Massimo Vitturi (LAV): la Provincia di Trento ha fatto pochi sforzi dopo il progetto Life Ursus

Iniziato nel 1996 e finanziato dall’Unione europea, il progetto puntava alla reintroduzione di una comunità di orsi bruni sull’intero arco alpino centrale. A 27 anni di distanza quale scenario si prospetta per questi animali in Trentino? Lo abbiamo chiesto a Massimo Vitturi, responsabile nazionale dell’area Animali Selvatici della LAV – Lega Anti Vivisezione.
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Francesco Castagna 12 Aprile 2023
Intervista a Massimo Vitturi Responsabile nazionale dell'area Animali Selvatici della LAV – Lega Anti Vivisezione

Il rapporto tra animali ed esseri umani non è sempre facile, capita di leggere notizie di uomini e donne che convivono con specie solitamente non domestiche, ma succede anche di imbattersi, purtroppo, in fatti di cronaca infelici.

È il caso di Andrea Papi, il runner che ha perso la vita per via dell'orsa JJ4. Prima era M49, prima ancora KJ2, prima ancora Daniza. Ora c'è la conferma da parte della Procura della Repubblica di Trento, a seguito delle analisi genetiche dei laboratori della Fondazione Edmund Mach. A seguito di un incontro tra il Presidente della Provincia autonoma di Trento, Maurizio Fugatti, il Presidente ISPRA Stefano Laporta e il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, è stato discusso un piano di trasferimento per garantire la sostenibilità del numero di esemplari e delle misure anti-aggressione per gli operatori di pubblica sicurezza.

I precedenti

Il 22 giugno 2020 l'esemplare era già stata protagonista di un'altra aggressione nei confronti di un padre e di un figlio, Fabio Misseroni e Christian. Sull'orsa pendeva due anni fa una richiesta di abbattimento da parte della Provincia di Trento, ma l'ordinanza fu annullata dal Tar.

La questione degli orsi in Trentino si ripropone ciclicamente ogni volta che si verifica un episodio spiacevole. È colpa loro o colpa nostra? Si tratta di esemplari problematici o semplicemente di madri che difendono i loro cuccioli? Sono loro o oppure siamo noi nel posto sbagliato al momento sbagliato? Vanno abbattuti se pericolosi? E se la risposta è no, come imparare a conviverci? Probabilmente una risposta giusta, che metta tutti d’accordo, non la troveremo mai.

Forse non tutti sanno che gli orsi, in Trentino e più in generale sulle Alpi centrali, sono stati reintrodotti dall’uomo ormai più di venti anni fa attraverso il progetto Life Ursus, che aveva l’obiettivo di salvare l’ormai esigua popolazione di orsi autoctoni prossimi all’estinzione.

Il programma Life Ursus

L’idea era nata ancora nel 1992, durante la realizzazione del Piano faunistico del Parco nazionale Adamello Brenta, ma il progetto fu avviato quattro anni dopo, nel 1996 dallo stesso Parco Adamello Brenta in collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento e l’Istituto nazionale della Fauna Selvatica dopo uno studio di fattibilità e un sondaggio d’opinione realizzato dall’istituto DOXA di Milano che aveva coinvolto circa 1500 cittadini. Finanziato dall’Unione Europea, Life Ursus mirava a ricreare un nucleo di orsi bruni nelle zone del Trentino occidentale, Bolzano, Sondrio e Verona. Mantenendoli sempre monitorati attraverso radiocollari e analisi genetiche.

Così, tra il 1999 e il 2002, sono stati importati dalla Slovenia 10 esemplari, che avrebbero dovuto ricreare una popolazione di circa 40-50 orsi nel giro di una ventina d’anni. E così è stato, superando di gran lunga le aspettative. Infatti, pare che JJ4, l’orsa che ha aggredito padre e figlio sul monte Peller, sia proprio la figlia di Jurka, uno dei primi esemplari introdotti con il progetto, che era stata poi catturata nel 2007 per poi finire nell’oasi naturalistica della Foresta Nera, in Germania. Anche Daniza, uccisa nel 2014 da un’anestesia poi risultata letale dopo aver aggredito un cercatore di funghi, era stata introdotta in Trentino nel 2000 proprio nell’ambito del progetto. E appartenente a Life Ursus era anche KJ2, l’orsa che nel 2017 aveva aggredito un uomo a spasso con il suo cane nella zona dei laghi di Lamar, poi abbattuta. Oggi in Trentino vivono quasi 100 esemplari.

