Il glifosato è una minaccia per la salute e l’ambiente? Le voci di chi è contrario

Abbiamo chiesto un parere a Greenpeace Italia, associazione che aderisce alla campagna #StopGlifosato, e alla dottoressa Fiorella Belpoggi, direttrice dell’area ricerca dell’Istituto Ramazzini, che porta avanti uno studio indipendente per indagare quali conseguenze può avere il composto chimico sulla salute umana.
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Federico Turrisi 29 Novembre 2019

Nel 2022 l'Unione Europea sarà chiamata a pronunciarsi sul rinnovo della licenza per usare il glifosato, la molecola che è alla base della formulazione di numerosi diserbanti, tra cui il Roundup sviluppato dalla Monsanto. Alcuni paesi membri si stanno muovendo per bandirlo completamente. Il parlamento austriaco, per esempio, lo scorso luglio si è espresso a favore del divieto degli erbicidi a base di glifosato nel paese a partire dal 1 gennaio 2020. Il voto austriaco deve essere però notificato alla Commissione Europea, a cui in sostanza spetta il compito di ammettere la possibilità di divieti nazionali che si discostano dalle normative europee. E così anche la Germania ha voluto giocare d'anticipo approvando un programma per bandire i prodotti a base di glifosato entro la fine del 2023.

Anche in alcune aree dell'Italia si è deciso di vietare l'uso dei diserbanti a base di glifosato, anche se la legislazione attuale ne consente l'impiego (con alcune restrizioni): è il caso del Consorzio di tutela del prosecco Conegliano Valdobbiadene Docg, in Veneto, ed è il caso della Regione Toscana, che ha annunciato di voler dire stop al glifosato entro la fine del 2021. Nel nostro paese numerose organizzazioni e associazioni hanno aderito alla campagna #StopGlifosato, nata per fare pressione sui politici nostrani affinché anche l'Italia prenda misure contro l'utilizzo del controverso erbicida. Tra queste c'è Greenpeace, che si impegna per promuovere una riduzione dell’uso della chimica di sintesi in agricoltura. In particolare, le principali richieste dell'associazione sono:

  • Dare priorità all’agricoltura biologica e individuare obiettivi quantitativi più ambiziosi in termini di percentuali di riduzione di tutti i prodotti fitosanitari perché vi sia un reale effetto sulla salute e sull’ambiente, anche in base al principio di precauzione;
  • Vietare l’uso dei pesticidi in città adottando tecniche biologiche per la manutenzione delle aree non agricole, come strade e ferrovie, con particolare attenzione al verde pubblico e privato;
  • Prevedere il divieto totale del glifosato in Italia entro il 2022, escludendo qualsiasi ipotesi di rinnovo dell’autorizzazione concessa per cinque anni dall’Unione Europea il 27 novembre 2017.

Secondo l'associazione ambientalista, l'uso dei pesticidi, tra cui ovviamente c'è il glifosato, altera gli equilibri degli ecosistemi, rappresentando una seria minaccia per la sopravvivenza di alcune specie, tra cui le api e gli altri insetti impollinatori. Senza contare poi il pericolo di contaminazione delle acque superficiali e sotterranee.

Oltre a quello ambientale, l'aspetto che preoccupa di più quando si parla di glifosato è senza dubbio quello legato alle possibili conseguenze per la salute umana, soprattutto da quando lo Iarc nel 2015 ha inserito il glifosato nel gruppo 2A, classificandolo come "probabilmente cancerogeno". Una decisione che ha suscitato non poche polemiche, non solo perché in contrasto con quello che dicono gli altri enti regolatori e le altre agenzie internazionali (come l'americana Epa, o le europee Echa ed Efsa), ma anche perché sono stati sollevati dubbi sul modus operandi dello Iarc stesso.

"Nella valutazione dei composti chimici spesso entrano in gioco conflitti d'interesse. Lo Iarc, per regolamento, valuta solo gli studi scientifici indipendenti pubblicati in una data precedente all'uscita della monografia, mentre l'Efsa si affida soprattutto agli studi effettuati col sostegno dell'industria. C'è poi un'importante differenza di cui tenere conto. Lo Iarc valuta il pericolo, non il rischio. Il primo non è quantificato: lo Iarc non stabilisce in quali quantità sia pericolosa una sostanza né si occupa di fissare i limiti di assunzione per il nostro organismo. Questo viene fatto dalle agenzie regolatorie, come l'Echa per le sostanze chimiche e l'Efsa per gli alimenti nell'Unione Europea, con le procedure di risk assessment (valutazione del rischio, ndr). Il pericolo dà un nome e un cognome: cancerogeno, probabile cancerogeno, possibile cancerogeno e così via".

A parlare è Fiorella Belpoggi, direttrice dell'area ricerca dell'Istituto Ramazzini di Bologna, centro di ricerca indipendente che ha condotto e sta conducendo studi sulle possibili conseguenze sulla salute umana dovute all'esposizione da glifosato. Nel 2018 si è conclusa la fase pilota dello studio globale sul glifosato, avviata nel 2016, e i risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Environmental Health. Lo studio pilota ha indagato gli effetti sui ratti esposti ad una concentrazione di glifosato equivalente alla dose giornaliera accettabile nell'alimentazione umana – detta ADI, ossia Acceptable Daily Intake – stabilita dall'Epa, l'agenzia statunitense per la protezione ambientale, a 1,75 milligrammi per chilo di peso corporeo al giorno (in Europa invece è fissata a 0,5 mg/Kg/die).

"Lo studio è durato 90 giorni e, considerando che mediamente un ratto vive circa tre anni, ci ha permesso di prendere in esame in breve tempo i possibili effetti del glifosato durante la prima fase di vita degli animali fino al loro sviluppo sessuale. In particolare, abbiamo concentrato la nostra attenzione sulle conseguenze per il sistema riproduttivo e ormonale e abbiamo notato che l'esposizione al glifosato, anche in dosi ritenute sicure, ha sull'organismo un effetto androgenico, ossia contrario all'estrogeno. È un fatto grave, non è una sciocchezza".

Nello stesso periodo i ricercatori del Ramazzini hanno notato un'alterazione delle cellule linfatiche a livello intestinale e un cambiamento della composizione delle colonie di microbiota intestinale dei ratti. Ma non è finita qui. Analizzando periodicamente le urine degli animali, è emerso che le concentrazioni di glifosato andavano aumentando. Questo vuol dire che parte della sostanza viene accumulata nei tessuti e viene smaltita dall'organismo gradualmente. "L'industria ha sempre sostenuto che il glifosato non causa accumulo, ma i nostri esperimenti dicono il contrario. Bisogna allora fare attenzione: l’accumulo infatti comporta una tossicità maggiore, dal momento che la dose all’interno del corpo si innalza continuamente. Ciò significa che il nostro riferimento non è più l'ADI, ma un livello più alto", prosegue la dottoressa Belpoggi.

Sul glifosato pesa inoltre il sospetto di incrementare il rischio di formazione di un particolare tumore del sistema linfatico, il linfoma non-Hodgkin. Anche su questo vuole fare luce l'area ricerca dell'Istituto Ramazzini, che a tal proposito ha avviato lo scorso ottobre uno studio a lungo termine che proseguirà per i prossimi tre anni. "Le neoplasie necessitano di molto tempo per essere studiate, visto che il cancro ha solitamente una latenza lunga. Nello studio che abbiamo appena avviato sono stati posti come obiettivi finali anche i possibili effetti sul sistema immunitario e su quello linfatico. È una parte che andremo a investigare meglio".

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