Giornata mondiale della lotta all’AIDS: la storia di Adam Castillejo, il paziente di Londra

In occasione del 1° dicembre, giornata mondiale della lotta all’AIDS, Ohga racconta in esclusiva italiana la storia del “paziente di Londra”, la seconda persona al mondo a essere guarita dall’HIV.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Francesco Castagna 1 Dicembre 2023
* ultima modifica il 01/12/2023
Intervista a Adam Castillejo Il "paziente di Londra"

Le radici della discriminazione sono più profonde di quello che pensiamo, sono la parte superficiale di un sistema tossico. Prima cerchiamo di capire che il virus che fa più danni, in occasione della giornata mondiale della lotta all'AIDS, è la disinformazione che genera odio, prima arriveremo a una maggiore consapevolezza di cosa, nel 2023, possiamo fare per eradicare il virus dell'HIV. Di fronte a una società che per anni ha volutamente minimizzato il problema, per paura di affrontarlo, oggi ci troviamo nuovamente con un trend di persone sieropositive in crescita e la maggior parte di queste sono eterosessuali. Prima della discriminazione c'è l'ignoranza, figlia di una paura sistemica, che deriva a sua volta dall'incomprensione. HIV, human immunodeficiency virus, la definizione inglese per indicare il virus dell'immunodeficienza umana.  Se per anni è stato chiaro fin da subito che esistesse un virus in grado di indebolire progressivamente il sistema umanitario, per molto, troppo tempo, non si è pensato che il virus potesse colpire tutti, senza distinzione alcuna. Non diremo che l'HIV è un virus democratico, come è stato fatto per il Covid19. Non sarebbe corretto parlare in questi termini per nessuna malattia, il pregiudizio dei Paesi ricchi spesso porta a pensare che un virus possa colpire l'umanità allo stesso modo. Così non è. Questo dovremmo ricordarcelo quando affermiamo che una malattia è stata debellata, quando non pensiamo che i Paesi più poveri del mondo non dispongono delle terapie antiretrovirali, come nel caso dell'HIV. Quel "human", quella paura che qualcosa possa colpire anche noi, ci fa così paura che per anni abbiamo preferito trovare un colpevole. Anzi, tantissimi colpevoli.

Il 1° dicembre Ohga intervista in esclusiva italiana Adam Castillejo, il "Paziente di Londra", la seconda persona al mondo a essere guarita dall'HIV. La storia di Adam è un esempio di coraggio, non solo nell'affrontare due diagnosi impegnative, come quella dell'HIV e del linfoma di Hodgkin, ma anche perché ha sfidato se stesso, chiedendo un secondo parere a un team medico, che lo ha preso in cura. Motivo per cui oggi, ci ricorda lui stesso, è qui a raccontarci la sua avventura.

Nel 2023 il 1° dicembre assume un'importanza maggiore, perché esattamente 50 anni fa nel 1973, l'Associazione Psichiatrica Americana (APA) ha rimosso la diagnosi di "omosessualità" dalla seconda edizione del suo Manuale Diagnostico e Statistico (DSM).

Ora Adam si definisce un "ambasciatore di speranza". Una persona che gira il mondo, tenendo conferenze, per raccontare la sua storia, per incoraggiare la comunità HIV+ a non perdere la speranza, e per parlare con le istituzioni, in modo tale da tenere sempre vivo il discorso intorno alla lotta contro l'AIDS.

Adam, cosa direbbe a qualcuno che ha appena ricevuto una diagnosi di positività all'HIV?

So cosa stai passando, so che è molto pauroso, so che sei spaventato. Ci sono passato, so come ci si sente. Ma c'è molta speranza, quindi voglio che rimaniate aggrappati ad essa. Lo so, è molto difficile, sembra che il mondo vi crolli davanti, ma oggi abbiamo più speranza di 20 anni fa. Pensateci e rimanete positivi!

Cosa ha provato quando hai scoperto la diagnosi di HIV, come l'ha scoperta, cosa l'ha portata a fare il test?

