È una bomba a orologeria: uno studio lancia l’allarme sulla petroliera abbandonata al largo dello Yemen

Un recente pubblicato su Nature Sustainability lancia l’allarme sulle conseguenze a livello ambientale, economico e sociale provocate dallo sversamento di petrolio della Safer, la nave abbandonata al largo dello Yemen da ormai sei anni.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Gaia Cortese 14 Ottobre 2021

Abbandonata come un vecchio relitto, e difatti, ormai lo è. A poche miglia dalla costa dello Yemen, nelle acque del Mar Rosso, da sei anni a questa parte è ormeggiata una petroliera, abbandonata in queste acque al principio della guerra civile yemenita nel 2015.

La FSO Safer, questo è il nome della petroliera, è sotto il controllo di un ridottissimo equipaggio di sette persone, nonostante contenga nel suo scafo 1,1 milioni di barili di greggio, quattro volte la quantità di petrolio che si era riversata nel golfo dell’Alaska nel 1989 in seguito all’incagliamento nella scogliera dello stretto di Prince William della superpetroliera Exxon Valdez.

Sembrerebbe l'incipit di un romanzo di fantascienza di Jules Verne, ma no lo è. È tutto gravemente reale. La Safer è diventata un deposito di greggio galleggiante che rappresenta una terribile minaccia per l’ambiente.

Come si legge in questo articolo su Corriere.it, “al momento l’acqua è entrata nella sala macchine (dal maggio 2020) attraverso una falla e il sistema antincendio non è operativo. Se lo scafo cedesse, affondando, e i barili implodessero per la pressione sottomarina, il greggio inquinerebbe gran parte del Golfo incluse le coste su cui sorgono gli impianti di desalinizzazione che attualmente forniscono acqua potabile a milioni di persone. Potrebbe poi verificarsi una fuoriuscita a causa di una perdita o di un incendio, dovuto a un accumulo di gas volatili a bordo o ad un attacco armato, dato che attualmente la petroliera è controllata dai ribelli Houthi”.

La Safer, infatti, è sotto il controllo dei ribelli Houthi, un movimento politico armato sciita che controlla lo Yemen del Nord ed è l'unico ad avere attualmente accesso alla nave. A nulla sono serviti finora i negoziati intavolati dalle autorità internazionali allo scopo di scaricare i milioni di barili di greggio rimasti a bordo della petroliera. E se non bastasse, la situazione è resa ancora più intricata a causa delle tensioni belliche nello Yemen e per la resistenza da parte dei ribelli a consentire le ispezioni a bordo della nave da parte dei delegati Onu.

Da 6 anni in panne al largo dello Yemen, la Safer ha un carico 4 volte più inquinante rispetto a quello della Exxon Valdez, causa di un disastro ambientale in Alaska nel 1989.

A riportare l’attenzione sui media della condizione in cui versa da anni la Safer è stato uno studio pubblicato da pochi giorni su Nature Sustainability che ha provato a immaginare cosa potrebbe accadere se si verificasse una fuoriuscita di petrolio, considerate le attuali condizioni della nave. Non si tratterebbe infatti "solo" di un enorme disastro ambientale, ma avrebbe delle ripercussioni gravi anche a livello economico e sociale.

Secondo il recente studio, se la Safer iniziasse a perdere petrolio, le barriere coralline attualmente studiate per la loro resistenza al surriscaldamento dell’acqua marina, sarebbero seriamente compromesse, come lo sarebbe, nell’arco di una settimana, fino all’85% dello stock ittico dell’area.

Sarebbe poi necessario chiudere i porti di Hodeidah e Salif, entrambi sul mar Rosso, dove viene recapitato il 68% degli aiuti umanitari allo Yemen. Quasi 10 milioni di persone rischierebbero di rimanere senza acqua potabile, non solo perché il petrolio sversato in mare potrebbe contaminare gli impianti di desalinizzazione posti lungo la costa, ma anche perché nello Yemen l’acqua viene estratta dai pozzi e trasportata su autocarri. La chiusura dei porti però bloccherebbe la consegna del carburante stesso e la paralisi del sistema sarebbe inevitabile, oltre all’inesorabile aumento dei prezzi che ne conseguirebbe.

A farne le spese sarebbe poi anche la salute pubblica, perché il rischio di ricoveri per problemi e patologie cardiovascolari causati dall'inquinamento atmosferico aumenterebbe dal 5,8% al 42% per tutta la durata dello sversamento di petrolio in acqua. In pratica, le condizioni di vita del popolo yemenita andrebbero ulteriormente ad aggravarsi, portando una catastrofe ambientale a diventare anche umanitaria.