e i 5 metri. Rispetto al verticale, fornisce una minore quantità di energia e viene messo a rischio in caso di temperature particolarmente fredde, a causa della formazione di ghiaccio che può danneggiare i tubi e l'impianto in generale.

Gli impianti a circuito aperto

Negli impianti a circuito aperto, lo scambio avviene, come spiegavamo prima, con l'acqua che nella maggior parte dei casi viene prelevata dalla falda e solo in alcune eccezioni si ricorre invece a fiumi e laghi di superficie. L'acqua poi viene scaricata di nuovo nella falda, oppure in un altro bacino idrico. Rispetto a quelli a closed loop, presentano diversi vantaggi in termini di rendimento, costi di installazione e spazi occupati.

Dall'altro lato, però, risulta più costosa la manutenzione, anche perché quando nell'acqua vi è un'elevata concentrazione di sali c'è il rischio che si formino delle incrostazioni che possono danneggiare i tubi. Inoltre, quando non vengono ben installati, questi impianti potrebbero contaminare la falda dalla quale attingono.

Impianto a scambio diretto

Negli impianti a scambio diretto non vi è alcun circuito: pompa di calore e terreno sono a diretto contatto. Questa particolarità, assieme all'utilizzo di tubi di rame a elevata conducibilità termica, li rende più efficienti rispetto ai precedenti. Ma i problemi non mancano, soprattutto dal lato ambientale. Il rame infatti rischia di venire corroso da suoli particolarmente acidi, mentre il liquido refrigerante potrebbe fuoriuscire se l'impianto non è mantenuto sempre in perfette condizioni. Per questi motivi, alcuni Paesi europei ne hanno proibito l'installazione.

Breve storia della pompa di calore

La pompa di calore geotermica non è una novità. La prima fu realizzata e brevettata addirittura nel 1912, ad opera dell'ingegnere svizzero Heinrich Zoelly. Zoelly sviluppò il modello partendo proprio dal sistema aerotermico, teorizzato nel lontano 1853 da Lord Kelvin e costruito poi da Peter Ritter von Rittinger due anni più tardi. Nel 1946 il Commonwealth Building di Portland, negli Stati Uniti, divenne il primo edificio dove fu installata una pompa di calore geotermica.

Per diversi anni, gli impianti costruiti erano prevalentemente a circuito aperto, ma nel 1979 si cominciò a ricorrere al polibutilene per le tubazioni e divennero così economicamente vantaggiosi anche gli impianti a circuito chiuso. La geotermia a bassa entalpia riscosse particolare successo a partire dalla crisi petrolifera degli anni '70: Svezia e Germania ne fecero largo uso e nel 1980 nacque il primo impianto a sonde geotermiche. Nel 2004, in tutto il mondo erano già presenti circa un milione di impianti geotermici a bassa entalpia, per una potenza totale di 12 GW.

Oggi gli impianti geotermici sono più diffusi, anche se la loro presenza è tuttora circoscritta a determinati Paesi. Cina e Turchia, infatti, guidano la classifica e fino a cinque anni fa coprivano l'80% del consumo globale. In Italia, come ti dicevo, rimane una fonte poco sfruttata e che produce solo l'1% di tutta l'energia utilizzata.

Le previsioni, però, vedono un aumento addirittura del 270% dell'impiego di energia geotermica da parte dell'Unione europea entro il 2024 e rispetto al 2019. L'applicazione è destinata soprattutto al settore edilizio, a seguire l'agricoltura e infine il settore industriale.

La sostenibilità ambientale

L'Agenzia di Protezione ambientale degli Stati Uniti ha promosso gli impianti geotermici come efficienti e altamente sostenibili. Il fatto di sfruttare un'energia di facile accesso e inesauribile, almeno dal punto di vista dei tempi umani, ha permesso di classificarla come "energia rinnovabile". Anche ENEA conferma che "la geotermia a bassa entalpia è una forma di calore pulita, rinnovabile e sicura nel tempo ed ecocompatibile".