Ho ricevuto la diagnosi nel 2003, a Londra. Volevo prendermi cura della mia salute, penso che sia importante. Volevo solo fare il test dell'HIV. L'avevo già fatto in precedenza, quindi sono stato molto proattivo nel farlo.

In quel periodo stavo iniziando una nuova relazione e ho pensato che la cosa migliore per iniziare una relazione fosse conoscere il nostro stato. Quindi l'abbiamo fatto. È così che ho scoperto di essere sieropositivo.

Per me inizialmente è stata una condanna a morte, mi sentivo come se il mondo stesse crollando. Non avevo il supporto dei medici o del team infermieristico. "È colpa del tuo orientamento sessuale". "È il tuo stile di vita", questo è ciò che mi dicevano. È stato un periodo molto difficile.

Qual è stata la reazione del suo partner?

All'epoca, il mio compagno è stato fondamentale  per affrontare l'HIV. Mi ha detto: "Adam, a prescindere da tutto, io ti amo e l'HIV non cambierà nulla". Questa frase mi ha fatto sentire di nuovo umano e purtroppo molte persone non ricevono questo tipo di sostegno dai propri cari, dalla famiglia e dagli amici.

Ma il mio compagno l'ho trovato così rassicurante. Da quel momento non ho più permesso all'HIV di definirmi. Ci sosteniamo a vicenda nella nostra vita, ora che non stiamo più insieme. Siamo solidali.

Che tipo di pensieri ha fatto in quel momento della tua vita, cosa ha pensato?

I miei dubbi di quando mi è stata diagnosticata la malattia? Credo che la mia preoccupazione principale fosse che stavo per morire. La mia vita stava finendo. Penso che, venendo dagli anni '90, non sapevo molto sull'HIV e mi sentivo come se sapessi solo quello che mi dicevano i telegiornali, cioè che era qualcosa di mortale e che sarei morto.

Mi sono sentito senza speranza e ho pensato: "Wow, cosa succede? Non so cosa fare". Non ho ricevuto il sostegno da parte di qualcuno che oggi, invece, alcuni hanno.

Ai giorni d'oggi c'è più sensibilità. È stato un periodo difficile e sono riuscito a superarlo attraversando crisi di nervi, sono sincero, e cercando di non permettere all'HIV di consumarmi o di condizionarmi come essere umano.

Qual è stata la prima cosa che ha fatto una volta conosciuta la diagnosi?

Personalmente ho deciso di essere più sano. Di prendermi cura della mia salute, di prendermi cura di me stesso.

Così ho cominciato a fare più attività fisica. Ora ho una dieta più equilibrata e sono positivo nei confronti della vita. Ho sempre cercato di godere della mia vita, perché la gente non si rende conto che quando mi è stata diagnosticata la malattia mi è stato detto che avrei vissuto molto poco.

Mi hanno detto che la mia vita sarebbe finita, che avrei avuto un'aspettativa di vita di massimo dieci anni. Pensate a quanto sia strano dire a qualcuno: "Ti restano solo 5-10 anni", ma allo stesso tempo invitarlo a godere di quel tempo. Era un equilibrio molto difficile da raggiungere, ma ci sono riuscito.

E chi è stata la prima persona a cui l'ha detto?

Il mio partner. È stato il primo. Era nella stanza accanto alla mia, quindi abbiamo saputo subito dei nostri risultati. Lo abbiamo saputo dal primo giorno, dal momento in cui mi è stato diagnosticato il virus. E poi, di conseguenza, amici, familiari, persone care.

La sua famiglia quindi non è stata presente in quel momento?

Quando ho ricevuto quella diagnosi era un periodo storico molto diverso. Lo stigma non ti permette di andare con nessuno perché ti preoccupi della reazione della gente.

