Depurazione in Italia: i problemi del Sud. Bocciate Sicilia e Calabria, promossa la Puglia

La depurazione è fondamentale per tutelare ambiente, salute e per sostenere il turismo. I problemi maggiori dove pensiamo che il mare sia più bello: al Sud.
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Andrea Di Piazza Geologo specializzato in Green Management
28 Luglio 2023 * ultima modifica il 28/07/2023

In Italia circa il 25% della popolazione non è ancora servita da un adeguato servizio di depurazione delle acque reflue. Scarichi non depurati, purtroppo, finiscono ancora nei nostri mari inquinandone le acque. Un problema che si somma a plastiche, microplastiche, scarichi illegali ed ecomafie e che danneggia non soltanto la salute del mare ma anche la nostra. Negli ultimi giorni Goletta Verde, il programma di monitoraggio scientifico di Legambiente che gira con un’imbarcazione-laboratorio per i mari italiani, ha messo in luce le criticità di alcune zone d’Italia e in particolare del Centro-Sud: il 58% dei punti campionati in Calabria è risultato oltre i limiti di legge, tanti anche i siti inquinati in Sicilia e nel Lazio. Qual è dunque lo stato della depurazione in Italia?

La depurazione delle acque

Gli impianti di depurazione sono infrastrutture essenziali per il trattamento delle acque reflue, cioè delle acque inquinate prodotte da insediamenti urbani, industriali o agricoli. Il loro obiettivo principale è quello di rimuovere sostanze inquinanti e agenti patogeni presenti nelle acque reflue, al fine di restituire l'acqua trattata all'ambiente in modo sicuro o di riutilizzarla in altre attività, riducendo così l'impatto negativo sull'ecosistema e sulla salute pubblica.

Ma come funzionano? Il refluo arriva agli impianti tramite la rete fognaria, dove viene prima pre-trattato (ovvero si rimuovono i materiali più grossolani che contiene) e poi viene sottoposto a una serie di trattamenti sempre più spinti che si suddividono in trattamenti primari (in cui avviene la separazione dei solidi sospesi tramite sedimentazione), secondari (che utilizzano processi biologici per convertire gli inquinanti organici disciolti e i solidi in sospensione in prodotti più stabili, come biossido di carbonio e fanghi attivati) e terziari o superiori (serie di trattamenti per ridurre nutrienti e altre sostanze residue, se necessario, per adempiere a normative specifiche o per un riutilizzo più avanzato dell'acqua trattata).

Gli impianti possono avere uno o integrare diversi di questi trattamenti, chiaramente maggiore è il grado di depurazione, migliore è l’acqua depurata che ne deriva. Possono inoltre essere di diverse dimensioni: dal trattamento di piccole comunità fino a grandi centrali per aree urbane densamente popolate.

Il parco impiantistico italiano

Secondo l’ultimo censimento dell’Istat, risalente al 2020, in Italia sono attivi 18.042 impianti di cui la maggior parte ha solo i sistemi di trattamento primario (il 56% del totale), mentre circa un terzo integra trattamenti di tipo secondario (il 31%) e solo il 13% avrebbe trattamenti terziari o superiori. La maggior parte è concentrata nelle regioni settentrionali (il 59%) seguono il Sud con il 22% e il Centro Italia con il 21%.

Questa distribuzione non è soltanto legata alla distribuzione nazionale della popolazione ma anche ad una maggiore carenza di investimenti al Centro-Sud. I dati di Goletta Verde del resto sono impietosi e descrivono una situazione critica, che viene confermata anche dalla ripartizione territoriale degli impianti: al Sud Italia soltanto la regione Puglia ha una dotazione impiantistica soddisfacente e acque del mare sostanzialmente pulite.

Qualità tecnica e procedure di infrazione

Negli ultimi anni, i dati sugli interventi per il miglioramento della qualità dell’acqua depurata raccolti dall’Autorità di Regolazione (ARERA) registrano una variazione in positivo degli indicatori di qualità tecnica. Sono dati molto significativi perché riflettono lo sforzo dei gestori nella risoluzione delle procedure di infrazione nell’ambito della depurazione che attualmente interessano parte del Paese.

La direttiva 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane, infatti, stabilisce i requisiti minimi e le scadenze entro cui conformarsi agli obblighi di raccolta e trattamento delle acque reflue, nonché gli standard di qualità delle acque prima dello scarico e introduce controlli sullo smaltimento dei fanghi di depurazione. Nonostante siano trascorsi più di 30 anni dall’entrata in vigore della direttiva, numerosi agglomerati italiani non risultano ancora conformi: ciò ha condotto all’apertura di diverse procedure di infrazione e all’emanazione, da parte della Corte di giustizia dell’Unione Europea, di alcune sentenze di condanna contro lo Stato italiano. In Italia sono ancora attive 939 procedure per un carico generato pari a circa 30 milioni di abitanti equivalenti. Si pensi che il 72% riguarda agglomerati urbani del Sud Italia e delle Isole (ben 683). Per capire di cosa si parla basta andare in Sicilia.