La questione della capacità dei territori di gestire questo progetto si ripropone ogni volta che avvengono episodi spiacevoli che coinvolgono la difficile convivenza tra uomo e orso sulle montagne, in particolare su quelle del Trentino dove sembrano avvenire con maggiore frequenza. La questione principale si riduce sempre a come agire nei confronti di esemplari considerati "problematici", le cui soluzioni possono essere l'abbattimento come previsto in alcuni casi (ma a quel punto è necessario verificare che l'orso sia realmente pericoloso, se ad esempio abbia agito per aggressività o semplice difesa), oppure il trasporto in un centro di recupero, con il conseguente rischio di condannare l'animale a una vita di reclusione lontana dalle sue necessità etologiche.

La LAV

Ma come sta procedendo il programma? Quali sono i progressi e quali le cose da migliorare? Ma soprattutto, perché non riusciamo a creare dei modelli di convivenza rispettosi dell'ambiente, degli animali e dell'uomo al tempo stesso? Lo abbiamo chiesto a Massimo Vitturi, responsabile nazionale dell'area Animali Selvatici della LAV – Lega Anti Vivisezione.

Vitturi, mi può spiegare cosa resta del progetto Life Ursus?

Il progetto si è concluso parecchi anni fa, sono circa 20 anni. Sono dei progetti finanziati dall'Unione Europea per la tutela della biodiversità finanziati dalla Commissione, hanno un arco di durata all'incirca di cinque anni. Il progetto Life Ursus, che prevedeva la reintroduzione dell'orso in Trentino si è chiuso nei primi anni 2000. Non c'è nulla che in questo momento stia prevedendo delle azioni conseguenti.

Il progetto viene richiamato dal presidente della Provincia autonoma di Trento, Maurizio Fugatti, perché al tempo nel planning che era stato fatto si prevedeva che ci fosse una cinquantina di orsi sul territorio del Trentino con diffusione per dispersione degli altri orsi nelle regioni vicine (Veneto, Lombardia, ma anche all'estero in Austria e in Svizzera).

Cosa che però non è accaduta, perché gli orsi si sono fermati in Trentino. Evidentemente trovano le risorse necessarie sufficienti alla loro sopravvivenza, o dal punto di vista etologico le femmine non si spostano. Dipende dalle femmine infatti la distribuzione e la diffusione degli orsi, perché i maschi si spostano molto di più delle femmine, a volte escono dai confini del Trentino ma poi ritornano perché non trovano delle femmine con cui accoppiarsi.

Quindi si può dire che da vent'anni non ci sono interventi per monitorare una situazione del genere?

Ci sono interventi di monitoraggio. La provincia di Trento per esempio ogni anno rilascia un rapporto, "Grandi carnivori". Nel documento sono riportate tutte le attività di monitoraggio della popolazione dei grandi carnivori, quindi orso, lupo o lince. In particolare, gran parte del rapporto è dedicato all'orso e vengono riportati eventuali incidenti, azioni di dissuasione, interventi della squadra di emergenza, il monitoraggio della popolazione con le stime di crescita anno per anno.

Alla luce di questa situazione, quali sono state le cose positive di questo progetto e quali invece quelle da cambiare?

La cosa positiva è che sicuramente dal punto di vista della biodiversità il progetto ha raggiunto i suoi obiettivi, perché la popolazione di orsi che si era estinta è stata ripristinata. Dal punto di vista della tutela della biodiversità gli obiettivi del progetto Life Ursus sono stati raggiunti.

Il grosso problema è che poi nulla è stato fatto dalla Provincia di Trento, che ha voluto questo progetto. Ma soprattutto non ha dato corso a tutte le attività di educazione alla presenza dell'orso. Questa è stata la mancanza più grave, che poi ha determinato tutto ciò che si è verificato nel corso degli anni e che ha avuto un'evoluzione così tragica, come la morte del runner.