Rispetto al cancro, la gente ti accompagna perché vuole sostenerti a prescindere. Ma in entrambi i casi ero da solo. Vorrei incoraggiare le persone ad accompagnare qualcun altro, perché è una cosa molto difficile da affrontare da soli. Ma purtroppo molti non hanno il lusso di portare qualcuno con sé.

Ma nell'HIV, si corre il rischio che la persona che ti accompagna, una volta ricevuta la diagnosi, ti rifiuti. È stato molto difficile dirlo alla mia famiglia. In ogni caso, sono stati molto orgogliosi di me, specialmente ora che faccio questo tipo di attivismo.

Ma sì, è stato difficile per loro e credo che tutti voi dobbiate sapere che è proprio questo che noi, come società, dovremmo cambiare.

La gente vuole sempre sapere se sei sieropositivo, ma non è necessario dire a tutti i costi che lo sei, perché non tutti capiranno il tuo percorso. Non tutti accetteranno la diagnosi. È una cosa molto individuale. Bisogna comprendere il proprio ambiente familiare.

Tuttavia, questo vale solo per l'HIV. Per quanto riguarda il cancro, puoi dirlo a chiunque. Anche per strada, tutti ti sosterranno. Se invece in pubblico affermi di essere sieropositivo, le persone ti allontaneranno, perché sei una vergogna della società.

Per questo motivo, nella mia vita, l'HIV  ha rappresentato l'odio, mentre il cancro, l'amore.

Pensa che ciò dipenda dalla mancanza di informazioni sull'HIV?

Chiaro, le persone non hanno abbastanza conoscenza a riguardo, tanto quanto le persone che ricevono la diagnosi da HIV. Dobbiamo capire, prima di tutto, che è un virus umano, non è una malattia dei gay, come è stata descritta per anni.

Penso che il pubblico italiano, come molte persone in Europa, pensi che il virus dell'HIV derivi dai gay, e che si manifesti solo per le persone della comunità LGBT+. Ma non è così, di fatto.

Ancora oggi la gente pensa che la malattia si possa trasmettere toccando le persone, ci sono ancora molte idee sbagliate su come si possa contrarre l'HIV.

Questo virus ha origine molti decenni fa, non ha inizio solo negli anni Ottanta. In quel periodo abbiamo identificato l'HIV, che però ha origine molti decenni prima. E la gente non lo sa. E noi, come società, dovremmo cominciare a rieducare le persone, a fare un passo indietro e rimediare a ciò che non è stato fatto negli anni Ottanta.

È stato difficile seguire la sua terapia, o no?

Nel 2003, l'HIV era una malattia per la quale le persone non avevano ancora molti farmaci a disposizione. Il protocollo dei primi anni '90 prevedeva che, prima di poter accedere alle cure, si dovessero manifestare i sintomi.

Io ero uno "slow Progresser", cioè una persona in cui il virus dell'HIV si diffonde più lentamente che in altri soggetti. Per questo non ho potuto accedere alle cure, non per mancanza di soldi, nel Regno Unito abbiamo un servizio sanitario nazionale.

Ci sono voluti anni prima che potessi accedere ai farmaci. Nel mio caso, ho avuto una grande responsabilità. Dovevo essere responsabile nei confronti del mio partner e della società. È in questo periodo che capisci la diagnosi e la tua responsabilità nei confronti della società.

Oggi, quando si entra in terapia, si accede subito alle cure. Personalmente invece, si è trattato di un processo avvenuto quasi dieci anni dopo la diagnosi.

Chi era Adam prima della diagnosi?

Uno chef, una persona che ama viaggiare. Un ragazzo nella norma, felice di far parte della comunità LGBT+. E poi è arrivato l'HIV, che mi ha fatto rivalutare completamente la mia vita. Se prima ero un amante dei viaggi, ora viaggio con molto più entusiasmo.

Può raccontarmi la sua esperienza con i suoi team medici?

