Francesca Cesa Bianchi (Stefano Boeri Architetti) a Ohga: “La città del futuro deve essere plurima, stop a quartieri omologati”

L’importanza della rigenerazione urbana è un tema che trova sempre maggior spazio nel dibattito pubblico, dai sindaci fino ai dibattiti europei. Le città del futuro dovranno saper rispondere a sfide sempre maggiori in termini di accoglienza, mobilità e gestione degli spazi. Da dove si parte quindi per rivoluzionare le metropoli? Ne abbiamo parlato con Francesca Cesa Bianchi, Partner/Direttore di Stefano Boeri Architetti.
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Francesco Castagna 9 Novembre 2022
Intervista a Francesca Cesa Bianchi Partner/Direttore di Stefano Boeri Architetti

Preparare le città a diventare le metropoli del futuro, riconvertire gli spazi nel nome dell'inclusione e della sostenibilità, rigenerare i luoghi abbandonati. Sono queste le sfide che il settore pubblico e quello privato dovranno portare avanti nei prossimi anni. In Italia nove città sono state selezionate a livello europeo per diventare Smart Cities entro il 2030. Se "l'esperimento" dovesse riuscire, faranno da volano a tutti gli altri comuni italiani ed europei, che raccoglieranno il testimone e trasformeranno i loro centri urbani in luoghi pronti ad affrontare le sfide sociali, economiche e ambientali dei prossimi anni.

Ma come si ripensano gli spazi urbani? E quali sono le caratteristiche che fanno da minimo comun denominatore di una città del futuro? Ne abbiamo parlato con Francesca Cesa Bianchi, Partner/Direttore di Stefano Boeri Architetti. Noi di Ohga abbiamo avuto il piacere di parlarne con uno degli studi di architetti più prestigiosi in Italia, che si è occupato nel nostro Paese e a livello internazionale di progetti di rigenerazione urbana. Non ultimo, ma famoso ormai in tutto il mondo, è il loro progetto del Bosco Verticale a Milano.

Qual è il punto di equilibrio ottimale tra la logistica dei trasporti in una metropoli e la gestione degli spazi urbanistici (sia privati che pubblici)?

Il tema della mobilità, soprattutto in termini di mobilità privata su gomma, è oggi uno degli aspetti cruciali nella pianificazione urbana delle città. Il Covid da questo punto di vista è stato un enorme acceleratore: ci si è resi conto che abbiamo bisogno di spazi pubblici di qualità, di aree verdi, vivibili e possibilmente collegate tra loro; e allo stesso tempo abbiamo la di trovare nel raggio di 10 o 15 minuti a piedi o in bicicletta tutti i servizi (pubblici e semi-pubblici) necessari alla vita quotidiana.

Per questo, nel progettare masterplan e città stiamo ragionando molto sulla riorganizzazione della viabilità carrabile, ad esempio lavorando su una sorta di “arcipelago” di quartieri, per certi versi ispirato al concetto di Supermanzana di Barcellona; solo le strade perimetrali che delimitano i quartieri sono accessibili dalle auto, mentre le strade “interne” ai quartieri sono fruibili in auto solo da residenti e per carico/scarico. Ovviamente è un processo complesso, da declinare in ogni specifico contesto urbano, e che porta con sé riflessioni importanti sul tema del trasporto pubblico e dei parcheggi – in molti casi da delocalizzare per dedicare spazio a dehors e attività all’aperto e da depavimentare, per favorire la permeabilità del suolo.

Quali sono le politiche che una città dovrebbe adottare per riqualificare gli spazi urbani?

Una delle priorità delle politiche urbane deve essere il recupero del patrimonio esistente, in molti casi energivoro, sottoutilizzato, dismesso o obsoleto in termini funzionali. Solo in Italia, ad esempio, abbiamo 4 milioni di edifici che andrebbero recuperati, sia nella prospettiva di ottimizzarne le prestazioni energetiche – e proprio ora il tema dell’energia è quantomai cruciale – sia nell’ottica di ridurre il consumo di suolo: ogni anno vengono divorati ettari di quel terreno verde o agricolo che è in realtà un elemento essenziale per il sano bilanciamento dell’organismo urbano.

Un’altra urgenza è intervenire in quartieri periferici, dove è necessario garantire un alto livello di inclusione sociale, in tutti gli interventi sia pubblici che privati.

