Enzo e il suo museo dei rifiuti che vengono dal mare: “La plastica è lo strato archeologico del futuro”

Si chiama Archeoplastica ed è un museo digitale in cui puoi vedere in 3D rifiuti plastici trovati sulle spiagge risalenti anche agli anni ’60 e perfettamente conservati. Si tratta di un’esposizione che punta ad aumentare la consapevolezza della nostra responsabilità sull’uso della plastica. Perché quello che gettiamo adesso in mare, resterà intatto per centinaia se non migliaia di anni.
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Sara Del Dot 8 Settembre 2021

Un flacone di detersivo per vetri risalente agli anni ’60, un sacchetto di patatine scadute nel 1983, un barattolo del cui marchio non si ha notizia. Se un tempo ci stupivamo soltanto per il ritrovamento di oggetti antichi risalenti alla preistoria o alle primitive civiltà, oggi iniziamo a meravigliarci anche di fronte a reperti, perché di questo si tratta, lontani decenni da noi ma di un materiale che conosciamo bene.

La cosa incredibile, ma anche e soprattutto preoccupante, è che si tratta di oggetti in grado di restare intatti anche dopo decenni e decenni trascorsi in mare, dal quale vengono rigettati a un certo punto per essere raccolti e smaltiti da chi li trova. Oppure custoditi ed esibiti come testimonianza di quella che possiamo ormai definire “l’era della plastica”.

“Stiamo costituendo un nuovo strato archeologico dove in futuro, al posto di vasi del neolitico, selci paleolitiche o vasellame vario, troveremo frammenti di plastiche degli anni '60”.

Enzo Suma è una guida naturalistica che vive e lavora a Ostuni, in provincia di Brindisi. Oltre a essere un grande amante della natura e un attento conoscitore del proprio territorio, impegnato da sempre a sensibilizzare ed educare i cittadini, soprattutto quelli più giovani, sul rispetto dell’ambiente, Enzo per anni si è occupato di raccogliere la plastica dalle spiagge della sua amata regione. Qualche tempo fa, però, si è reso conto che ciò che ritrovava non erano soltanto rifiuti, ma oggetti praticamente intonsi rappresentativi di un’epoca passata. Proprio come dei reperti archeologici. Così, è nata Archeoplastica, il museo in 3D della plastica raccolta sulle spiagge.

“Sono sempre stato molto attivo a livello ambientale, mi piace occuparmi del mio territorio, pulire i luoghi che frequento ogni giorno. Ho sempre raccolto qualsiasi cosa, anche se la maggior parte dei rifiuti che trovavo erano flaconi, o comunque plastiche legate al consumo di massa. Qualche anno fa, poi, la mia attività ha iniziato a evolversi. In pratica ho iniziato a guardare quello che raccoglievo, notando che molti dei flaconi che trovavo erano in un’altra lingua, probabilmente provenienti dalle zone dei Balcani che si trovano sulla costa di fronte, oppure presentavano il prezzo in lire. Dovevano essere molto, molto vecchi. Questa cosa mi ha molto incuriosito.”

Un giorno Enzo trova il flacone di una bomboletta con il tappo ancora attaccato, si tratta di una spuma spray molto ben conservata nonostante abbia trascorso molto tempo in mare. Incuriosito, inizia a compiere alcune ricerche e tramite una vecchia pubblicità scopre che risale a fine anni ’60.

“Sono anche appassionato di archeologia e per me era come tenere in mano un reperto archeologico a tutti gli effetti. Così ho iniziato a prestare più attenzione a ciò che raccoglievo, pubblicando sui miei canali i miei ritrovamenti. Le persone, incuriosite, interagivano, facevano domande, si chiedevano da dove venissero, come facessero a conservarsi così bene per tutto quel tempo. A quel punto ho pensato che sarebbe stato utile conservare i pezzi più incredibili ed esporli al pubblico, come monito per tutti. Un segnale per non farci dimenticare la nostra responsabilità quando abbiamo a che fare con la plastica, soprattutto quella monouso”.

Così Enzo inizia a collezionare i rifiuti in buono stato, raccogliendo fino a 500 “reperti”, come li definisce lui. Mentre parliamo al telefono, mi racconta che in auto ha due grandi sacchi carichi di nuovi ritrovamenti da censire. Quelli che non tiene, li smaltisce correttamente. Ma quelli da esporre vanno studiati, censiti, classificati.

Devo capire quanto sono vecchi, se possono essere utili ai fini del progetto, a che anni risalgono, a cosa servissero. Una volta trovato un rifiuto interessante faccio molte ricerche, soprattutto cercando vecchie pubblicità del prodotto, che sono utilissime per datarlo e anche per capire come veniva proposto al pubblico, il suo posizionamento sul mercato, la sua vecchia vita. La cosa incredibile è che spesso l’oggetto è praticamente identico a come era nonostante siano passati decenni.”

Ma come funziona il museo della plastica?

“La mia idea è sempre stata quella di presentare tutti questi reperti come se fossero esposti in un museo. Così ho creato il sito Archeoplastica, un museo digitale in cui espongo e descrivo i reperti e consento, grazie alla tecnica di fotogrammetria, di vederli in formato 3D, proprio come fanno i musei archeologici con i propri tesori. L’obiettivo è quello di trasmettere a quante più persone possibili il problema della plastica e far emergere il nostro ruolo di consumatori.”

Naturalmente a chi lo richiede Enzo consente di esporre gli oggetti in un luogo fisico, nell’ambito di mostre ed esposizioni vere e proprie. Per il resto del tempo, i reperti restano catalogati nel suo garage, che è anche il suo magazzino.

Molti di loro sono ancora da catalogare. Alcuni dei più vecchi sono di aziende, ad esempio ne ho uno proprio qui davanti, un flacone di candeggina per lavatrici con una scritta in rilievo e il numero di telefono senza prefisso di un’azienda che non esiste più. È molto vissuto ma è perfettamente integro. Ci sono resti di piccole ostriche che ci erano rimaste appiccicate e un teschio con la scritta “veleno”.”

Da alcuni Enzo è stato particolarmente colpito.

“C’è questo flacone della marca Aiax, un vaporizzatore per vetri. Ne ho 5, perfettamente integri, che presentano prezzi diversi e hanno davvero un certo appeal. Questi oggetti fanno davvero capire che ciò che buttiamo in mare vi rimarrà per centinaia se non migliaia di anni. E il messaggio che voglio lanciare con questo progetto è che dobbiamo renderci conto della nostra responsabilità per innescare un cambiamento futuro attraverso una diversa gestione di questo materiale.”