Le pompe di calore infatti non emettono né polveri sottili né anidride carbonica sul posto, a differenza delle caldaie a gas, e rendono quindi più pulita l'aria delle nostre città. Rimane però il problema della produzione di energia elettrica, con la quale far funzionare gli impianti. Come saprai, in Italia la maggior parte di questa deriva ancora da combustibili fossili e risulta dunque altamente inquinante. Proprio per questo motivo, il calcolo dell'impatto ambientale delle pompe di calore può variare da Paese a Paese: laddove il mix energetico privilegia le fonti rinnovabili, il risultato finale sarà nettamente a favore di questi impianti.

Alla base, dunque, dovrebbe sempre esserci un piano di transizione energetica verso le fonti rinnovabili. Al netto di questo ragionamento, è stato calcolato che in Italia si potrebbe comunque risparmiare il 40% di emissioni di C02, rispetto agli impianti di riscaldamento alimentati direttamente a combustibili fossili. Il nostro Paese tra l'altro ha tuttora condizioni climatiche per cui lo sfruttamento della geotermia a bassa entalpia può avvenire più o meno ovunque, rendendo questa fonte ancora più vantaggiosa.

Un altro aspetto a cui prestare attenzione è, però, la manutenzione per evitare l'eventuale fuoriuscita di liquido refrigerante o termovettore, che in alcuni casi può avere ancora un elevato potenziale effetto serra quando non si utilizzano quelli biodegradabili.

Dove si può realizzare un impianto

Teoricamente, gli impianti a pompa di calore geotermica possono essere installati su qualsiasi edificio, che sia casa tua come l'ufficio in cui lavori. Il problema è che quando si parla di palazzi già costruiti, e magari pure diversi anni fa, passare dal dire al fare risulta più complicato. Sicuramente, e questo vale per tutti i casi, sarà necessaria una consulenza geologica. Bisogna infatti valutare se il terreno sia adatto o meno a ospitare le sonde. Va detto che, di solito, in Italia tutte le aree risultano adatte per ospitare l'impianto.

Ma in caso di una struttura vecchia è bene fare anche una previsione delle reali possibilità, degli eventuali costi e soprattutto dell'efficacia che un sistema di questo tipo avrebbe a livello di riscaldamento e raffreddamento.

I costi e gli incentivi

I costi degli impianti a geotermia di solito sono concentrati soprattutto nella fase di installazione. Come potrai immaginare, dipendono da diverse variabili, come il costo dei vari componenti, quello dei pannelli radianti, l'ampiezza dell'edificio da riscaldare e così via. In media, si potrebbe dire che la cifra si aggira tra i 15mila e i 20mila euro. Ma bisogna tenere presente che potrebbero emergere anche costi aggiuntivi dovuti ad esempio alle autorizzazioni per le perforazioni e la posa delle sonde.

La manutenzione invece ha un impatto economico più basso rispetto a quella delle caldaie tradizionali, con una differenza che oscilla tra il 40% e l'80%. Inoltre, si registra un aumento dell'efficienza compreso tra il 30% e il 50%, dal quale derivano minori costi di esercizio. Se a questo aggiungi che gli impianti geotermici possono essere usati anche per il riscaldamento dell'acqua, potrai intuire come il risparmio sia visibile già nel medio termine.

Dal momento poi che la riqualificazione energetica degli edifici è un passaggio obbligato in un'ottica di riduzione delle emissioni entro il 2030, il governo ha introdotto diversi bonus e incentivi fiscali che riguardando anche l'installazione di pompe geotermiche. Il più famoso era il Superbonus 110%, che prevedeva la detrazione dei costi per gli interventi che permettevano un avanzamento di due classi energetiche all'edificio. E tra gli interventi "trainanti" c'era proprio la sostituzione degli impianti di climatizzazione già esistenti con quelli a pompa di calore, anche geotermica. Come però saprai il Superbonus è momentaneamente bloccato per mancanza di fondi.

Le altre possibilità consistono nell'Ecobonus, che prevede una detrazione pari al 65% della spesa sostenuta per installare pompe di calore, e il Conto Termico 2.0, gestito dal Gestore dei servizi energetici per conto del MASE, che incentiva interventi di qualificazione energetica e calcola la copertura in base alle potenzialità dell'intervento e all'energia termica prodotta all'anno.

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