Geoingegneria solare: imitare la natura per frenare il riscaldamento globale

La geoingegneria si offre come concreta possibilità per limitare l’aumento della temperatura media terrestre. Di cosa si tratta?
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Andrea Di Piazza Geologo specializzato in Green Management
8 Marzo 2023 * ultima modifica il 09/03/2023

L’aumento della temperatura media globale dovuto all’immissione in atmosfera di gas “climalteranti” impegna il dibattito degli scienziati ormai da alcuni decenni sulla mitigazione del fenomeno e dei suoi effetti.

La riduzione delle emissioni di anidride carbonica o l’aumento della copertura vegetale restano al momento le soluzioni più valide per scongiurare un aumento pericoloso della temperatura media globale.

Una misura temporanea e ausiliaria a queste ultime è la “modifica della radiazione solare” (Solar radiation modification, SRM) o “geoingegneria solare”, ovvero un insieme di soluzioni basate sul semplice concetto di riflettere parte della radiazione solare incidente verso lo spazio, evitando il surriscaldamento della troposfera. Tra queste misure, le più studiate al momento sono l’iniezione di aerosol in atmosfera e “l’inseminazione di nuvole marine”. Vediamo di che si tratta.

Imitare i vulcani per frenare il riscaldamento globale

Il 5 aprile 1815 a Sumbawa, un’isola indonesiana, il vulcano Tambora entra in eruzione generando una gigantesca colonna di cenere e gas che, raggiungendo i 50 km di altezza, inietta in stratosfera un’enorme quantità di gas e particelle di materiale vulcanico.

Inizia così il cosiddetto “anno senza estate”: il 1816, infatti, vede micidiali gelate nei mesi di giugno, luglio e agosto in tutto l’emisfero boreale, con gravissimi danni all’agricoltura, oltre a nevicate eccezionali durante i mesi estivi e continuo maltempo in zone notoriamente con un clima gradevole se non addirittura caldo. L’effetto è provocato dal gas solforico della nube eruttiva che, raggiungendo le zone più alte dell’atmosfera, si converte in aerosol contenenti solfati in grado di schermare la radiazione solare incidente.

Maggiore è la quantità di materiale iniettato in atmosfera, maggiore sarà l’effetto-schermatura e dunque il raffreddamento del volume di atmosfera sottostante.

Si basa su questo semplice principio la tecnologia sviluppata per sfruttare queste “particelle anti-effetto serra” che, se iniettate in stratosfera a intensità moderata, potrebbero contrastare la maggior parte delle variazioni di temperatura e precipitazioni osservate in seguito ai cambiamenti climatici, con un effetto rapido, bassi costi di attuazione e potrebbero portare ad una reversibilità degli effetti climatici diretti. Tra i gas vettore considerati dagli studiosi vi sono l'anidride solforosa e l'idrogeno solforato.

Secondo alcune stime, "un kg di zolfo ben posizionato in stratosfera compenserebbe approssimativamente l'effetto di riscaldamento di diverse centinaia di migliaia di kg di anidride carbonica".

I problemi principali sono logistici (la quota di iniezione elevata ed i mezzi con cui portare le particelle in quota) ma anche fisici: in quest’ultimo caso per esempio bisogna considerare che il tempo di residenza in atmosfera per i composti dello zolfo è molto basso, dunque per garantirne la loro persistenza ed assicurare una schermatura duratura nel tempo, è necessario iniettare continuamente particelle e dimensionarle adeguatamente.

Si tratta di una serie di limitazioni superabili, grazie alla ricerca scientifica che in questo settore sta investendo personale e risorse, del resto secondo il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC), l’iniezione di aerosol in stratosfera è una soluzione promettente per contribuire a limitare il riscaldamento globale entro 1.5°C.

Le nuvole come specchi riflettenti

Il secondo metodo proposto si basa su un altro fenomeno assolutamente naturale: l’effetto albedo. Le superfici bianche degli elementi che compongono la Terra (es. nuvole, ghiaccio, neve) riflettono naturalmente la luce solare (ma anche lunare) che viene diffusa in tutte le direzioni.

Secondo gli scienziati che studiano la geoingegneria, l’idea è quella di aggiungere nuclei di condensazione (es. cristalli di sale) al vapore acqueo con il fine di generare nuvole più chiare e voluminose e dunque aumentarne l’effetto albedo per riflettere nello spazio parte della radiazione solare incidente. Alcuni studiosi hanno suggerito che i collegamenti navali stanno effettivamente contribuendo a questo effetto ormai da più di un secolo.

Pur emettendo quasi un miliardo di tonnellate di anidride carbonica ogni anno, le navi immettono in atmosfera anche zolfo che, come visto, può disperdere la luce solare nell'atmosfera e formare o addensare nuvole che la riflettono. In uno studio del 2009 è stato calcolato che grazie all'effetto (comunque inquinante) delle navi, la temperatura media globale attuale risulterebbe più bassa di 0,25°C rispetto a quanto sarebbe senza queste emissioni.

 

Navi a parte, al momento comunque c’è grande incertezza sull’efficacia di questo metodo, in particolare non sembra esserci una relazione diretta tra l’iniezione di aerosol e la formazione di nuclei di condensazione; i costi di un intervento su larga scala, inoltre, sono ancora difficili da quantificare.

Quale futuro per la geoingegneria?

La geoingegneria sembra offrire dunque una serie di misure che possono affiancarsi alla riduzione delle emissioni e all’aumento della copertura forestale per contrastare il riscaldamento globale ed i suoi effetti.

Per fare ciò però, oltre ad un sostegno per la ricerca scientifica, è necessario anche lo sviluppo di una governance che consenta un miglioramento dell’efficacia nell'applicazione delle tecnologie, nonché la riduzione dei possibili rischi finanziari, sociali e, qualora ve ne fossero, ambientali.

Qualche anno fa è stato proposto un tentativo di discussione presso l’Assemblea dell’ambiente delle Nazioni Unite con scarso successo: quasi tutti i Paesi non hanno mostrato aperture ad investire soldi in questo settore. Sembra necessario un coinvolgimento ad ampio spettro di tutti gli attori potenzialmente interessati (governativi, non governativi, del mondo aziendale) per descrivere il potenziale perimetro di applicazione di queste tecnologie, valutarne precisamente gli effetti ed il contesto normativo.

Al momento, tra l’altro, l’IPCC non integra come soluzione ufficiale negli scenari principali la geoingegneria che, pertanto, non è presa in seria considerazione. Forse una sua prima integrazione sarebbe un passo decisivo verso la considerazione di misure e tecnologie che potrebbero aiutarci enormemente nel limitare il riscaldamento globale ed assicurare la sopravvivenza della nostra specie.

Dopo una laurea in Geologia ed un dottorato di ricerca presso l'Università degli Studi Roma Tre, ha lavorato come ricercatore presso altro…