Il dibattito sulla costruzione di un nuovo termovalorizzatore a Roma ha riaperto la discussione sul tema della gestione dei rifiuti. Gli obiettivi europei in materia di economia circolare e decarbonizzazione non sembrano conciliarsi con questa decisione, presa per provare a risolvere un problema pluridecennale della capitale del nostro Paese.
Un punto è chiaro: non esistono termovalorizzatori (o inceneritori, per chi rifiuta un'accezione ‘troppo positiva' di questo tipo di impianti) a impatto zero, e la strategia migliore per la gestione degli scarti è sempre quella che punta su raccolta differenziata, riciclo e riuso. Ed esempi come quello di Copenaghen, dove uno degli impianti di questo tipo più avanzati a livello tecnologico è in crisi di sostenibilità economica, dovrebbero farci ragionare molto bene.
Di tutto questo abbiamo parlato con Roberto Della Seta, ex parlamentare e presidente nazionale di Legambiente dal 2003 al 2007.
Dottor Della Seta, perché è contrario alla proposta di costruire un nuovo termovalorizzatore a Roma?
Partiamo dalle parole. Termovalorizzatore è un termine che esiste solo in italiano: in tutta Europa si parla di inceneritori, anche se ricavano energia dalla combustione dei rifiuti. Il problema di questa proposta è che è totalmente fuori tempo. Poteva avere senso venti, trent'anni fa, quando gran parte delle grandi città europee si dotava di questo tipo di impianti. Ma oggi l'Europa si muove nel senso dell'economia circolare, del recupero di materia dai rifiuti, ovvero del modo più efficiente e sostenibile per creare risorse dagli scarti. Questa direzione è certificata da numerose normative, a partire dal pacchetto europeo sull'economia circolare, che non cita infatti l'incenerimento all'interno del ciclo dei rifiuti. Si dice che il 65% degli scarti va riciclato, che non più del 10% va messo in discarica, ma ciò non vuol dire che il resto va bruciato. Serve invece riciclare la gran parte dei rifiuti, andando oltre quel 65%.
Ma come fare con i rifiuti non riciclabili? Non è meglio spedirli al termovalorizzatore, piuttosto che in discarica?
Chiaramente è preferibile il termovalorizzatore alle discariche a cielo aperto, ma il punto è che la situazione odierna di Roma non è accettabile. Si viene da anni in cui il ciclo dei rifiuti è stato gestito in maniera terribilmente inadeguata, siamo solo al 40% di differenziata. Se arrivassimo ai livelli di città come Milano, attestandoci al 70% di differenziata, lavorando bene la parte restante separando la sua frazione recuperabile, potremmo arrivare a riciclare almeno l'80% dei rifiuti urbani prodotti. Oggi inoltre, ci sono tecnologie per cui il resto dei rifiuti può essere trattato chimicamente in bioraffinerie, producendo gas utili alla produzione di energia elettrica, con emissioni inferiori a quelle di un inceneritore. L'alternativa non dunque è tra l'inceneritore e l'attuale situazione romana, l'alternativa è tra la modernizzazione del trattamento rifiuti a Roma e l'inceneritore. Forse uno dei motivi a giustificare questa scelta di Gualtieri è la bassa qualità amministrativa del governo di Roma, e quindi la paura di non riuscire entro il suo mandato da sindaco di risolvere il problema rifiuti, che è complesso, diffondendo raccolta differenziata e realizzando i biodigestori per trattare la frazione umida dei rifiuti e farne metano. Lanciare l'idea della grande opera che risolve tutti i problemi è forse più semplice e rassicurante.
Sarebbe dunque un passo indietro rispetto agli obiettivi dell'economia circolare?
