Nel nostro Paese, sia per la natura geologica e geomorfologica che per l’urbanizzazione elevata, il dissesto idrogeologico rappresenta un problema serio per via dell’impatto che può avere non solo sull’ambiente ma anche sulla vita delle persone. Azioni e strategie per mitigare il rischio associato dovrebbero essere prioritarie nei programmi di Governo, a prescindere dal colore politico. Ma cosa significa esattamente “dissesto idrogeologico” e qual è la situazione in Italia?
Sotto il termine “dissesto idrogeologico” vanno intesi tutti quei cambiamenti geomorfologici, ovvero legati alla forma del terreno, indotti dall’azione delle acque. Dunque frane, smottamenti, valanghe, flussi di detrito, sono fenomeni strettamente connessi agli eventi meteorologici e climatici che modificano l’aspetto del terreno e del paesaggio e che spesso devono fare i conti con un’antropizzazione troppo spinta e molto poco rispettosa dei fenomeni naturali.
Dalla disposizione e tipologia dei manufatti deriva il rischio idrogeologico: se le strutture non insistono, infatti, il rischio è trascurabile. È importante dunque calcolare il livello di rischio a cui le strutture sono esposte per tutelare la vita delle persone e le attività economiche. Una delle azioni principali di ogni Governo è quella di agire con investimenti e azioni di riforma mirate alla mitigazione del rischio: purtroppo il nostro Paese deve fare i conti con un abusivismo edilizio che ha spesso compromesso l’ambiente e la sicurezza della vita delle persone.
Gli effetti dei cambiamenti climatici stanno modificando l’equilibrio di alcuni fenomeni naturali che, a causa dell’estrema e indiscriminata urbanizzazione di alcune aree, stanno diventando una minaccia per la nostra sicurezza. Sono questi i fattori che compongono il dissesto idrogeologico: da un lato gli eventi meteoclimatici, dall’altro la loro interazione con le aree urbanizzate.
Secondo Ispra, l’Italia è uno dei paesi europei maggiormente interessati da fenomeni franosi, con oltre 620.000 frane (area di circa 24.000 kmq, pari al 7,9% del territorio nazionale). Ogni anno sono qualche centinaia gli eventi principali di frana sul territorio nazionale che causano vittime, feriti, evacuati e danni a edifici, beni culturali e infrastrutture lineari di comunicazione primarie (122 eventi principali nel 2020, 220 nel 2019, 157 nel 2018, 172 nel 2017, 146 nel 2016, ecc.). Dalla Mosaicatura della pericolosità da frana dei Piani di Assetto Idrogeologico è possibile stimare la superficie complessiva delle aree a pericolosità da frana PAI e delle aree di attenzione in Italia che è pari a 60.481 kmq, ovvero il 20% del territorio nazionale. Prendendo in considerazione le classi a maggiore pericolosità (elevata P3 e molto elevata P4), assoggettate ai vincoli di utilizzo del territorio più restrittivi, le aree ammontano a 26.385 kmq, ovvero circa il 9% del territorio nazionale.
Le alluvioni, ovvero gli allagamenti temporanei di aree che abitualmente non sono coperte d’acqua, sono eventi ciclici legati a una combinazione di fattori meteo-climatici ma anche geologici, che sono avvenuti un po’ a macchia di leopardo in tutto il Paese. Sempre secondo Ispra, le aree a pericolosità idraulica elevata in Italia sono pari a 16.224 kmq (circa il 5% del territorio nazionale), ma le aree a pericolosità media ammontano a 30.194 kmq (10%) e quelle a pericolosità bassa a 42.376 kmq (14%).
Il tema del dissesto del resto è legato a quello del consumo di suolo: più suolo si consuma, più saremo esposti al rischio di dissesto idrogeologico e dunque i fenomeni meteoclimatici risulteranno più dannosi. Il consumo di suolo nel nostro Paese è monitorato dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente e i dati vengono pubblicati in un interessante rapporto annuale. Secondo l’ultima edizione del rapporto tra il 2006 e il 2021 il nostro Paese ha perso 1.153 kmq di suolo naturale o seminaturale, con una media di 77 kmq all’anno a causa principalmente dell’espansione urbana e delle sue trasformazioni collaterali. Il consumo di suolo in Italia viaggia al ritmo di 19 ettari al giorno (circa 27 campi da calcio al giorno), un valore altissimo e purtroppo con una tendenza che sembra aumentare anziché diminuire nel tempo.
