
Le immagini provenienti dal Kuwait della discarica di pneumatici in fiamme che in questi giorni stanno girando sui media sono davvero impressionanti. E alla vista dei movimenti di quella nuvola nera che si sprigiona da circa sette milioni di copertoni avvolti dalle fiamme è impossibile non domandarsi quali possano essere gli effetti ambientali e sanitari di un fenomeno di questo genere.
Per capirci qualcosa di più ci siamo rivolti al dottor Angelo Cecinato, già Direttore dell’Istituto sull’inquinamento atmosferico del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), oggi in pensione.
Un incendio di scarti di pneumatici ha degli elementi in comune con tutti gli incendi e i processi di combustione di materiale organico, nonché sostanze tipiche del materiale bruciato. Al primo gruppo appartengono polveri fini e ultra-fini (le famose nanoparticelle), ossidi d’azoto, idrocarburi incombusti tossici quali composti aromatici, aldeidi, idrocarburi policiclici aromatici, sostanze clorurate, ritardanti di fiamma presenti nel combustibile originario, ecc. Per fare qualche esempio di composti tossici (cancerogeni), ricordiamo il benzene, la formaldeide, il benzo[a]pirene, i PBDE (ritardanti di fiamma), l’acroleina, polimeri.
Al secondo gruppo, per gli pneumatici si annoverano gli inquinanti solforati (derivati dell’anidride solforosa, solfuri, solforati organici) e molte sostanze azotate organiche, presenti nella composizione chimica dei materiali. Bisogna considerare anche il contributo di altre sostanze tossiche presenti in tracce, provenienti dall’usura di pneumatici (ad esempio per i freni e la pavimentazione stradale: metalli pesanti, rame, zinco, arsenico). Il rilascio delle diossine, di cui spesso si parla, in realtà non dovrebbe avvenire se non in casi rari, in cui il materiale di partenza contenga cloro, composti organici e altre sostanze in grado di agire da catalizzatori (promotori di reazione).
Molte di queste sostanze sono cancerogene. Oltre allo sviluppo di tumori, molte sostanze rilasciate dagli incendi sono in grado di indurre altri problemi di salute, dalle irritazioni cutanee e della gola ai problemi cardiaci, ai danni genetici.
L’impatto di questo tipo di inquinamento è tipicamente sanitario, ma ci sono ricadute anche riguardo all’effetto serra. Polveri nere e brune assorbono luce solare trattenendola come calore. Inoltre il protossido d’azoto (tipico delle combustioni e ancora più importante nei materiali combusti contenenti azoto) è uno dei più importanti gas serra.
Ovviamente l’entità e la durata del danno dipendono anche dalle dimensioni dell’incendio. Nel caso del Kuwait le proporzioni sono tali da ipotizzare una dimensione regionale (continentale) e non solo locale. Non va trascurato che polveri fini e vapori tossici possono viaggiare per migliaia di chilometri.
Da una parte, lo sviluppo tecnologico e legislativo tende a ridurre l’uso di materiali tossici in sé o in grado di trasformarsi in sostanze tossiche; dall’altro, si tratta di tradurre in pratica le indicazioni della scienza e della tecnologia e favorire il controllo del rispetto delle normative. Ma poco si può fare se manca una coscienza (sensibilità) ambientale e se l’unico parametro che conta è il profitto. Un vero “ambientalismo” non è contro il progresso né velleitario-massimalista, ma contempera il “benessere” con il bene di tutti, sapendo che c’è un costo da pagare per il bene anche delle generazioni future (quelle che più pagheranno il conto dei danni ambientali odierni).