
"La nostra casa è in fiamme" dice Greta Thunberg e, guardando all'attuale situazione cilena, non possiamo darle torto. Dallo scorso venerdì il Paese sudamericano è divorato dagli incendi nelle regioni di Valparaiso e di Viña del Mar. I forti venti hanno alimentato le fiamme e una coltre di fumo nero ha ricoperto le strade. Le cifre del fenomeno sono preoccupanti: le ultime stime parlano di 112 morti, più di 1000 case distrutte, 30mila le persone senza acqua potabile e 22mila senza elettricità. Sono stati emanati appelli all'evacuazione ma risulta difficile determinare quanti residenti siano rimasti nelle loro case. Il Governo ha dichiarato lo stato d'emergenza e due giorni di lutto nazionale.
Come ha spiegato la ministra degli Interni, Carolina Tohá, sarebbero 92 gli incendi attivi che stanno bruciando in varie parti del paese e che finora hanno interessato circa 43mila ettari di territorio. Il presidente Gabriel Boric ha definito ciò che sta accadendo "la più grande tragedia che abbiamo avuto dal terremoto del 2010", riferendosi al terremoto di magnitudo 8.8, seguito dallo tsunami che si è verificato il 27 febbraio 2010, causando oltre 500 morti.
Ma perché tutto ciò? Il Cile sta attualmente vivendo un'ondata di caldo anomalo, l'ultimo decennio è stato il più rovente mai registrato, basti pensare che la capitale, Santiago, sta soffocando da diversi giorni in temperature calde e secche che hanno sfiorato i 40 gradi. Gravi incendi stanno colpendo il Paese dal 2017 in regioni popolate come quella attorno Valparaíso, area in cui la prolungata siccità, unita al caldo sproporzionato e alla negligenza umana, ha gettato le basi per la nascita e la propagazione di crisi ambientali come quelle a cui stiamo assistendo.
Senapred, il Servizio nazionale di prevenzione e risposta alle catastrofi, stima che gli incendi abbiano finora rilasciato nell’atmosfera 4 milioni di tonnellate di carbonio, portando alle più alte emissioni di alcune regioni negli ultimi 20 anni. Nel 2017 le fiamme nelle regioni centrali di O’Higgins, Maule e Bío Bío hanno distrutto più di 575mila ettari di terreno e obbligato 6mila persone a lasciare le proprie case, come allora, anche oggi la popolazione cilena sta pagando a caro prezzo gli effetti della crisi climatica.