
"Quando sei alle superiori, tutti ti dicono che la scuola è una palestra di vita e nella vita vera a nessuno importa se soffri d'ansia, se sei emotivo, se piangi, se ti sudano le mani, l’importante è quello che rendi, ciò che ti definisce è la tua performance". Rachele oggi fa l'insegnante e ha 27 anni, ma i giorni trascorsi seduta ai banchi del suo liceo li ricorda nitidamente, come se fosse ieri.
Come lei sono migliaia gli adolescenti – di ieri e di oggi – lasciati soli a combattere contro i disturbi d'ansia. È vero, dopo la pandemia se ne parla sempre più spesso, ma il malessere provato in classe non è solo una conseguenza del Covid-19. Esisteva già da molto tempo prima, solo che i ragazzi di oggi ne hanno preso consapevolezza e non vogliono più restare in silenzio.
Tra di loro ci sono i ragazzi di Rete degli studenti, associazione studentesca che negli ultimi mesi sta chiedendo a gran voce di essere ascoltata dalla politica. Una di loro è Camilla Velotta, che del tema si occupa da tempo: "E' evidente – ci dice – che nelle scuole italiane c'è un problema di salute mentale". Ventenne come lei, Martina Lembo Fazio ha la delega per il benessere psicologico all'interno dell'Unione degli studenti.
Ohga ha ascoltato tutte e tre le loro voci e con il parere della psicologa Francesca Rendine, ha raccontato da dove nasce il loro malessere e cosa potremmo fare per aiutarli.
La generazione dei social, dei trend su Tik Tok e dei reel su Instagram. Quante volte se lo sono sentiti dire gli adolescenti di oggi, ma i social la GenZ non li usa solo per i balletti e le scenette divertenti. I ragazzi di Rete degli studenti, ad esempio, li hanno utilizzati per raccontare il loro stato mentale. "Chiedimi.come.sto" si chiama la pagina che hanno aperto su Instagram a febbraio 2022 : "Perché nessuno l'ha mai chiesto a me e alla mia generazione", si legge sul primo post ufficiale dell'account.
Un silenzio, quello degli adulti e della politica, alla quale loro hanno voluto rispondere con i numeri. E visto che nessuno glielo ha mai chiesto, se lo sono chiesti da soli: "Abbiamo voluto porre questa domanda – spiega Camilla – a 30mila studenti delle scuole superiori e degli atenei di tutta Italia e le risposte parlano da sole". In sintesi sono queste:
Nove ragazzi su dieci chiedono un supporto psicologico. Ma gli sportelli d'ascolto non esistono già negli istituti scolastici? In teoria sì, ma in pratica è evidente che qualcosa non funziona. Lo confermano i dati di un altro studio: il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) nell'ambito del progetto Espad Italia (European School Survey Project on Alcohol and other Drugs) ha stimato che solo nel 2022 circa 300mila studenti delle superiori, pari al 10,8% dei ragazzi compresi tra i 15 e i 19 anni, hanno assunto psicofarmaci senza prescrizione medica.
"Fin da quando siamo piccoli, a scuola veniamo calati in un sistema che ci valuta costantemente, facendoci sentire sempre sotto esame". Quello di Camilla è un punto di vista condiviso da tanti suoi coetanei, ormai stanchi di sentirsi costretti in una gara continua di cui non riconoscono regole e premi.
"Il sistema scuola, così com'è concepito – le fa eco Martina – ci spinge a provare sin dalle prime esperienze una forte ansia di prestazione: dobbiamo raggiungere un livello standard prefissato, che non ammette le differenze".
Non può esistere sistemare meritocratico che non tiene conto delle differenze individuali
Camilla Vilotta, membro esecutivo nazionale di Rete degli studenti
Camilla e Martina provengono da due esperienze scolastiche differenti, la prima ha alle spalle cinque anni in un liceo classico di Verona, la seconda ha frequentato un pedagogico nel Molise, eppure le loro parole sono simili. Cultura del merito, voto e didattica frontale sono secondo loro – e le centinaia di ragazzi con cui si sono confrontate durante gli anni all'interno delle associazioni studentesche: "Non può esistere una cultura del merito non può esistere in un sistema chiaramente non meritocratico: non partiamo tutti dallo stesso contesto sia dal punto di vista economico che sociale, né possediamo tutti gli stessi strumenti", aggiunge Camilla.
"Nella mia classe si era creato un contesto molto competitivo e io, anche se non lo ero affatto". Rachele, invece, il liceo lo ha fatto qualche anno fa, un classico in una città dell'Umbria, quando la parola pandemia non era nemmeno mai stata pronunciata se non nel sottotitolo di un film post apocalittico, eppure la sua esperienza non è troppo lontana da quella di Camilla e Martina.
"Anche se non avevo grossi problemi nelle materie, a scuola mi sentivo giudicata di contino. Non solo alle interrogazioni o zi compiti in classe, io avevo paura anche solo di parlare. Quando dovevo dire qualcosa, anche senza voto, iniziavo a tremare, mi sudavano le mani, quasi non respiravo. Ma nessun professore si è mai chiesto perché mi sentissi in quel modo".