E poi investire sull’implementazione della forestazione urbana in tutte le sue forme – giardini, parchi, filari alberati, corti e tetti verdi, orti urbani… – per assorbire le polveri sottili e la CO2, regolare il microclima e ridurre la temperatura (grazie all’ombreggiamento e all’evapotraspirazione che le piante offrono); questa stessa strategia che consente di avere un impatto positivo sull’ambiento allo stesso tempo è in grado di migliorare la qualità della vita urbana, garantendo spazi all’aperto di qualità per i cittadini, con un effetto benefico per la salute pubblica.

Su questi principi si è basata anche il General Local Plan che abbiamo progettato per Tirana nel 2017, immaginando una città policentrica, “racchiusa” da un Bosco Orbitale, un anello verde attorno alla conurbazione urbana che ne bloccasse la continua espansione verso l’esterno.

Scendiamo più nello specifico, per la città di Milano quali altri interventi si possono realizzare?

Il Comune sta lavorando molto nell’attivare gli spazi pubblici nei quartieri fragili, un tema di enorme importanza. Ma una sfida che resta aperta, anche in vista delle Olimpiadi invernali Milano – Cortina del 2026, è sicuramente la riqualificazione dei sette grandi scali merci dismessi.

Nel 2017 avevamo sviluppato una proposta per gli scali in occasione della consultazione di idee; la nostra proposta era quella di un “Fiume Verde” per collegare tra loro gli scali attraverso un sistema continuo di parchi, boschi, oasi, frutteti e giardini a uso pubblico, corridoi verdi e ciclabili realizzati sulle fasce di rispetto dei binari ferroviari.

Il verde avrebbe occupato il 90% delle aree disponibili, mentre sul restante 10% erano previsti bordi urbani ad alta densità, in grado di ospitare attività che oggi mancano nei quartieri di Milano, quali residenze e spazi di studio/laboratori per i giovani, ma anche servizi culturali e di assistenza al cittadino (biblioteche, ambulatori, asili), oltre che edilizia sociale e di mercato.

I singoli scali sono ora oggetto di masterplan specifici, non connessi tra loro, ma speriamo che la riconversione tenga conto in modo prioritario degli spazi verdi – di cui la città ha estremo bisogno – e della dimensione di accessibilità sociale, affinché Milano resti una città competitiva e attrattiva anche per le prossime generazioni.

A livello nazionale come studio Boeri siete coinvolti in più progetti, quali sono le prossime opere che avete in cantiere in Italia? Ci saranno altri boschi verticali?

In Italia abbiamo di recente presentato il progetto “Casa di Comunità”, una struttura socio-sanitaria per il territorio bresciano, e la riqualificazione di un’area industriale abbandonata, sul lago di Iseo. Due progetti che potrebbero innescare una profonda trasformazione, in primis sociale, nelle aree di intervento.

A Milano stiamo lavorando invece su un nuovo Bosco Verticale, nello stesso quartiere del primo Bosco, e su Bosconavigli, un edificio residenziale a corte, ispirato all’architettura milanese tradizionale, che ospiterà sulle terrazze gradonate ampi spazi verdi. Dopo le esperienze – che riteniamo molto positive – di Ca’delle Alzaie a Treviso e del Palazzo Verde, ad Anversa, stiamo adottando lo stesso principio, ossia edifici verdi ma a bassa densità, in altre città italiane, tra cui Monza e Bari.

Ma oltre ai progetti di architettura in Italia abbiamo soprattutto in corso numerosi progetti di urbanistica: dal piano per la riqualificazione del sistema costiero a sud di Salerno, fino al nuovo waterfront per Cagliari. E i Piani di ricostruzione di Castel Sant’Angelo sul Nera e Arquata del Tronto, Comuni del centro Italia pesantemente colpiti dal sisma del 2016.

Chiedendovi una vostra opinione, come saranno e come dovrebbero essere le città nei prossimi anni a venire?

Credo che a questo proposito siano significativi i nostri progetti del nuovo quartiere Tirana Riverside, e soprattutto la Smart Forest City di Cancun. In due parole direi: integrata e integrante.

La città del futuro, in una realtà sempre più complessa e stratificata, deve garantire un elevato mix sociale oltre che funzionale; deve consentire un’offerta diversificata di modalità di trasporto; deve ospitare al suo interno tutte le tecnologie e i devices necessari a ottimizzare il consumo energetico; deve avere la natura vivente, gli alberi, le piante come componente costitutiva – e non semplicemente come ornamento decorativo.

E deve essere una città densa – e qui il modello di Milano è per noi un riferimento assoluto – di attività, spazi per la collettività, nodi di intersezione di diverse realtà, diverse comunità e diverse esperienze, che fanno la città.