A fronte della reintroduzione dell'orso fisico, non c'è stata quella dell'orso "culturale". È mancata la consapevolezza da parte dei cittadini di come ci si deve muovere in un territorio che è stato modificato.

Perché non riusciamo a creare un ambiente rispettoso della convivenza tra orsi ed esseri umani?

Perché attualmente la provincia non lo vuole fare.

Perché costa o è più una questione culturale?

Io parlerei di questione politica. Parliamo della Provincia di Trento, se non è la più ricca d'Italia di sicuro è tra le più ricche, non credo che manchino i fondi per attuare questo tipo di programmi.

Credo che non ci sia stata la volontà politica di attuare questi interventi di educazione e di formazione dei cittadini, benché la provincia avesse ben presente la situazione. Già nel 2002, quando gli orsi sul territorio Trentino erano tredici, la provincia stessa emise una delibera nella quale si riportava la necessità di prevedere azioni di informazione per favorire la convivenza con gli orsi.

L'iniziativa però non ha avuto alcun seguito, da parte di nessuna amministrazione. Al di là di Fugatti, che ha le sue responsabilità, anche tutte le amministrazioni provinciali precedenti non hanno fatto nulla di efficace.

Non c'è stato un programma coordinato, che non vuol dire mettere dei cartelli "attenzione zona frequentata da orsi", bisogna che ci siano dei programmi come quelli attuati in tutto il mondo.

Bisogna rendere consapevoli i cittadini del fatto che quando si entra in un bosco ci possono essere tutta una serie di situazioni potenziali, dalle api che ti rincorrono al ramo che ti cade in testa. Può anche accadere che incontri un orso e quindi devi sapere come comportarti.

Quali sono i consigli che la LAV dà per evitare situazioni del genere?

Noi come LAV siamo impegnati da tre anni con il Parco Naturale Adamenno Brenta proprio in un programma di informazione, che coinvolge e sensibilizza sia i cittadini che i turisti sulla presenza dell'orso e quindi come comportarsi in queste aree per evitare di incrociarli, ma anche per sapere cosa bisogna fare in una situazione del genere.

I nostri volontari diventano dei bear ambassadors e hanno contattato nel 2022 circa 10mila persone, sensibilizzandoli su cose come l'importanza di riportare i rifiuti a valle. Un pezzo di pane lasciato in giro non è di per sé un problema, lo diventa nel momento in cui quella zona è frequentata anche da orsi, che lo associano alla presenza di esseri umani e quindi si spingono sempre di più verso zone abitate dall'uomo.

L'orso è timoroso, non gli interessa incontrare noi esseri umani

L'orso potrebbe perdere la normale diffidenza nei confronti delle persone, anzi addirittura potrebbero cominciare a cercarle per il cibo. Abbiamo spiegato poi che in queste aree è fondamentale tenere i cani al guinzaglio; che non bisogna uscire dai sentieri; che è sempre opportuno evitare di essere troppo silenziosi, facendo il normale rumore dell'essere umano (tutti elementi che fanno capire all'orso che si trova vicino a degli esseri umani).

L'orso è timoroso, non gli interessa incontrare noi esseri umani. Non c'è bisogno di urlare o mettersi a correre, perché l'orso è molto più veloce di noi nel raggiungerci. Questi comportamenti aumentano la paura nell'orso, che per reazione cerca di allontanare questa fonte di pericolo.

Quindi cosa bisogna fare?

Esattamente quello che ci dice la scienza. Nel caso fortuito di un incontro con un orso bisogna evitare di urlare; non arrampicarsi su un albero, perché anche lì l'orso è più veloce. Semplicemente bisogna fargli capire che noi non rappresentiamo un pericolo.

L'orso è un animale pauroso, nonostante la stazza e l'impressione che può trasmettere. In realtà è pauroso e ha paura dell'essere umano. Dobbiamo fargli capire che noi per lui non rappresentiamo un pericolo, quindi non c'è bisogno che lui ci scacci dal suo territorio. Dobbiamo mostrarci inoffensivi e quindi fermarci, farci più piccoli proteggendo le parti vitali del nostro corpo e tornare sui nostri passi, lasciandogli una via di fuga affinché lui se ne possa andare.