Il bambù, l’oro verde di un’economia ecosostenibile?

Il bambù è un materiale sempre più adottato nel mondo dell’architettura e del design. Ma è davvero sostenibile? Tanti sono gli aspetti positivi, ma esistono anche delle possibili minacce all’ambiente che è bene non ignorare.
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Gaia Cortese 31 Ottobre 2018

Più leggero del cemento armato e dell'acciaio, resistente, flessibile e, quello che più ci interessa, quasi del tutto sostenibile ecosostenibile, soprattutto se confrontato con le altre risorse del mondo dell'edilizia. Soprattutto per queste ragioni negli ultimi anni l'interesse intorno al bambù é cresciuto notevolmente.

Conosciuto dai più come alimento principale dei panda asiatici, il bambù si trova anche in diverse regioni dell'Africa, dell'America e dell'Oceania. La sua adattabilità alle più diverse condizioni atmosferiche – può crescere in un clima caldo umido così come a diversi gradi sottozero -, ha permesso a questa pianta di crescere anche in Europa.

È una pianta che cresce molto rapidamente e in condizioni ottimali può arrivare anche a 35 metri di altezza. Consuma un terzo dell'acqua rispetto ad altre piantagioni, e pertanto, per garantirne lo sviluppo e la crescita basta l'acqua piovana. Appartiene alla famiglia delle graminacee e conta circa 1400 specie e un centinaio di generi diversi, da quelli tropicali a quelli che più si adattano, per l'appunto, ai climi temperati e freddi.

Perché spesso il bambù viene annoverato tra le le risorse sostenibili? Tanto per cominciare il bambù può produrre fino a 20 volte più legname rispetto al numero di alberi di una stessa area. Questo perché la sua crescita è rapidissima. Un ettaro di bambù produce ossigeno come un intero bosco (che per definirsi tale deve avere una minima dimensione di almeno 2000 mq) e ha un'alta capacità di assorbire l'anidride carbonica. Ma non è tutto oro quel che luccica: esiste infatti un risvolto della medaglia. Se il lato positivo della velocità con cui si sviluppa è appunto la produzione di ossigeno, dall'altra parte bisogna però tenere conto del fatto che questa caratteristica lo rende una pianta altamente infestante e una piantagione di bambù può essere considerata "sana" dal punto di vista ambientale solo se gestita e regolata nel rispetto della vegetazione circostante, del suolo (compreso il suo sfruttamento) e delle caratteristiche e dei tempi di crescita e rigenerazione della specie.

Il bambù è particolarmente resistente all’attacco di malattie molto comuni per altre graminacee, per questo motivo non necessita di particolari cure e non necessita, come altre piante, dell'impiego di pesticidi.

Nel nostro Paese la potenzialità di questa risorsa non è passata inosservata, tant'è che numerosi bambuseti stanno spuntando da Nord a Sud. In questo modo si sta provando a far fronte all'altro punto debole del bambù: il kilometro zero. Una risorsa infatti è tanto più sostenibile quanto minore è il tragitto percorso nella sua "vita" da materia prima a prodotto. Finché utilizziamo bambuseti lontani migliaia di km, il bambù raccolto richiederà lunghissimi viaggi per arrivare nelle nostre case e tutto sarà fuorché una risorsa altamente sostenibile. Se invece la piantagione di bambù dalla quale proviene si trova in Italia, anche l'impatto ambientale per il trasporto sarà mitigato e sarà minore così il suo impatto ambientale.