Dare un valore economico alle balene per frenare il riscaldamento globale

Le balene pensate come servizi ecosistemici per frenare il riscaldamento globale. Come? Proteggerle dandogli valore economico: lo stock esistente vale 1 trilione di dollari.
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Andrea Di Piazza Geologo specializzato in Green Management
7 Febbraio 2024 * ultima modifica il 07/02/2024

Le emissioni di gas climalteranti legate alle attività antropiche hanno ormai modificato l'equilibrio dell'effetto serra terrestre, provocando un anomalo riscaldamento dell'atmosfera con conseguenze molteplici sugli ecosistemi e sulla nostra vita. Il ruolo della nostra società è adesso quello di trovare delle soluzioni che possano fermare questa corsa sfrenata verso l'ignoto, considerando che già il clima – secondo gli scienziati – a causa del riscaldamento è entrato in un "territorio inesplorato". Gli interventi proposti sono molteplici, spesso non proprio economici o difficilmente realizzabili in tempi brevi, ma a volte le soluzioni più semplici vengono dalla natura stessa.

Ripristinare le popolazioni di balena in tutto il mondo, contribuirebbe ad una riduzione della concentrazione di anidride carbonica. Nel ciclo della loro vita, infatti, i cetacei e gli organismi coinvolti dalla loro esistenza, accumulano notevoli quantità di CO2 che sottraggono al sistema ambiente. Oggi si stima che la popolazione mondiale di balene sia ridotta di almeno un quarto rispetto al passato, come fare dunque per ripopolare mari e oceani? Ci vengono in aiuto "i servizi ecosistemici".

Animali straordinari

Qualche anno fa Rebecca Giggs, scrittrice ed esperta in scienze ecologiche, ha dato alla luce un libro che è un piccolo capolavoro: "Le regine dell'abisso". 416 pagine in cui la studiosa esplora il mondo misterioso delle balene e la loro interazione con l'ambiente circostante, mettendo in luce scoperte e curiosità di questi animali straordinari. Per esempio, secondo una recente ricerca, citata nel libro, i suoni emessi dalle megattere si sarebbero abbassati di almeno tre toni nel corso degli ultimi secoli; un fenomeno che troverebbe spiegazione o per un aumento del numero degli individui (sono di più, non hanno più bisogno di "urlare") oppure, più probabile, perché gli oceani sono diventati più acidi e dunque il suono si propagherebbe in maniera diversa rispetto al passato.

Ma il filo che lega cetacei, ambiente e clima è molto più stretto. Si è scoperto per esempio che la presenza delle balene ha un effetto moltiplicatore sull'esistenza del fitoplancton, ovvero la parte vegetale del plancton, che cattura enormi quantità di CO2: parliamo di 37 miliardi di tonnellate l'anno (l'equivalente dell'anidride carbonica assorbita da 4 Foreste Amazzoniche). Gli escrementi delle balene infatti contengono parecchio azoto e ferro, nutrienti di cui il fitoplancton ha bisogno per vivere, una sorta di fertilizzante naturale per questi microorganismi.

Catturare più CO2 salvando i cetacei

Lasciare più balene in circolazione significa dunque aumentare il volume di fitoplancton negli oceani e nei mari del mondo, aumentando enormemente di conseguenza la quantità di CO2 assorbita ogni anno in maniera del tutto naturale e a costo zero. Anche solo una variazione positiva dell'1% di fitoplancton ogni anno si tradurrebbe in centinaia di milioni di tonnellate di CO2 rimossa. Senza dimenticare poi che anche le balene hanno un potenziale intrinseco di accumulo di anidride carbonica nei loro corpi: ogni individuo sequestra in media 33 tonnellate di CO2.

Oggi per fortuna la caccia a questi cetacei è vietata nella maggior parte del Pianeta, anche in Islanda dove da quest'anno verrà fermata qualsiasi operazione. Tuttavia, è triste constatare che ancora in alcuni Paesi definiti "avanzati" come il Giappone, a dispetto dei divieti imposti dalla Corte dell'Aia, si continui a dare la caccia ai giganti del mare. I rischi della loro sopravvivenza vengono anche da altre cause come i rifiuti abbandonati in mare (es. plastica, materiali da pesca) nonché dal traffico navale e dall'inquinamento acustico. Come proteggere dunque questi alleati nella lotta alle emissioni di gas climalteranti? Una soluzione è stata proposta dall'International Monetary Fund (IMF): diamo un valore economico alle balene.

Il valore economico delle balene

Se vogliamo coinvolgere il mondo dell'industria e i decisori politici nel tentativo di salvare le balene, dobbiamo dimostrare il loro valore economico. I benefici apportati da questi animali all'ecosistema terrestre sono molteplici tanto da poter essere considerati un bene comune. L'International Monetary Fund ha stimato il valore medio di una grande balena partendo dalla quantità di carbonio assorbito da uno di questi cetacei nel corso della sua vita e, utilizzando stime che incrociano il prezzo medio dell'anidride carbonica, il valore dei contributi economici derivati dai benefici apportati all'industria della pesca e dell'eco-turismo (es. il whale-watching), si è stimato che il valore medio di una grande balena è di oltre 2 milioni di dollari. Considerato lo stock esistente nei mari e negli oceani del mondo il valore complessivo sale a oltre 1.000 miliardi di dollari.

Stimato il valore economico degli animali, l'IMF propone di mettere in atto un meccanismo di incentivazione sul modello del programma delle Nazioni Unite REDD ("Reducing Emissions from Deforestation and Forest Degradation in Developing Countries") con cui si forniscono incentivi ai Paesi per preservare le proprie foreste come strumento di rimozione della CO2 dall'atmosfera. Per esempio, sussidi o altre forme di incentivazione potrebbero essere pensate per risarcire le compagnie di navigazione dei costi derivati dalle deviazioni dalle rotte commerciali con il fine di ridurre il rischio di collisione con le balene.

Quanto siamo disposti a spendere per proteggerle?

Secondo l'analisi dell'IMF, considerando un ripristino generale della popolazione mondiale delle balene e la conseguente quantità di CO2 catturata (1,7 miliardi di tonnellate l'anno), il costo pro capite per proteggere le balene sarebbe di 13 dollari l'anno.  A questo punto però sarebbe necessario istituire una struttura politico-finanziaria per sovrintendere la gestione del volume di incentivi/risarcimenti, il monitoraggio delle attività legate alla protezione dei cetacei e la gestione delle sanzioni.

Considerato poi il ruolo "no-tech" che svolgono nel sequestro della CO2 e l'importanza che giocano questi animali nel Pianeta in cui viviamo, la loro protezione dovrebbe essere inclusa negli obiettivi della conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP). Discutiamo sempre di tante strategie dispendiose e spesso fuori dalla scala temporale rispetto alla velocità con cui si manifestano gli effetti del riscaldamento globale. La natura ci offre una soluzione economica e che apporterebbe benefici non solo per gli oceani ma per l'intero Pianeta. Cosa stiamo aspettando?

Dopo una laurea in Geologia ed un dottorato di ricerca presso l'Università degli Studi Roma Tre, ha lavorato come ricercatore presso altro…