I “muri della morte” rischiano di portare al collasso gli stock ittici dell’Oceano Indiano

Un nuovo rapporto accende i riflettori sullo stato della pesca intensiva con attrezzature dannose e pericolose nell’Oceano Indiano nordoccidentale. A essere usati sono i FAD e i cosiddetti “muri della morte”.
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Sara Del Dot 21 Aprile 2021

La pesca intensiva, in particolare se condotta attraverso pratiche non regolamentate, rappresenta una delle più gravi minacce per gli oceani di tutto il mondo. In mare aperto, lontano dagli occhi delle autorità e da sguardi indiscreti, nessuno può controllare cosa sta accadendo, se vengano utilizzati strumenti di pesca non a norma, se una volta adoperati non vengano abbandonati in acqua mettendo a rischio altre specie e inquinando gli ecosistemi, se vengano feriti e abbandonati a morire animali come delfini, tartarughe o uccelli marini.

All’interno del nuovo rapporto “High Stakes, the environmental and social impacts of destructive fighting on the high seas of the Indian Ocean”, Greenpeace racconta ciò che ha vissuto e documentato nell’Oceano Indiano nordoccidentale, dove era presente a bordo della nave Artic Sunrise.

Qui, è stato tristemente constatato (e filmato) l’utilizzo di reti derivanti d’altura, chiamate anche “muri della morte”, e dal nome non stupisce che siano state bandite da oltre trent’anni dalle stesse Nazioni Unite. Si tratta delle “spadare”, veri e propri muri di rete che dalla superficie del mare scendono fino agli abissi, bloccando e inghiottendo tutto quello che trovano, non soltanto quindi i banchi di pesce interessati ma anche tutte le altre specie marine tra cui esemplari a rischio estinzione come tartarughe, cetacei, addirittura uccelli.

L'equipaggio di Greenpeace è riuscito a catturare le immagini di almeno sette imbarcazioni che hanno calato queste reti, che tra le altre specie hanno catturato le mante chiamate “diavoli di mare”.

Dove passano i muri della morte, naturalmente, resta ben poco. E non solo all’Oceano, dato che gran parte dei villaggi e degli abitanti che vivono lungo le coste di questi mari si approvvigionano attraverso le attività di pesca. E quando parliamo delle località che si affacciano su questa distesa acquatica, stiamo parlando del 30% della popolazione del Pianeta. Un terzo dell’umanità.

Per tutti questi fattori, l’organizzazione ha voluto sottolineare l’importanza di mettere sul tavolo politico la questione, spingendo verso un Trattato Globale per gli Oceani delle Nazioni Unite in cui venga sancito l’obiettivo comune di tutelare almeno il 30% degli oceani entro il 2030.