Dotare Roma di un inceneritore da 600mila tonnellate di rifiuti bruciati all'anno, se pensiamo che già esiste un altro inceneritore a San Vittore, vorrebbe dire bruciare circa metà dei rifiuti prodotti ogni anno a Roma, che sono circa 2,2 milioni di tonnellate. Vorrebbe dire abbandonare l'idea di riciclare i rifiuti in maniera adeguata. Sarebbe dunque bene discuterne nel merito, senza dire inesattezze, come a volte è capitato anche a chi propone questa scelta. Intanto va detto che non è una scelta ‘green‘, come affermato anche dall'Europa. Non si può dire che realizzando l'inceneritore non servirebbe più la discarica, perché l'inceneritore produce ceneri, una parte delle quali va immagazzinata proprio in discarica, con quelle derivanti da rifiuti pericolosi vanno in discariche speciali. Servirebbe dire le cose come stanno, confrontandosi, ma sapendo che si tratta di una scelta vecchia: come riconosciuto anche dal segretario del Pd Letta, che ha parlato di una sorta di "eccezione romana" in vista del Giubileo. Lui stesso dunque sa che è un'opzione antica, vecchia.
Ma come si fa, nel frattempo che la differenziata decolla, a gestire la situazione di Roma?
Serve intanto costruire subito i biodigestori, cosa per cui vuole molto meno tempo rispetto a un inceneritore. Roma li aspetta da anni. E' stata annunciata la loro costruzione, e questo permetterebbe di togliere una gran fetta di rifiuti di cui stiamo parlando, circa un terzo della produzione totale. Già così, avendo in uno-due anni questi biodigestori, si aiuterebbe molto la città. Serve poi raccogliere la differenziata ovunque possibile, puntando sul porta-a-porta, che si è dimostrato efficace in questo senso. Queste sono le vie maestre da battere, insieme alla riduzione a monte dei rifiuti prodotti. È una situazione senza dubbio complicata, con un'azienda di gestione dei rifiuti penosa a livello di qualità del servizio offerto: ma l'alternativa non può essere una grande opera dai tempi lunghi di costruzione, la quale probabilmente neanche potrà essere pronta per il 2025.
Chiariamolo una volta per tutte: un termovalorizzatore emette emissioni o no?
Non esistono impianti di questo tipo a emissioni zero. Né in Europa, né nel resto del mondo. Tutti producono emissioni, come del resto anche un qualunque impianto industriale. Bisogna capire poi ovviamente quante sono le emissioni, come si possono ridurre, ma senza dubbio – come tutti gli inceneritori al mondo – anche quello che si vuole fare a Roma produrrà emissioni inquinanti. Soprattuto emissioni climalteranti, come quelle di anidride carbonica. L'Europa sta avanzando verso l'azzeramento dell'uso di combustibili fossili, e non a caso ha escluso il "Waste-to-energy" dalla sua tassonomia delle attività sostenibili. Anche questo elemento conferma il giudizio che si tratta di una scelta superata, vecchia, obsoleta.
Quindi esiste il rischio di costruire impianti che poi non serviranno?
C'è il rischio sì, anche perché questo impianto nasce sovradimensionato rispetto alle esigenze di Roma, se lo immaginiamo calato in un contesto di economia circolare. L'impianto di Copenaghen ad esempio è in crisi perché non hanno rifiuti da bruciarci, dato che la stessa Danimarca ha imboccato la strada dell'economia circolare. Per questo importano rifiuti da Italia e Europa, servono a sostenere la gestione economica dell'impianto. Sui costi c'è anche da ricordare che la Ue, dal 2028, non esenterà più gli inceneritori dal pagamento ulteriore per le loro emissioni inquinanti. Questo perché producono molta più co2 rispetto a quella dei mix energetici nazionali, che hanno sempre più una loro parte legata alle rinnovabili. Un inceneritore come quello di Roma per ogni unità di energia prodotta rilascerebbe molte più emissioni di quelle del sistema elettrico complessivo. Per questo l'Europa vuole togliere queste esenzioni: ma ciò vorrebbe dire che l'inceneritore entrerà in funzione con costi di produzione di energia molto più alti di quelli su cui vengono fatti oggi i calcoli per la sua razionalità economica. Sarebbe bene che l'amministrazione comunale ci riflettesse.