Fiumi spezzati: una mappa rivela tutte le barriere dei corsi d’acqua in Europa e in Italia (dove sono quasi 66mila)

Realizzata da Amber con un colossale progetto, vuole agevolare il piano dell’Unione europea di ripristinare 25mila chilometri di scorrimento libero. Ne abbiamo parlato con uno degli autori del progetto, il professor Andrea Castelletti del Politecnico di Milano.
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Gianluca Cedolin 4 Gennaio 2021

Tra i suoi tantissimi obiettivi, la strategia dell'Unione europea sulla biodiversità prevede di ripristinare 25mila chilometri di scorrimento libero nei fiumi europei entro il 2030. Per raggiungere un target così ambizioso, è necessario prima di tutto capire quali, quanti e dove sono gli ostacoli alla circolazione delle acque: a questo si è dedicato negli ultimi anni Amber, l'Adaptive management of barriers in European rivers (coordinato dall'Università di Swansea), che unendo tantissime competenze a livello continentale ha realizzato un'imponente mappatura di tutte le barriere presenti nei fiumi europei. Sono oltre un milione e 200mila quelle censite nel progetto, pubblicato sulla rivista Nature, con la dottoressa Barbara Belletti come prima firma.

L'importanza del database

Ai lavori ha preso parte anche l'Environmental intelligence for global change lab del Politecnico di Milano: ne abbiamo parlato con il suo direttore, Andrea Castelletti, il quale ci ha spiegato innanzitutto com'è nata l'idea. «Analizzando i database e i cataloghi già esistenti abbiamo trovato poca omogeneità tra i diversi stati e una copertura generalmente sporadica e incompleta – spiega Castelletti -. Per raggiungere l'obiettivo europeo di riconnettere 25mila chilometri di fiumi, serve innanzitutto una solida base di conoscenza degli ostacoli, guardando non solo ai principali sbarramenti come le grandi dighe, ma anche una serie di piccole barriere altrettanto influenti (tanto è vero che, alla fine della mappatura, il 68 per cento degli sbarramenti individuati non supera i due metri di altezza, ndr)».

Vista dall’alto della diga di Vidraru, in Romania (foto di Jaromir Kavan)

Il metodo

Con questa consapevolezza, idrobiologici, geomorfologi, ingegneri, matematici e tanti altri esperti hanno iniziato la complicata operazione: «Prima abbiamo preso i database disponibili e assemblato le informazioni, poi siamo passati a validare i dati sul campo. Abbiamo percorso 2.715 chilometri a piedi lungo 147 fiumi, poi con l'aiuto di un gruppo di esperti abbiamo costruito una macchina intelligente in grado di capire quali fossero gli ostacoli, estrapolare dati dove non ce n'erano e segnalare con che frequenza fossero presenti delle barriere lungo i corsi d'acqua». Un lavoro lungo quattro anni, integrato anche dal contributo delle persone comuni che hanno segnalato degli ostacoli attraverso l'app Barrier Tracker, in un interessante esperimento di citizen science. I risultati della mappatura, per ora, parlano di 1,2 milioni di sbarramenti, con una media di uno ogni 1.350 metri, nei 36 paesi europei presi in esame da Amber. Dighe, tombinature, briglie, guadi, chiuse e rampe, un universo di ostacoli alla circolazione dei fiumi.

I danni causati dalle barriere

Queste barriere di origine antropica, molte delle quali obsolete, per niente o poco utili, spesso possono creare gravi danni: «I fiumi seguono la gravità, e con essa si muovono una serie di elementi, dai pesci alla sabbia, tutti essenziali per mantenere una buona qualità dell'ecosistema ripario: la frammentazione altera l'equilibrio del corso d'acqua», osserva il professore del Politecnico di Milano. Quelli causati alla fauna ittica sono i più evidenti, ma ci sono anche conseguenze dal punto di vista ecologico e del rischio idrogeologico: «I sedimenti sono sempre in equilibrio in un fiume, se io li trattengo con una diga, a valle il fiume deve rigenerare sedimenti sospesi per tornare in equilibrio, e quindi scava. Questo crea effetti devastanti soprattutto sui grossi delta fluviali». Guardando al quadro europeo, ci sono paesi con densità relativamente bassa, come gli scandinavi e la Scozia; altri che hanno iniziato già politiche di rimozione, come la Danimarca, mentre per esempio quelli dei Balcani non hanno grosse barriere, ma ci sono piani di forte espansione in corso, da monitorare con molta attenzione. In Italia ci sono poco meno di 66mila barriere in 135mila chilometri di fiumi, una ogni due chilometri, di poco inferiore alla media europea.

Una diga sul fiume Isonzo, in Slovenia (foto di Jan Pirnat)

Cosa fare adesso

Ora che gli ostacoli sono stati individuati, quali saranno le prossime mosse per incontrare gli obiettivi europei? «Il primo passo è stato fatto – evidenzia Castelletti -, anche se la mappatura non è completa. Noi dovremo affinare degli aspetti tecnici, mentre l'Unione europea dovrà adottare una strategia per stabilire una priorità di rimozione». Alcuni ostacoli sono infatti inutili e nocivi, mentre per altri, per esempio le chiuse e i canali che alimentano territori agricoli come la Pianura Padana, la rimozione potrebbe causare danni economici, sociali e ambientali. Per Castelletti, sia quando si esaminano le barriere esistenti, sia soprattutto quando si pensa di costruirne una nuova, la cosa fondamentale è fare delle attente valutazioni sugli effetti positivi e negativi: «Il nostro messaggio non è che dobbiamo diventare dei talebani del free flowing, ma valutare quanti manufatti hanno senso di esistere». Un'operazione dalla quale non possiamo esimerci, perché «oggi abbiamo gli strumenti matematici e informatici per fare analisi complesse e anticipare tutti gli effetti di una diga su un ecosistema: non ci sono scuse».

In copertina: La diga di Caban Coch, in Galles (foto di Sara Barrento)