Ci sono voluti diversi anni per capire che tipo di terapia portare avanti. Dopo la diagnosi dell'HIV nel 2003, mi è stato diagnosticato il linfoma di Hodgkin nel 2012, ma ho potuto ricevere un trapianto di midollo soltanto nel 2016. Prima di questo intervento delicato però, ho dovuto aspettare che il mio cancro fosse in remissione.

Ci sono voluti circa 12 mesi, dopodiché i miei team medici, per l'HIV e per il cancro, sono arrivati alla conclusione che dovessi smettere di prendere i farmaci per l'HIV. Ci sono voluti circa sei mesi, prima che interrompessi la terapia. È stato uno dei periodi più bui della mia vita, perché ero così preoccupato di diventare di nuovo sieropositivo.

Nessuno mi aveva preparato a tutto ciò. Mi trovavo in un non-luogo di completa solitudine. Nessuno sapeva come aiutarmi, perché nessuno ci era mai passato. Solo Timothy Ray Brown, il "paziente di Berlino" (la prima persona a essere guarita dall'HIV, si era sottoposto a un trattamento simile prima di me.

Soltanto nel momento in cui ho smesso le cure era possibile capire se fossi guarito o meno. In questi sei mesi ho avuto diversi esaurimenti nervosi. Ansia. Angoscia. Attacchi di panico. È stato davvero difficile affrontare tutto questo e la mia salute mentale è stata davvero messa a dura prova. Ero lì con il cancro, l'HIV e la costante speranza di sopravvivere.

Così, il giorno del mio compleanno ho deciso di sospendere i farmaci.
Così ho messo a posto il flacone delle pillole, l'ho richiuso e mi sono detto: "Buon compleanno!".

Ho realizzato poi che con questo gesto mi sono regalato qualcosa di importante e profondo, un messaggio per le persone che vivono con l'HIV. È questo che voglio fare nella mia vita, far sì che le mie battaglie abbiano un significato per tutte le persone.

Ho cominciato poi un periodo di controlli costanti e periodici. Con i miei team abbiamo fatto due test, che sono risultati negativi. Siamo andati in fibrillazione, eravamo entusiasti. Eravamo felici. Ma "ricordati Adam", mi hanno detto: "Ricordati che questa è solo la fase iniziale. Dobbiamo aspettare di essere più sicuri. Almeno 18 mesi".

Facevamo test ogni due giorni, ogni settimana, ogni due, ogni mese. Siamo passati da esami quasi quotidiani a una cadenza mensile. È stato tutto molto graduale, non è stato immediato.

E poi, nel 2019, siamo usciti con uno studio, nel quale sono stato chiamato semplicemente: "Il paziente di Londra". Abbiamo passato un altro anno a fare test e a inviarli ai principali laboratori che studiano una terapia contro l'HIV in tutto il mondo. I miei medici volevano diversi pareri sulla terapia che avevamo deciso di intraprendere.

Nel 2020 ho fatto "coming out" sul New York Times, rivelando la mia identità. Da quel momento la comunità scientifica e le persone sieropositive mi hanno scritto dicendosi felici per il risultato che il mio team medico aveva raggiunto. Personalmente, però, ci ho messo cinque anni a dire di essere guarito dall'HIV.

Adesso che è guarito dall'HIV, Adam è "un ambasciatore di speranza". Cosa significa per lei e come ha intenzione di valorizzare il suo ruolo? 

Mi piace definnirmi "ambasciatore di speranza", voglio portare il mio contributo parlando di salute mentale, di cancro e di HIV. Voglio essere un comunicatore, andare a parlare alle istituzioni, ai governi, negli istituti e creare più conversazioni possibile sul tema.La mia sfida è e sarà creare più spazi possibili di conversazione. Ma sostengo tutti i ragazzi che in tutto il mondo sono attivisti e che lavorano sulla comunicazione di questo virus. Li sostengo al 100% perché spesso è un "lavoro sporco".

Qual è stato il momento più toccante che ricorda, una volta che il suo personaggio è diventato famoso? 

