
Non era bastato, evidentemente, il massacro record di 1.428 delfini avvenuto a metà settembre alle Isole Faroe durante l'ennesimo triste episodio della Grindadrap, la caccia ai cetacei tipica di questo arcipelago che si ripete puntualmente ogni anno. A distanza di circa 10 giorni dall'accaduto, altre 52 balene pilota sono state massacrate sull'isola di Streymoy, la più grande delle Faroe, con modalità se vogliamo ancora più agghiaccianti.
Di solito, infatti, la Grindadrap prevede che, in seguito ad un avvistamento, i cetacei vengano prima spinti verso le acque poco profonde di alcune baie autorizzate alla caccia, e successivamente agganciati e trascinati, per poi essere uccisi nel giro di pochi secondi con un coltello che recide il loro midollo spinale. Questa volta, però, il massacro è proseguito in modo ancor più ingiustificato e crudele: le 52 balene pilota, o globicefali, vittime dell'ultima battuta di caccia, erano infatti state catturate per essere trasferite al Museo di Storia Naturale delle Faroe, dove avrebbero dovuto essere "etichettate" per permettere agli scienziati il loro monitoraggio, come parte di un programma di ricerca scientifico. Tuttavia, dopo che il museo ha comunicato di non avere a disposizione uno staff abbastanza numeroso per completare le operazioni, i cetacei non sono stati liberati come era inizialmente previsto, bensì uccisi senza pietà con le stesse identiche modalità della Grindadrap.
A nulla sono servite, dunque, le proteste e l'indignazione emerse in seguito all'uccisione di quasi 1.500 delfini nella giornata di domenica 12 settembre, una mattanza che aveva colto di sorpresa persino il primo ministro delle Faroe Bárður á Steig Nielsen per il numero di animali macellati, portandolo a dichiarare che il governo avrebbe iniziato a "valutare i regolamenti sulla cattura dei delfini atlantici".
Di fronte all'immobilismo di una nazione che sembra intenzionata a preservare questa tradizione, ormai crudele e immotivata, l'organizzazione Sea Shepherd ha reagito lanciando, in collaborazione con altri attivisti, la campagna #stopthegrind, che avrà lo scopo di radunare più voci possibili per mettere alle strette il governo faroese e costringerlo una volta per tutte a vietare la Grindadrap.