"Non è raro vedere ragazzi che hanno attacchi di panico in classe, per non parlare di chi resta a casa pur di non affrontare la scuola", conferma Camilla. "Io personalmente – continua la ventenne – non ho avuto mai crisi così forti, ma quello della salute mentale è un tema che tocca tutti gli studenti. Essere classificati come "il primo della classe" può essere un problema quanto avere brutti voti a scuola".
Questa potrebbe essere la risposta più semplice, ma no, non è quella corretta. Il malessere psicologico a scuola esiste e non può essere più considerato formativo (se i risultati sono questi).
Ai ragazzi va spiegato che il voto è alla loro performance ma non alla loro persona
Francesca Rendine, psicologa
"Non credo che la durezza possa essere valutata come uno strumento educativo – spiega la dottoressa Rendine – È vero che fuori dalla scuola li aspetta un mondo altamente competitivo, però non dimentichiamo che la scuola è il luogo in cui i ragazzi si stanno strutturando non solo dal punto di vista delle nozioni, ma anche e soprattutto in quanto persone".
Certo, la scuola deve continuare a poter valutare gli studenti, ma il punto è nelle modalità con cui viene assegnato il "giudizio":
"Il voto non rappresenta un problema in sé a patto che venga utilizzato nel modo giusto. Oltre a valutarli, bisogna far capire ai ragazzi il significato del voto: renderli consapevoli che quel voto è relativo a una loro prestazione scolastica, ma non giudica la loro personalità e le loro qualità a 360 gradi. Una performance può andare bene come male, ma non è questo a determinare il tuo valore".
"Ma se un ragazzo studia alla fine si vede". Forse lo stai pensando, ma anche in questo caso, le cose sono più complesse di così. La dottoressa Rendine ci ha spiegato cosa succede nella mente di uno studente quando è in preda all'ansia:
"L’ansia può scatenare una serie di sintomi, sia a livello psichico, come l’eccessiva preoccupazione di non riuscire a gestire gli eventi che accadranno e la conseguente paura di non potercela fare, ma anche dei veri e propri effetti fisici come tachicardia, tensione muscolare o sudorazione eccessiva".
Ciò che dobbiamo ripensare è la nostra concezione stessa della sfera emotiva: "Il punto è – spiega la psicologa – che non possiamo dividerci in tre, come se la nostra componente fisica fosse divisa da quella emotiva e da quella cognitiva".
L'ansia e lo stress emotivo possono avere un effetto reale sulla performance di una persona sia a scuola che sul lavoro: "Quella sorta di annebbiamento tipicamente sperimentato durante la cosiddetta “scena muta” è la prova lampante di come in un momento di forte ansia anche gli aspetti cognitivi vengono depotenziati e quindi la memoria possa venire meno".
Davanti a questo scenario i ragazzi chiedono di essere ascoltati, in primis da una figura professionale che sia disponibile all'interno delle scuole. In poche parole: un servizio di sportelli d'ascolto psicologico davvero efficiente. Ma a oggi qual è il contesto normativo che regola gli sportelli d'ascolto in Italia?
Un importante passo in avanti è stato fatto con l'emergenza Covid-19. L'assistenza psicologia era stata già inserita nel decreto "Rilancio" (legge 17 luglio 2020, n.77), anche se non erano previsti fondi specifici per quest'attività. A renderla obbligatoria è stato il successivo Protocollo d'Intesa per il supporto psicologico nelle istituzioni scolastiche tra il ministero dell'Istruzione e il Consiglio Nazionale dell'Ordine dei psicologi del 2020, che destina tale sostegno a tutte le istituzioni scolastiche ed educative statali che ricevano risorse economiche dal Ministero.
Eppure nella pratica la strada è ancora lunga. "In sostanza – racconta Camilla – lo sportello è a gestione regionale, questo significa che la situazione cambia da Regione a Regione. Non è raro sentire casi di sportelli tenuti dagli stessi docenti oppure episodi in cui sia il personale scolastico a chiamare gli studenti direttamente nelle classi, davanti a tutti".
"Il caso – sottolinea la dottoressa Rendine – in cui a fare sportello ci sia una figura diversa da uno psicologo è assolutamente inaccettabile, oltre a essere un illecito professionale a tutti gli effetti".
Lo sportello psicologico deve essere tenuto per definizione da uno psicologo
Francesca Rendine, psicologa
Un altro problema è quello della privacy: "Affinché il servizio psicologico funzioni: l’utente deve sentirsi tutelato, sicuro e protetto e non potrà mai riuscirci se deve relazionarsi con una figura ambivalente che lo conosce anche in altri contesti. Immaginiamoci un professore di educazione fisica che dalle 9 alle 11 insegna la sua materia e poi dalle 12 alle 13 fa servizio di sportello. Chiaramente non può funzionare", aggiunge la dottoressa.
Da parte loro gli studenti sono i primi a chiedere maggiori finanziamenti e "un ripensamento totale degli sportelli d’ascolto all’interno delle scuole", insieme a una ristrutturazione dei consultori delle nostre città. Richieste chiare e puntuali. Nessun capriccio: "La nostra generazione sta male, è il momento di ascoltarci!".
Fonti | Consiglio nazionale delle ricerche, Gazzetta Ufficiale, Ministero dell'Istruzione