recommerce vendita online usato

Il 2023 sarà l’anno del recommerce: ecco come la moda di comprare oggetti usati può aiutare l’ambiente

Si chiama “recommerce” ed è destinato a spopolare nel 2023. Si tratta della vendita online di oggetti usati, dalla moda all’elettronica. Molti lo scelgono anche perché più sostenibile delle più tradizionali modalità di shopping.
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Maria Teresa Gasbarrone 10 Gennaio 2023

Secondo un pregiudizio ormai vecchio, sostenibilità e business non possono stare insieme. Per molti anni siamo stati abituati a pensare che ambiente e ricchezza camminassero su due linee parallele destinate a non incontrarsi mai. Fortunatamente negli ultimi anni qualcosa è cambiato e le prove sono sotto gli occhi di tutti. Il recommerce è una di queste.

Se ti piace fare acquisti online sai benissimo di cosa stiamo parlando: come puoi intuire dal nome, con questo termine si indica la rivendita online di prodotti usati. Può interessare qualsiasi tipo di bene, dai vestiti agli oggetti elettronici, l'importante è che si tratti di oggetti di seconda mano.

Che cos'è il recommerce

La parola "recommerce" deriva infatti da "reverse commerce" o "re-ecommerce", ovvero "commercio inverso", nel senso che in questo modello di business è l'acquirente stesso a rivendere un prodotto già acquistato in passato.  Avrai sentito parlare di realtà come Vinted, thredUP e Poshmark, piattaforme di recommerce che stanno facendo la fortuna dei loro fondatori proprio grazie all'affermarsi di quest'abitudine. Un fenomeno destinato a crescere sempre di più: secondo un'indagine di Visa, quello del recommerce sarò uno dei cinque trend del 2023 in fatto di pagamenti digitali: in particolare il 69% dei partecipanti allo studio ha affermato di voler scegliere i propri rivenditori in base alle attività di recommerce previste.

Un trend mondiale

Nato qualche anno fa in India e negli Stati Uniti, all'inizio il recommerce riguardava soprattutto i prodotti di elettronica. Nello specifico, le prime società del settore, come Bundli (India), Gazelle (Usa) e reBuy (Europa), sono riuscite ad affermarsi rispetto alle altre piattaforme di rivendita dell'usato, come eBay o Facebook, grazie a un modello di business nuovo.

La differenza principale sta nel fatto che ad acquistare il prodotto è direttamente la società di recommerce che poi lo riconfeziona o ripara – a seconda delle necessità -, ne stima il valore e lo rimette in vendita. In questo modo l'utente che mette in vendita l'oggetto riceve subito il denaro e non si deve preoccupare di tutte le dinamiche legata alla vendita come i rapporti con l'acquirente o le spese di spedizione.

In Europa ogni cittadino consuma in media 26 kg di indumenti l'anno. Ne smaltisce solo l'11%

In brevissimo tempo, però, complice anche la pandemia, il recommerce ha iniziato a prendere piede anche in altri settori e secondo altre modalità. Uno dei campi in cui ha prodotto ottimi risultati è stato quello della moda, anche in formule diverse rispetto ai primi esempi di recommerce. Ad esempio piattaforme come Vinted non fanno altro che mettere in contatto il venditore con l'acquirente, aggiungendo al prezzo dell'oggetto una quota a carico di chi acquista.

Quanto vale in Italia e nel mondo

Dall'India all'Italia. Il recommerce è ormai diventato una pratica comune in moltissimi Paesi del mondo. Magari lo hai usato anche tu o hai pensato di farlo. Se è così ti assicuro che sei in buona compagnia. Considera che secondo l'Osservatorio second hand economy 2021 di Subito.it solo nel 2021 sono stati quasi 23 milioni gli italiani che hanno acquistato un prodotto usato, il 52% del totale. Si tratta di un mercato che solo quell'anno ha generato un valore di 24 miliardi di euro, pari all'1,4% del pil nazionale.

Per farti un'idea di quanto comprare oggetti di seconda mano sia ormai un'abitudine soprattutto negli Stati Uniti puoi dare un'occhiata alle cifre elaborate OfferUp, una piattaforma di vendita e acquisto tra utenti molto diffusa: nel 2022 l'82% degli americani, ovvero 272 di milioni di persone, ha acquistato o venduto oggetti usati.

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Non si tratta solo di soldi

I motivi che spiegano il successo del recommerce sono molti e di diversa natura. Di certo la premessa alla base del fenomeno è l'affermazione dell'ecommerce, ovvero dell'abitudine di fare acquisti online, complice anche l'immobilità a cui ci ha costretto per due anni la pandemia: secondo un report della piattaforma Shopify entro la fine del 2023 le vendite online nel mondo aumenteranno del 276.9%.

Ovviamente ad attrarre gli utenti sono anche i costi vantaggiosi, soprattutto ora che l'inflazione sta facendo lievitare i prezzi di molti prodotti. Questo è il primo motivo per il 93% delle persone coinvolte nello studio già citato di OfferUp. Ma soldi e comodità non bastano a spiegare il fenomeno.

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L'usato è sostenibile

Comprare oggetti già usati che altrimenti sarebbero finiti nel secchio dell'immondizia può diventare uno strumento importante nella lotta contro l'inquinamento. Lo sanno bene soprattutto i più giovani: sono infatti soprattutto loro a essere sempre più propensi a una nuova idea di shopping, più consapevole e sostenibile. Non a caso uno dei settori dove il recommerce si sta diffondendo con più successo è proprio quello della moda.

Il 40% di chi acquista usato lo fa per l'ambiente

Secondo il report "Mercato dell'usato in accelerazione" realizzato da Boston Consulting Group e Vestiaire Collective, rispetto al 2020, il mercato del second hand in questo settore si è triplicato, raggiungendo un valore compreso tra i 100 e i 120 miliardi di dollari in tutto il mondo. E se il risparmio è quasi sempre il primo motivo, ben il 40% di chi sceglie il recommerce lo considera un modo per acquistare vestiti in modo sostenibile. E hanno ragione.

L'impatto ambientale

Che mondo della "fast fashion" – la cosiddetta "moda veloce", quella per intenderci delle grande catene di distribuzione – abbia un costo ambientale enorme è infatti ormai risaputo. Per dare qualche numero: si calcola che la catena produttiva della moda causa il 10% del totale delle emissioni globali di carbonio, più di tutti i voli e gli spostamenti marittimi insieme.

Senza contare la questione rifiuti. "Dal 1996 –si legge sul sito del Parlamento europeo – la quantità di indumenti acquistati nell'UE per persona è aumentata del 40% a seguito di un repentino calo dei prezzi. Questo ha comportato la riduzione del ciclo di vita dei prodotti tessili: i cittadini europei consumano ogni anno quasi 26 kg di prodotti tessili e ne smaltiscono circa 11 kg. Gli indumenti usati possono essere esportati al di fuori dell'Ue, ma per lo più vengono inceneriti o portati in discarica (87%)". L'armadio di qualcun altro potrebbe essere una fine migliore, almeno per il Pianeta.

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