Tra le sfide più importanti per garantire lo sviluppo sostenibile delle nostre città, vi sono la crescente domanda di risorse, la scarsità di materie prime e l’aumento della produzione di rifiuti.
Tra le materie prime ve ne sono alcune considerate “critiche”, poiché di strategica importanza economica ma caratterizzate da un alto rischio di fornitura. Si tratta di metalli preziosi ed elementi utili alla realizzazione di tantissime applicazioni tecnologiche in vari settori (energie rinnovabili, mobilità elettrica, aerospazio, digitale), la cui produzione è concentrata per ragioni geologiche in alcune zone della superficie terrestre.
Rendersi indipendenti da Paesi terzi per quanto riguarda l’approvvigionamento di materie prime critiche, è considerato un obiettivo strategico anche dall’Unione Europea. Un contributo al rafforzamento di questa indipendenza può venire dal recupero a fine vita dei prodotti tecnologici che, se correttamente raccolti e riciclati, possono contribuire a raggiungere questo obiettivo, con significative ricadute economiche, sociali e ambientali.
A partire dal 2011 la Commissione europea ha avviato un censimento delle materie prime critiche che, inizialmente, ne comprendeva 14; l’aggiornamento del 2020 ne comprende invece ben 30: Antimonio, Afnio, Barite, Bauxite, Berillio, Bismuto, Borato, Carbon coke, Cobalto, Fluorite, Fosforite, Fosforo, Gallio, Germanio, Gomma naturale, Grafite naturale, Indio, Litio, Magnesio, Metalli del gruppo del platino, Titanio, Niobio, Scandio, Silicio metallico, Stronzio, Tantalio, Terre rare leggere, Terre rare pesanti, Tungsteno, Vanadio. Tra quelle a maggior rischio di fornitura vi sono le Terre Rare leggere e quelle pesanti: basti pensare che il 98% delle Terre rare europee arriva dalla Cina, così come il 98% del borato arriva dalla Turchia o il 71% del platino che è di produzione sudafricana.
A livello globale è la Cina il principale fornitore di materie prime critiche, essa infatti fornisce il 66% delle materie prime critiche, un quantitativo ben superiore a quello di Sud Africa, Repubblica Democratica del Congo e Stati Uniti d’America che, insieme, arrivano al 17%.
Pechino è dunque costantemente ai vertici della catena di distribuzione di parecchi di questi materiali (soprattutto di Terre rare), creando un equilibrio sfavorevole a livello planetario. A livello europeo, per esempio, la Cina è il principale fornitore di materie prime critiche con il 44% del totale.
Per fronteggiare questa situazione e garantire un certo grado di indipendenza, la Commissione Europea ha avviato nel 2020 il Piano di azione per le materie prime critiche, in cui si riportano 10 linee di azione che disegnano il percorso da seguire per assicurare una transizione ecologica e digitale (che ha molto bisogno di materie prime critiche, purtroppo) garantendo la sicurezza dell’approvvigionamento per i nostri Paesi. Sono tre i pilastri su cui si basa il Piano:
– rafforzare l’approvvigionamento interno di materie prime critiche;
– diversificare l’approvvigionamento dai Paesi terzi;
– ridurre la dipendenza dalle materie prime critiche attraverso l’uso circolare delle risorse.
E su quest’ultimo punto, tutti possiamo dare un contributo. Come?
Un contributo a garantire l’indipendenza da altri Paesi per quanto riguarda la produzione di materie critiche, viene dal riciclo delle apparecchiature elettriche ed elettroniche a fine vita. Secondo uno studio – un po’ datato ormai – dell’E-waste lab di Remedia, in collaborazione con il Politecnico di Milano, un cellulare contiene 250 mg di argento, 24 mg di oro, 9 mg di palladio, 9 g di rame, la batteria a ioni di litio racchiude poi circa 3.5 g cobalto, 1.0 g terre rare (Nd, Eu, Ce e Tb).
Se consideriamo che la distribuzione pro capite di cellulari in Italia è vicina all’unità (0,96; dati reBuy 2021), ma nei nostri cassetti si stimano almeno altri 120 milioni di cellulari non utilizzati, e che il tasso di riciclo di questi oggetti sfiora il 98%, immaginate già le quantità che potremmo ricavare senza approvvigionarci dalle miniere cinesi o di Paesi terzi.
A livello mondiale, la quantità di RAEE (Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche) sta aumentando al ritmo di quasi 2 milioni di tonnellate all’anno. Se nel 2020 sono state 55,5 le tonnellate di RAEE prodotte, è possibile che nel 2030 si raggiungano 75 milioni di tonnellate. Se la Cina è il principale produttore di materie prime critiche, a livello mondiale, l’Europa è invece il principale produttore di RAEE: con 16,2 kg per abitante l’anno, superiamo l’Oceania (16,1 kg per abitante), le Americhe (13,3 kg per abitante) e l’Asia (5,6 kg per abitante). Una vera miniera dunque, ancora scarsamente sfruttata. L’Unione Europa ha fissato nel 65% dell’immesso sul mercato, il target di raccolta dei RAEE, ovvero più di 10 kg per abitante. Ad oggi però l’Italia è ferma poco più di 6 kg. Una situazione dunque da migliorare, come confermano anche gli ultimi dati disponibili sul tasso di riciclo dei RAEE (purtroppo risalenti al periodo 2015-2017; Eurostat), che mostrano una situazione frammentata dove si ricicla molto bene (ad esempio in Croazia 81%, Estonia 70%, Bulgaria 69%) o molto male (Italia 32%, Cipro 27%, Romania 25%, Malta 21%).
Un potenziale enorme, ancora largamente sprecato, come ribadisce anche il consorzio Erion: da 100 kg di RAEE si ricavano oltre 90 kg di materie prime seconde (non solo materie critiche, dunque). Riuscire a raccogliere le 600mila tonnellate l’anno, come richiesto dall’Unione Europea, ci consentirebbe di rimettere in circolo 550mila tonnellate di materie prime seconde.
Per migliorare la sicurezza nell’approvvigionamento dalle materie prime critiche una soluzione deve necessariamente venire dal miglioramento della filiera di gestione dei RAEE. Dalla raccolta al riciclo, la gestione del fine vita di queste apparecchiature deve essere necessariamente implementato non solo per raggiungere gli obiettivi europei ma anche e soprattutto per diminuire l’approvvigionamento da materie prime.
The European House of Ambrosetti ha stimato che raggiungendo il tasso di raccolta dei migliori Paesi europei (circa 70-75%), il nostro Paese riuscirebbe ad intercettare 280mila tonnellate in più di RAEE che, se correttamente riciclati, permetterebbero il recupero di circa 7,6mila tonnellate di materie prime critiche, pari a circa l’11% di quelle importate dalla Cina nel 2021, riducendo l’importazione e dunque (anche) le emissioni di CO2.
Per raggiungere questi obiettivi è necessario agire non solo dal punto di vista infrastrutturale, ampliando il parco impiantistico e aumentando in maniera capillare i centri di raccolta, ma è anche necessario adeguare la disciplina di raccolta dei prodotti tecnologici e snellire le procedure autorizzative per la realizzazione degli impianti.
Serve poi, come sempre, l’educazione e la sensibilizzazione dei cittadini, del resto i rifiuti non si producono da soli. Abbiamo un vero e proprio tesoro nelle nostre case, pensiamoci prima di abbandonare i frigoriferi per strada o quando troviamo vecchi cellulari nei nostri cassetti.