Greenpeace contro le banche: “Investono miliardi di dollari nei combustibili fossili”

In occasione del World Economic Forum di Davos, Greenpeace International ha pubblicato un report in cui si mette in evidenza come la finanza globale stia ancora sostenendo in maniera massiccia l’industria del carbone e quella del petrolio, nonostante gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi sul clima.
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Federico Turrisi 23 Gennaio 2020

A Davos va in scena l'ipocrisia di banche, compagnie di assicurazioni e fondi pensione. In questi giorni si sta tenendo nella cittadina svizzera il World Economic Forum. L'edizione di quest'anno vuole mettere al centro l'impegno a trovare un modello economico più sostenibile, che consideri le criticità (ma anche le opportunità, verrebbe da dire) poste dalla crisi climatica. Parole come green economy, investimenti verdi e quant'altro sono sulla bocca di tutti. Ma nei fatti la finanza globale rimane ancora legata a doppio filo al settore dei combustibili fossili, quello che contribuisce maggiormente all'emissione di gas serra nell'atmosfera, disinteressandosi degli obiettivi stabiliti dall'Accordo di Parigi del 2015.

È questa l'accusa di Greenpeace International che nel report “It’s the finance sector, stupid”, pubblicato proprio mentre i potenti della Terra sono riuniti a Davos, svela i numeri sul rapporto tra i big della finanza e l'industria delle fonti fossili. E sono numeri che fanno riflettere. Prendendo come riferimento il periodo che va dalla firma dell’accordo di Parigi (dicembre 2015) al 2018, emerge che le 24 banche presenti al World Economic Forum dell'anno scorso hanno finanziato l’industria dei combustibili fossili per un valore di circa 1.400 miliardi di dollari.

Ma a Davos non ci sono soltanto banche. Nel settore finanziario giocano un ruolo cruciale anche i fondi pensione. La ricchezza gestita dai 20 maggiori fondi pensione mondiali ammontava nel 2018  a 18 mila miliardi di dollari. Una cifra enorme, come puoi capire. L’Asset Owners Disclosure Project ha preso in esame i 100 fondi pubblici più grandi al mondo e ha scoperto che l’87% dei loro asset non è stato sottoposto a una valutazione formale dei rischi climatici. Solo il 15% dei fondi ha cominciato ad adottare dall'ottobre 2018 una politica di esclusione del carbone, mentre il 65% non ha una politica di investimento responsabile con riferimenti specifici ai cambiamenti climatici. I tre fondi che erano presenti a Davos lo scorso anno detenevano almeno 23 miliardi di euro in quote dei colossi petroliferi o delle banche che finanziano le loro attività.

E poi ci sono le compagnie di assicurazioni. A Davos ne sono attese cinque, le stesse che Greenpeace, riprendendo una graduatoria di UnfriendCoal, definisce “le peggiori” per la loro scelta di assicurare il carbone. Di queste soltanto una ha promesso di disinvestire dai combustibili fossili, pur continuando a fornire una copertura assicurativa a diverse centrali a carbone attive. Quella additata come la peggiore di tutte è AIG, dal momento che ha dato il suo supporto finanziario a un nuovo progetto in Australia di un importante player del settore energetico come Adani. In questa operazione è coinvolta anche la banca italiana Intesa Sanpaolo. Insomma, tanti annunci ma alla fine l'industria del carbone e del petrolio continua a godere dell'indispensabile appoggio dei giganti della finanza mondiale.

"Le banche, i fondi pensione e le assicurazioni riuniti a Davos sono colpevoli per l’emergenza climatica. Nonostante i numerosi avvertimenti sia dal punto di vista ambientale che economico, questi colossi stanno alimentando un’altra crisi finanziaria globale continuando a sostenere l’industria dei combustibili fossili", sottolinea Jennifer Morgan, direttore esecutivo di Greenpeace International. “Sono semplicemente degli ipocriti: dicono di voler salvare il Pianeta ma lo stanno uccidendo per fare profitti".