Di sicuro il momento in cui una persona mi ha contattato per dirmi che non avrebbe mai pensato che, nella sua vita, ci sarebbe stato qualcuno in grado di guarire dall'HIV.

Così, quando mi ha scritto per dirmi che era felice e contenta per me, contemporaneamente mi ha chiesto di battermi per trovare una cura che possa valere per tutti, non solo per il mio caso. Anche grazie a questo episodio ho deciso che voglio essere la voce di tutti coloro che nutrono ancora speranza. E lo voglio fare per tutte quelle persone che non ci sono più.

Nella mia vita ho ricevuto anche critiche, sia chiaro, c'è chi mi ha detto che ora mi sento speciale, diverso. L'unica cosa che posso dire è che non voglio avere nemici, ma preferisco circondarmi di alleati, perciò esorto tutti quanti a collaborare per delle terapie migliori di quelle attuali.

Parlando del linfoma di Hodgkin, può raccontarmi la sua esperienza? 

Anche in questo caso ero da solo, il mio cancro era al 4° stadio, il più grave. Ma allo stesso tempo fu molto diverso rispetto all'HIV, in questo caso ricevetti tutto il supporto, le attenzioni, e l'amore delle persone. Ero subito in grado di dirlo ai miei amici, alla mia famiglia, che mi ha capito fin da subito. Il linfoma di Hodgkin ha un tasso di sopravvivenza del 95%, ma sfortunatamente io facevo parte di quel 5% molto difficile da curare.

Per questo motivo mi dissero: "Adam, per il prossimo Natale non sarai più qui tra noi". E mi hanno mandato in un hospice a morire. Così ho deciso di non arrendermi, e di chiedere un secondo parere a un altro team medico. Ecco perché sono vivo, perché non ho perso la speranza.

Quando mi hanno dato la possibilità di ricevere un trapianto, allo stesso modo mi hanno dato l'occasione di curare le mie due malattie. È in questo momento che inizia la storia del paziente di Londra, un'esperienza a lieto fine, di cui però le persone non ricordano che, fino a prima della guarigione, mi erano stati dati sei mesi di vita. È quando ho ricevuto il trapianto che ho capito per la prima volta che l'HIV aveva pregiudicato il mio cancro. Al tempo il mio team non era in grado di eseguire quell'intervento, ecco perché ho dovuto contattare un secondo team di specialisti. Questa però è una lezione che deve imparare anche la comunità scientifica in generale. Questi errori non si devono più ripetere.

La prevenzione per le malattie sessualmente trasmissibili come l'HIV è sparita dal dibattito pubblico e politico. Ci sono differenze secondo lei tra la situazione italiana e quella inglese? 

Credo che, nel Regno Unito, il tema sia trattato più seriamente. Penso che qui ci sia una maggiore consapevolezza dell'HIV e che si parli più apertamente sia del virus che dell'AIDS. La ricerca per una cura contro l'HIV nel Regno Unito si è sviluppata velocemente, ma nonostante i progressi, bisogna tornare a parlarne più spesso. Credo che sia necessario partire dall'inserire il tema nel sistema educativo-scolastico.

Questo perché la pandemia da HIV esiste ancora, e le persone non ne parlano perché non vogliono fare i conti con la realtà. Non dobbiamo normalizzare l'HIV, dobbiamo sconfiggerlo. Ecco perché è necessario cambiare la narrazione di questo virus, e abbandonare quella del passato, che è vergognosa.

È ora di dirlo chiaramente: bambini, donne, uomini, qualsiasi persona nella società, a prescindere dall'orientamento sessuale, può contrarre il virus.

Guardatemi. Questo è il volto dell'HIV senza barriere e senza stigma. E voglio che la gente capisca che l'empowerment e l'HIV esistono e che stiamo cercando di trovare una cura. E poi voglio dire anche un'altra cosa, fondamentale, al pubblico italiano: "La vita continua, sia con l'HIV che senza. Questa è la vita dopo l'HIV!".

Le informazioni fornite su www.ohga.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.