I ghiacciai delle Alpi hanno livelli anomali di radioattività: colpa (soprattutto) di Chernobyl

Un recente studio mette in evidenza come la crioconite (il sedimento scuro che si forma sulla superficie dei ghiacciai durante la stagione estiva) delle masse glaciali alpine presenti una concentrazione di radionuclidi artificali molto più elevata rispetto ai ghiacciai delle isole Svalbard e del Caucaso. Anche in questo caso c’è lo zampino dell’uomo.
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Federico Turrisi 23 Aprile 2020

Di solito associamo i ghiacciai di alta montagna a un ambiente incontaminato. Purtroppo non è così. Non solo sono minacciati dall'aumento delle temperature, ma i ghiacciai delle Alpi fanno registrare livelli di radioattività piuttosto allarmanti. È quello che ha rilevato un gruppo di ricercatori dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca, analizzando alcuni campioni prelevati dal ghiacciaio dei Forni, in alta Valtellina, e da quello del Morteratsch, in Svizzera. Al lavoro hanno contribuito anche l'Istituito Nazionale di Fisica Nucleare, l'Università di Genova, l'Università Statale di Milano, l'Università di Pavia e altri istituti di ricerca polacchi e inglesi.

Più nel dettaglio, l'attenzione degli scienziati si è concentrata sulla crioconite, una sorta di polvere grigiastra che si accumula sulla superficie dei ghiacciai durante la stagione estiva. Dalle analisi è emerso che la crioconite dei ghiacciai alpini contiene non solo radionuclidi naturali, come il piombo-210, ma anche livelli sopra la media di radionuclidi riconducibili alle attività dell'uomo.

Uno di questi è il cesio-137, la cui presenza sarebbe da attribuire – secondo i ricercatori – all'incidente nucleare di Chernobyl del 1986. Non è finita qui. È stata inoltre notata la presenza di altri radionuclidi, come gli isotopi di plutonio e americio o il bismuto-207. Per questi ultimi la causa andrebbe ricercata nei test nucleari effettuati in alta atmosfera negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso.

La presenza di cesio-137 sarebbe da attribuire, secondo i ricercatori, all'incidente nucleare di Chernobyl del 1986

Per la prima volta, questi dati sono stati messi a confronto con quelli provenienti da ghiacciai situati in altre aree geografiche, come quelli delle isole Svalbard (nella regione artica) o della catena montuosa del Caucaso. Ebbene, l'accumulo di radioattività nella crioconite è un processo comune a tutti i ghiacciai del pianeta, ma ciò che cambia, a seconda dell'area geografica, è la composizione radiologica della crioconite. Il problema è più marcato nelle Alpi.

"La crioconite è uno dei materiali naturali più radioattivi che si possano rinvenire sulla superficie del nostro pianeta. Gli unici luoghi dove si trovano livelli di radioattività più elevati sono i siti in cui sono avvenuti incidenti o esplosioni nucleari", spiega Giovanni Baccolo, ricercatore del Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente presso l’Università di Milano-Bicocca. "A differenza di muschi e licheni, solitamente utilizzati per valutare la contaminazione radioattiva, la crioconite ha mostrato di concentrare la radioattività 10-100 volte di più, a seconda del radionuclide considerato. I risultati ottenuti suggeriscono di considerare in futuro la crioconite per studiare il livello di integrità ambientale degli ecosistemi d'alta quota".

Fonte | "Cryoconite: an efficient accumulator of radioactive fallout in glacial environments" pubblicato su The Cryosphere il 14 febbraio 2020.