Per questo a proposito di Tirana2030 abbiamo usato il termine “caleidoscopica”, mentre nella recente visione per la Grande Ginevra abbiamo immaginato una “metropoli arcipelago”. La città è, per definizione, plurima e questo carattere non può impoverirsi e generare quartieri omologati, segregati e ghettizzati, come purtroppo spesso accade nella città in fase di sviluppo recente.

Quando realizzate una nuova struttura, come vi orientate per renderla il più sostenibile possibile?

Pensare a nuovi modi di abitare gli edifici le città del futuro, in una prospettiva di maggior integrazione con l’ambiente, minor consumo di risorse – penso al consumo di suolo e di energia, ma anche il consumo idrico è oggi un tema fondamentale – è una responsabilità che, come architetti e urbanisti, sentiamo sempre più impellente.

In fase di progettazione ragioniamo sulle strategie di recupero delle acque, sulla selezione dei materiali per garantire un approvvigionamento sostenibile, sulle tecnologiche che consentano di ridurre i consumi energetici e sull’utilizzo di fonti rinnovabili.

Proprio in questi giorni, alla COP27 di Sharm El – Sheik siamo chiamati a presentare i nostri progetti, tra cui un nuovo Bosco Verticale a Dubai: ancora di più in contesti caratterizzati da condizioni climatiche estreme, come il Medio Oriente o il Nord Africa, lavorare in termini di ottimizzazione delle risorse è fondamentale. Ed è anche una sfida importante, nella prospettiva della crescente e incontrollata urbanizzazione che molti di questi Paesi stanno affrontando.

Progetti come il bosco verticale sono comunque per un range di persone con un budget medio-alto. Come si fa a rendere questo tipo di visione (natura integrata a edifici) anche a portata di un cittadino comune? Servono investimenti? Serve farne di più così si abbattono i costi?

Questo è un tema a noi particolarmente caro, in quanto – dopo la realizzazione del Bosco Verticale di Milano – è stato il primo problema che ci siamo posti, per definire la direzione verso cui andare. Il risultato di questa riflessione e della collaborazione con Sint Trudo a Eindhoven è stato Trudo Vertical Forest, il primo Bosco Verticale adibito a social housing.

Grazie all’esperienza del Bosco di Milano, che è stato da questo punto di vista una “scuola” oltre che un esperimento, è stato possibile progettare la torre di Eindhoven con un altissimo livello di prefabbricazione, riducendo dunque i tempi di cantiere e i costi di costruzione. A fronte del costo di costruzione ridotto e del supporto della committenza, i 125 appartamenti hanno un costo di affitto calmierato, accessibile a giovani coppie, professionisti e studenti, che oggi abitano Trudo Vertical Forest.

Uno degli aspetti per noi più interessanti è stato il processo di selezione degli inquilini: sono stati scelti dalla società che ha in gestione l’edificio in base al reddito (dando priorità a chi non fosse in grado di accedere al libero mercato) e alla loro disponibilità di tempo da investire nelle attività collettive e nei servizi per la comunità. All’estero è un modello che funziona molto bene e speriamo di trovare anche in Italia sempre più situazioni come questa.

Milano ha una rete di mezzi pubblici molto efficiente, al contrario di altre città. Qual è la discriminante? Quali sono le difficoltà che si incontrano nel progettare una mobilità?

Milano, anche dal punto di vista dalla sua conformazione orografica e configurazione urbanistica, è piuttosto fortunata; basti pensare al caso di Roma, dove la gestione del trasporto pubblico parte svantaggiata, per la natura stessa della città e per le sue stratificazioni storiche.

In generale, nel progettare un nuovo quartiere o una nuova città, lavoriamo sempre con la consulenza di trasportisti ed esperti di mobilità, con i quali studiamo i flussi di traffico esistenti e le previsioni di sviluppo. La prima difficoltà credo sia di carattere “culturale”: in molti casi è difficili trasmettere ai cittadini e ai futuri abitanti del quartiere l’esigenza di cambiare modello di vita. E dunque non sempre la riduzione del numero di auto, e di conseguenza lo spazio che viene dedicato alla sezione stradale, e ai parcheggi viene accettato.

A livello urbanistico è fondamentale per questo il tema della prossimità e della “walkability”: fornire agli abitanti tutto ciò di cui hanno bisogno in un breve raggio (servizi scolastici, sanitari, negozi, luoghi per la cultura e l’intrattenimento, spazi per lo sport..) ha un impatto notevole nel ridurre la necessità di spostamento in automobile. Privilegiando la mobilità leggera per il corto raggio e il trasporto pubblico (tram/metro) per il medio e lungo raggio.