Giudizio universale: i cittadini vogliono fare causa allo Stato sui cambiamenti climatici

Decine di gruppi, associazioni, movimenti noti e meno noti, ma anche centinaia di singoli cittadini stanno aderendo alla prima causa legale nei confronti dello Stato italiano. L’accusa? Inadempienza politica nei confronti dei cambiamenti climatici. Rita Cantalino dell’associazione A Sud, ci racconta il percorso della campagna Giudizio Universale.
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Sara Del Dot 22 Luglio 2019

Fare causa allo Stato perché le sue azioni nei confronti del Pianeta si sono fino ad ora rivelate insufficienti. Studiare i margini legali affinché la lotta per il clima possa diventare giurisprudenza, creando un caso giuridico senza precedenti nel nostro Paese. In questo momento decine di associazioni, gruppi territoriali, scienziati, studiosi e avvocati stanno girando lo stivale raccogliendo adesioni per il progetto chiamato “Giudizio Universale”, che rappresenta la prima causa legale intentata allo Stato italiano sui cambiamenti climatici. Sono già stati a Napoli, Taranto e Avellino, e non hanno nessuna intenzione di fermarsi. Perché, lo sentiamo ripetere da mesi senza sosta, ci restano soltanto 11 anni per invertire la rotta e iniziare a mettere in pratica politiche che possano in qualche modo salvare la Terra e tutti i suoi abitanti, compresi noi.

A parlarcene è l'attivista Rita Cantalino, referente del progetto Giudizio universale e membro di A Sud, un’associazione che si occupa di conflitti ambientali e cerca di dare spazio alle battaglie che si combattono in tutto il Paese, oltre a rappresentare uno dei principali promotori della campagna.

Rita, parlaci di Giudizio Universale

Giudizio Universale nasce come campagna portata avanti da una serie di organizzazioni ambientaliste ed ecologiste su tutto il panorama nazionale, oltre a moltissimi comitati territoriali come le reti campane contro il biocidio, i No Tav, No Tap, No Muos eccetera. Ciò che vogliamo è riuscire a intentare, questo autunno, la prima causa legale contro lo Stato italiano per quanto riguarda i cambiamenti climatici. Perché, prima d’ora, il fronte di attivazione della giustizia climatica era molto diffuso in tutta Europa e nel mondo, dove ci sono mille cause in atto al momento, ma in Italia non era ancora arrivato. Abbiamo quindi deciso di portare avanti questa battaglia per primi.

Qual è il vostro obiettivo?

Lo scopo principale del progetto è raccogliere un numero ingente di cittadini e realtà sociali per presentare tutti insieme questa denuncia, senza che sia vista come una causa di qualcuno nello specifico. Ci tengo a sottolineare è che non chiederemo risarcimenti. Quello che ci interessa è riuscire a connettere giuridicamente il tema dei cambiamenti climatici con i diritti umani e certificare che non fare nulla a livello governativo per contrastare i cambiamenti climatici rappresenta una vera e propria violazione dei diritti umani.

E quindi di cosa accusate il governo?

Noi accusiamo il governo di inazione. Tutti gli impegni che il nostro governo ha preso sul clima sono assolutamente insufficienti a fronte degli studi scientifici internazionali che sono al centro dell’attenzione mediatica in questo periodo, in particolare il famoso rapporto dell’IPCC. Tutto il piano degli impegni internazionali assunti di cui il nostro governo fa parte è insufficiente e non servirà a mitigare le conseguenze disastrose dei cambiamenti climatici. Questo è il focus scientifico del lavoro che stiamo facendo.

Come lo state svolgendo?

In questo momento stiamo viaggiando tantissimo, organizziamo iniziative in tutta Italia per raccontare la nostra campagna e la nostra causa. Siamo già stati a Napoli, a Taranto, ad Avellino e nei prossimi mesi continueremo a muoverci. Abbiamo in programma di recarci in Val di Susa, a Venezia, a Crotone, a Niscemi… Insomma, faremo dei viaggi molto intensi. L’idea di base è che a fare causa sia una compagine mista. Vogliamo che da un lato ci siano delle organizzazioni, associazioni formalmente riconosciute che si occupano a vari livelli di tutela ambientale, e dall’altro singoli cittadini o espressioni di percorsi di attivismo di comitati che magari non sono formalmente riconosciuti, ma anche i bambini, perché quello che ci interessa è affermare che quello del clima è un diritto che riguarda soprattutto le future generazioni che saranno quelle che pagheranno di più le conseguenze dell’inazione politica attuale.

Come si compone il cuore del progetto?

A partire dall’idea iniziale di fare causa allo Stato, noi di A Sud ci siamo confrontati con varie realtà e associazioni che avevamo vicine e abbiamo iniziato a studiare un profilo scientifico da fornire all’argomentazione legale. Mano a mano il team legale si è allargato, così come la compagine. Solo dopo molti mesi abbiamo iniziato a comunicare il progetto. Le realtà promotrici al momento sono una quarantina, ma si prevede di allargare presto l’elenco. Naturalmente abbiamo un team legale, composto dall’avvocato Saltalamacchia, il primo avvocato a portare in Italia la comunità nigeriana Ikebiri, che era stata colpita dagli impatti di uno sversamento di Eni. Poi c’è il professor Michele Carducci, docente di diritto costituzionale ed esperto di diritto al clima, che è il consulente legale di tutti i comitati No Tap. E poi c’è Raffaele Cesari, un altro avvocato pugliese esperto di diritti umani e diritto al clima. Oltre a loro c’è anche un team scientifico composto dai ricercatori indipendenti delle associazioni varie, più un’altra serie di scienziati e studiosi a vario titolo di varie discipline connesse al tema.

Come si lega questo progetto con tutti gli altri gruppi di lotta per il clima come i Fridays for Future ed Extinction Rebellion?

Sicuramente la campagna nasce dalla fortissima attenzione al tema che ha caratterizzato l’ultimo anno, su cui abbiamo voluto provare a incidere. Noi siamo in connessione molto stretta sia con i Fridays for Future che con gli attivisti di Extinction Rebellion, così come con moltissimi altri gruppi. Ciò che abbiamo voluto fare noi è stato offrire uno strumento che potesse essere un po’ il collante di tutti questi fronti di attivazione, basato sul concetto che ciascuno segue il proprio personale percorso ma poi tutti insieme facciamo qualcosa di concreto. La nostra causa non è altro che uno strumento a disposizione di tutti per perseguire un obiettivo comune.

Cosa succederà quando depositerete l’istanza?

Una volta presentata l’istanza, dovremo attendere per capire che se verrà accolta dal giudice oppure se non potrà diventare oggetto di giurisprudenza. Quest’ultima ipotesi potrebbe essere plausibile, dal momento che questa causa rappresenterebbe un inedito nella giurisprudenza del nostro paese. Non dimentichiamo infatti che in Italia il diritto al clima non è mai stato affrontato giuridicamente, tanto meno nella sua connessione con i diritti umani. Ad ogni modo, secondo noi ci sono tutti i presupposti perché la nostra causa venga accolta. A quel punto, inizierà il processo vero e proprio. Se non accadrà, proseguiremo in altre direzioni. La cosa certa è che non ci fermeremo.