Gli attivisti che salvarono i beagle di Green Hill non sono ladri: lo ha stabilito la Corte di Cassazione

Gli attivisti animalisti che nel 2012 avevano rubato 67 beagle dall’allevamento di Green Hill non sono ladri. Lo ha stabilito una sentenza della Corte di Cassazione, che ha dichiarato che gli attivisti non avrebbero tratto nessun vantaggio da questa appropriazione, avvenuta soltanto per sottrarre i cani da condizioni di maltrattamento.
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Sara Del Dot 14 Ottobre 2019

Un salvataggio non può essere considerato un furto. Lo ha deciso la Corte di Cassazione, che l'1 luglio 2019 ha annullato la sentenza di condanna emessa in Corte d’appello nel 2018 a carico dei 12 animalisti che il 28 aprile 2012 avevano salvato dall’allevamento di Green Hill 67 cani di razza beagle destinati alla sperimentazione. La decisione della Corte di Cassazione risale a inizio ieri, ma solo negli scorsi giorni sono state rese note le motivazioni con la pubblicazione della sentenza.

Le immagini dei cuccioli che venivano passati di mano in mano attraverso il filo spinato dell’allevamento di Montichiari avevano fatto il giro del mondo, diventando simbolo della lotta contro la sofferenza degli animali destinati alla vivisezione. Eppure, per la giurisprudenza, gli attivisti che avevano scavalcato la recinzione per portare in salvo quanti più cani possibili, erano considerabili alla stregua di ladri d’appartamento. Almeno fino a poco tempo fa, quando la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza rinviandola per nuovo esame a un’altra sezione della Corte d’appello di Brescia. Un rinvio che segna un confine molto importante: quello tra il furto e il salvataggio.

L’allevamento Green Hill di Montichiari (Brescia), di proprietà dell’azienda americana Marshall BioResouces, per anni aveva detenuto migliaia di beagle destinati ai laboratori come cavie da sperimentazione. Le manifestazioni organizzate dai gruppi animalisti per chiudere la struttura erano state tante, ma quella del 28 aprile 2012 aveva cambiato le cose. 67 cani erano stati portati in salvo e appena tre mesi dopo, il 28 luglio, tutti gli altri 2500 esemplari detenuti nell’allevamento erano stati posti sotto sequestro probatorio e affidati alla custodia giudiziaria di Lav e Legambiente. Green Hill era stato chiuso, i suoi co-gestori, il diretto e il veterinario condannati.

Ma anche i volontari che avevano fatto parte di questo percorso, salvando decine di cani e contribuendo al divieto definitivo di allevare cani per la sperimentazione in Italia, sono stati coinvolti in un iter giudiziario durato anni.

Ma se già allora il termine “rubare” non sembrava rappresentare in modo veritiero ciò che era avvenuto quel giorno di aprile a Montichiari, oggi grazie alla sentenza della Corte di Cassazione quel verbo potrebbe essere archiviato. Almeno per quanto riguarda questa vicenda.

La Cassazione ha infatti annullato la sentenza di condanna della Corte d’appello, ritenendo che al momento del furto non vi fossero elementi per verificare che gli attivisti avessero portato via i cani per motivi di arricchimento personale o per impossessarsene. Quindi, essendo il “furto” avvenuto per salvarli da dolore e sofferenza e non per appropriarsene, non è stato possibile associare il caso Green Hill ad altro genere di furti, come ad esempio quelli che avvengono in abitazioni, cosa che era stata invece decisa in precedenza.