Il caso Sicilia

San Leone è una delle spiagge più affollate e frequentate dell’agrigentino: una lingua di sabbia lunga chilometri stretta tra il blu Mediterraneo e la dorata Valle dei Templi. Eppure, in un contesto così idilliaco, qualche giorno fa è arrivata la segnalazione della delegazione locale di Mareamico dell’ennesima chiazza di liquami sulla costa. In realtà scorrendo le altre segnalazioni dell’associazione, la costa agrigentina sembra bersagliata dai reflui: Siculiana, Realmonte, la foce del Fiume Naro, giusto per citarne alcuni.

La situazione della depurazione in Sicilia è drammatica”, come ha ammesso qualche mese fa in un’intervista ad un quotidiano locale il sub commissario per la depurazione Riccardo Costanza. Secondo l’ultimo report disponibile dell’Arpa, che contiene i risultati di 428 ispezioni effettuate nel 2021, soltanto 151 depuratori su 390 attivi avevano l’autorizzazione allo scarico e, dato ancor più allarmante, ben il 62% degli impianti era sprovvisto delle autorizzazioni necessarie. Mancano i fondi per la manutenzione e la presenza delle gestioni in economia (ovvero la gestione da parte degli enti locali) soffoca la capacità di spesa dei gestori che si ritrovano con impianti vecchi e malfunzionanti. A queste difficoltà si aggiunge anche un tasso di morosità che in alcune zone arriva al 30%: la tariffa infatti non finanzia solo i costi di esercizio ma anche gli investimenti da realizzare che, in questo caso, non possono essere attuati.

Liquami sulla spiaggia di San Leone (Ag, Sicilia) il 24 luglio scorso.

Investimenti futuri e PNRR

Per contribuire a colmare il gap impiantistico e migliorare lo stato della depurazione, soprattutto al Sud Italia, un’opportunità è offerta dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. La linea 4.4 della componente M2C4 dedicata proprio ad interventi per fognature e depurazione mette a disposizione 600 milioni di euro per realizzare impianti di depurazione innovativi o per l’ammodernamento di quelli esistenti con l’obiettivo di ridurre di almeno 2,6 milioni il numero di abitanti residenti in agglomerati non conformi alle direttive europee. Il 17 maggio 2022, è stato pubblicato il Decreto Ministeriale n. 191 che contiene i criteri di riparto delle risorse e i criteri di ammissibilità delle proposte progettuali: il 40% delle risorse andrà al Sud Italia.

L'obiettivo della misura è di intraprendere investimenti che rendano più efficace la depurazione delle acque reflue scaricate nelle acque marine e interne e, laddove possibile, trasformare gli impianti di depurazione in "fabbriche verdi" per consentire il riutilizzo delle acque depurate a scopi irrigui e industriali. La depurazione infatti consente il recupero dei fanghi e delle acque che vengono reimmesse nell’ambiente, divenendo un esempio concreto di economia circolare.

 

La depurazione per l’economia circolare e il turismo

Il riutilizzo delle acque reflue depurate può essere considerata una via innovativa e alternativa nell'ambito di un uso più razionale della risorsa idrica. Gli effetti dei cambiamenti climatici, infatti, ci impongono di tutelare le risorse idriche e differenziare le fonti di approvvigionamento. Il vantaggio economico del riutilizzo, inoltre, risiede nel fornire alla comunità un approvvigionamento idrico, almeno per alcuni usi per i quali non si richieda acqua di elevata qualità, a costi più bassi, poiché il riciclo costa meno dello smaltimento. Le acque possono dunque essere riutilizzate per fini irrigui o industriali.

L’innovazione tecnologica, però, con sistemi di trattamento sempre più spinti, ci potrà portare presto a disporre di riserve d’acqua per svariati usi, magari anche domestici, anche dalle acque reflue. Fondamentale ovviamente un impianto normativo che consenta il riutilizzo delle acque in totale sicurezza: un importante passo avanti, da questo punto di vista, è stato fatto con la pubblicazione del Decreto del 12 giugno 2003, n. 185 che stabilisce le norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue domestiche, urbane ed industriali attraverso la regolamentazione delle destinazioni d'uso e dei relativi requisiti di qualità, favorendo il risparmio idrico mediante l'utilizzo multiplo delle acque reflue.

Le ricadute positive degli impianti da depurazione sono non solo per il settore occupazionale ma anche e soprattutto per il settore turistico. Una depurazione che funziona si traduce in acque del mare più pulite. In tal senso un esempio brillante è la Puglia che può vantare un eccellente sistema di depurazione delle acque e il mare più pulito (e anche per questo tra i più belli) d’Italia. Goletta Verde docet. Hai capito, Sicilia?

Dopo una laurea in Geologia ed un dottorato di ricerca presso l'Università degli Studi Roma Tre, ha lavorato come ricercatore presso altro…