Secondo il rapporto Ispra dedicato al dissesto idrogeologico (edito nel 2021), praticamente tutta Italia può considerarsi a rischio: il 93,9% dei comuni italiani (7.423), infatti, è esposto ad un certo grado di rischio per frane, alluvioni e/o erosione costiera. Sono 1,3 milioni gli abitanti a rischio frane e 6,8 milioni gli abitanti a rischio alluvioni. Le regioni con i valori più elevati di popolazione a rischio frane e alluvioni sono Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Veneto, Lombardia, e Liguria. Si parla di quasi 584mila famiglie a rischio e oltre 2,9 milioni per alluvioni. Su un totale di oltre 14,5 milioni di edifici, quelli ubicati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata sono oltre 565.000 (3,9%), quelli ubicati in aree inondabili nello scenario medio sono oltre 1,5 milioni (10,7%). Le industrie e i servizi ubicati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata sono oltre 84.000 con 220.000 addetti esposti a rischio; quelli esposti al pericolo di inondazione nello scenario medio sono oltre 640.000 (13,4% del totale).
Interessanti anche i dati relativi ai Beni Culturali a rischio frane e alluvioni. Degli oltre 213.000 beni architettonici, monumentali e archeologici, quelli potenzialmente soggetti a fenomeni franosi sono oltre 12.500 nelle aree a pericolosità elevata e molto elevata; raggiungono complessivamente le 38.000 unità se si considerano anche quelli ubicati in aree a minore pericolosità. I Beni Culturali a rischio alluvioni sono quasi 34.000 nello scenario a pericolosità media e raggiungono quasi i 50.000 in quello a scarsa probabilità di accadimento o relativo a eventi estremi.
Secondo il Rapporto, inoltre, negli ultimi anni la superficie nazionale potenzialmente soggetta a frane e alluvioni è aumentata con un incremento rispettivamente di circa il 4% e il 19% rispetto al 2017.
Per prevenire o gestire il dissesto idrogeologico, è fondamentale condurre studi geologici e idrogeologici approfonditi con il fine di comprendere le caratteristiche del terreno e delle acque sotterranee in un'area specifica. Inoltre, è importante adottare misure di pianificazione del territorio che tengano conto dei potenziali rischi.
Per le aree già edificate sono necessari interventi strutturali e non strutturali che vanno dalle opere di ingegneria per il consolidamento dei pendii instabili e la difesa dalle alluvioni, alle delocalizzazioni, alle reti di monitoraggio strumentale e/o di allertamento. Per le aree non ancora edificate è fondamentale ubicare in posti sicuri le aree di nuova urbanizzazione con particolare attenzione agli edifici strategici quali ospedali, scuole, uffici pubblici e attuare una corretta pianificazione territoriale, mediante l’applicazione di vincoli e regolamentazione d’uso del territorio (PAI), che costituisce l'azione più efficace di riduzione del rischio nel medio-lungo termine.
Con il fine di attuare queste misure è fondamentale applicare la legislazione esistente in materia, contrastare l’abusivismo edilizio e intercettare strumenti finanziari per la realizzazione delle opere a supporto.
Le drammatiche vicende che hanno colpito l’Emilia Romagna nei mesi scorsi hanno riacceso il tema degli investimenti dedicati al dissesto idrogeologico, in primis chiamando in causa il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Nella sua versione originale circa l’1,3% delle risorse a disposizione dell’Italia erano destinate a questo tema: circa 2,5 miliardi di euro. Si tratta della linea di intervento “Misure per la riduzione del rischio di alluvione e del rischio idrogeologico” il cui obiettivo è quello di realizzare, attraverso oltre 1.700 progetti, interventi strutturali, volti a mettere in sicurezza da frane o ridurre il rischio di allagamento, e non strutturali, focalizzati sul mantenimento del territorio per mettere in sicurezza 1,5 milioni di persone oggi a rischio. Purtroppo proprio questa linea è stata oggetto di un ridimensionamento finanziario, alla luce della proposta di rimodulazione del PNRR, che ha portato i fondi a disposizione a circa 1,3 miliardi di euro. Il taglio sarebbe stato legato all’impossibilità di concludere gli interventi entro l’orizzonte temporale previsto dal PNRR (30 giugno 2026).
Intanto però secondo una ricerca condotta dal Centro Studi degli Ingegneri, all’Italia servono almeno 26,58 miliardi di euro per risolvere il problema del dissesto idrogeologico. Tale è il valore delle richieste provenienti dagli Enti Locali registrati sulla piattaforma RENDIS (Repertorio Nazionale degli interventi per la Difesa del Suolo) che ammontano complessivamente a 7.811. A fronte di queste necessità, il Piano Nazionale per la Mitigazione del Rischio Idrogeologico (ProteggItalia) varato nel 2019, prevede per il periodo compreso tra il 2019 ed il 2030 stanziamenti per 14,3 miliardi di euro, parte dei quali destinati a opere emergenziali connesse ad eventi calamitosi, interventi di messa in sicurezza dei territori ed infrastrutture, interventi per la mitigazione del rischio idraulico e idrogeologico. A questi si sarebbero dovuti aggiungere i fondi PNRR, ora decurtati.
Quale futuro dunque per i nostri territori?