Sono tante le aree metropolitane del mondo costruite vicino ai vulcani attivi. Basta pensare a Tokyo, che si estende a breve distanza dall’iconico cono del Monte Fuji, alle aree abitate indonesiane di Yogyakarta, Klaten e Surakarta attorno al Merapi, o ancora all’area metropolitana di Catania che si allunga fino alle pendici del nostro Etna. Esiste invece una sola grande area metropolitana sul nostro Pianeta costruita all’interno di un’area vulcanica: stiamo parlando di Napoli.
Secondo uno studio sulla percezione del rischio vulcanico realizzato negli anni ’80 da ricercatori dell’Università di Pisa, gli abitanti dell’area di Napoli riconoscevano chiaramente come unico vulcano il Vesuvio, non solo per via della netta morfologia ma anche per la memoria storica legata all’ultima eruzione del 1944, e non quello in cui vivevano dentro: i Campi Flegrei.
Sistema vulcanico dalle forme complesse, i Flegrei (il cui nome deriva dal greco “ardente”) sono caratterizzati da diversi crateri innestati, a testimonianza di antiche eruzioni, che si raccordano nel disegno strutturale di una grande caldera aperta a ferro di cavallo verso il mar Tirreno. Si tratta di una vasta area depressa, legata allo sprofondamento del tetto della camera magmatica, a cui interno sono avvenute negli ultimi 80.000 anni numerose eruzioni di svariata magnitudo, che hanno completamente ridisegnato il paesaggio di questa meravigliosa porzione d’Italia.
L’attività eruttiva in zona deve essere iniziata tra 80 e 60 mila anni fa con eruzioni che inizialmente devono avere visto una notevole interazione tra acqua del mare e magma in risalita. Uno degli eventi eruttivi più importanti è avvenuto circa 40mila anni fa con l’emissione dell’Ignimbrite Campana: un’eruzione altamente esplosiva che ha portato all’emissione di circa 150 km cubi di magma, ricoprendo di cenere un territorio di circa 5 milioni di km quadrati (dal Tirreno fino alla Russia) e cancellando ogni forma di vita nel raggio di 100 km dal centro eruttivo, localizzato all’interno dell’attuale caldera. La formazione di colonne di cenere alte fino a 40 km deve avere indotto variazioni climatiche su scala planetaria; inoltre, come suggerito da perforazioni profonde condotte negli ultimi decenni, tutta l’area calderica è stata soggetta ad uno sprofondamento di circa 700 metri. Circa 15mila anni fa poi, in un contesto geografico completamente diverso da oggi a causa del livello relativo del mare più basso e dunque con Ischia e Procida unite e Capri collegata alla penisola Sorrentina, si è verificata una seconda gigantesca eruzione cui è legata l’emissione del Tufo Giallo Napoletano: un deposito da flusso piroclastico che si rinviene in tutta la zona. Anche in questo caso si è assistito ad uno sprofondamento della caldera e all’ingresso del mare nella zona centrale. Altre eruzioni fortemente esplosive hanno ridisegnato la morfologia dei Campi Flegrei, l'ultima è stata quella del Monte Nuovo (1538) che ha prodotto un piccolo cono nei pressi dell’abitato di Pozzuoli. E oggi?
Sketch su base satellitare dell'area dei Campi Flegrei con il perimetro delle caldere legate alle due eruzioni più violente generate dai Campi Flegrei (Fonte dati OV-INGV)
Costruito tra il I ed il II sec. d.C., il mercato romano del Serapeo di Pozzuoli (chiamato così perché inizialmente scambiato per un tempio dedicato al culto del dio egizio Serapide) può essere considerato strumento di misura indiretto del bradisismo: il respiro dei Campi Flegrei. È infatti almeno dal tempo dell’esistenza di questo manufatto che il suolo dell’area vulcanica è soggetto a forti oscillazioni verticali legate all’aumento o alla diminuzione della pressione dei fluidi nel sistema di alimentazione del vulcano. Lungo le colonne del monumento, infatti, si possono osservare fori di organismi litodomi che indicano la variazione del livello marino nel passato.
Grazie alla datazione di tali fori è stato possibile ricostruire le oscillazioni del livello del mare dovute al sollevamento o all’abbassamento del suolo a Pozzuoli. Crisi bradisismiche importanti si sono avute negli anni '70 e '80 quando l’area flegrea e l'abitato di Pozzuoli in particolare, sono stati interessati da un repentino sollevamento nell’ordine di circa 3,5 m, accompagnato da numerosi terremoti, con gravi danni agli edifici. Fino al 2005 si è poi registrato un continuo abbassamento del suolo che si è interrotto a partire dallo stesso anno, quando gli strumenti hanno osservato un continuo sollevamento che si registra tutt’oggi.
Negli ultimi anni il suolo dei Campi Flegrei è in continuo sollevamento, fattore che ha attivato tutta la comunità scientifica e la protezione civile nazionale per un continuo monitoraggio dei parametri geofisici e geochimici dell’area. Le reti di monitoraggio delle deformazioni del suolo, predisposte dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), confermano tutta l’area di Pozzuoli in costante innalzamento ad una velocità massima di circa 15 mm al mese. Dal novembre 2005 nella zona di Rione Terra il suolo si è sollevato di oltre 1 metro e la maggior parte del movimento si è registrata negli ultimi 7 anni.
A preoccupare la popolazione sono i terremoti che accompagnano i movimenti dei fluidi all’interno del vulcano e che hanno un ipocentro piuttosto superficiale: nel solo mese di marzo 2023 sono stati registrati 612 movimenti tellurici con una magnitudo massima di 2.8. In piena area abitata si trovano inoltre le manifestazioni gassose de La Solfatara e di Pisciarelli, zone fumaroliche da cui comunque fuoriesce principalmente vapore acqueo. Secondo le osservazioni dell’INGV pubblicate periodicamente sui bollettini, non ci sono segnali che lascerebbero intravedere un’evoluzione dei fenomeni a breve termine ed il livello di allerta rimane di colore “giallo”, come stabilito dal Dipartimento della Protezione Civile, indicando solo la variazione di alcuni dei parametri monitorati dall'INGV.
Serie temporale delle variazioni in quota della stazione di RITE (Pozzuoli – Rione Terra), ACAE (Accademia Aeronautica), SOLO (Solfatara) e STRZ (Pozzuoli – Cimitero) da gennaio 2016 a marzo 2023 (Fonte dati OV-INGV – marzo 2023)
Per capire cosa succederà nel futuro è fondamentale studiare costantemente l’evoluzione dei parametri geofisici e geochimici monitorati da centri di ricerca e istituzioni, con il fine di prevenire eventuali variazioni dello stato di attività e mettere in sicurezza la popolazione residente.
Il piano di emergenza esiste ma, come confermato da un’intervista rilasciata recentemente da Giuseppe Mastrolorenzo, primo ricercatore dell’Ingv, lo stesso non sembra essere dimensionato al rischio: secondo il vulcanologo una futura eruzione esplosiva dei Campi Flegrei potrebbe coinvolgere gran parte della città di Napoli, il piano di emergenza deve quindi includere tutta l’area metropolitana, per mettere in sicurezza il maggior numero di abitanti possibile.
Napoli, la città dentro il vulcano, come dicevamo all’inizio, l’unica al mondo forse e per questo, probabilmente, la più vulnerabile.