Ivonne, il tumore al seno e il cambio di vita: “Una tappa terribile, ma che può far nascere cose positive”

Tutto comincia con un braccio alzato e un piccolo brufolo. Nel giro di due mesi la sua vita viene completamente stravolta da una diagnosi di carcinoma duttale invasivo. Inizia un lungo percorso durante il quale Ivonne Pagliari viene sostenuta dalla fede e aiutata dalla scrittura. Oggi le sue poesie sono un tramite per parlare ad altre donne che magari stanno affrontando la stessa esperienza.
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Giulia Dallagiovanna 8 Ottobre 2021
* ultima modifica il 22/10/2021

Sembrava un piccolo brufolo. Una puntura di insetto, niente di più. Ma in quell'aprile del 2018 Ivonne Pagliari sceglie, per fortuna, di vederci più chiaro. Chiede subito un parere al medico che la segue per mammografie ed ecografie al seno di routine. Lui la tranquillizza, le dice che probabilmente è solo una cisti benigna, ma che per sicurezza le avrebbero fatto un agoaspirato. Comincia così il suo percorso con la malattia, un carcinoma duttale invasivo, e con una nuova scoperta di sé, del lavoro che vorrebbe fare davvero, della persona che vorrebbe essere. Una strada lungo la quale viene sempre sostenuta dalla fede.

Quando arriva la diagnosi, Ivonne ha 45 anni. Solo pochi mesi prima era riuscita a sposarsi in chiesa con suo marito, dopo che lui aveva ottenuto l'annullamento dal matrimonio precedente. Lavora nel reparto Risorse Umane di un'azienda in provincia di Pesaro-Urbino e da qualche tempo le sue giornate sono diventate frenetiche e noiose. Dopo una riorganizzazione del personale, non si occupa più dei colloqui e delle selezioni, ma solo della compilazione delle buste paga.

Ed è esattamente a questo che sta pensando in un giorno di fine maggio, quando la convocano per il ritiro del suo referto. "Ero molto tranquilla – ci racconta. – Mi ero convinta che ormai era trascorso un po' di tempo da quando avevo fatto le analisi e questo voleva dire che era tutto a posto, altrimenti mi avrebbero chiamata subito. Con la mente ero completamente proiettata verso la vita di tutti i giorni, con tutta la mole di lavoro che mi aspettava alla fine del mese. Vedevo che le altre persone in attesa ricevevano il proprio referto e avevo iniziato a spazientirmi. ‘Lei deve aspettare la dottoressa', mi avevano detto. ‘Sì, ma quanto ci vuole ancora?' avevo chiesto io".

Alla fine anche lei e il marito vengono chiamati. La dottoressa chiede se può parlare liberamente e Ivonne comincia piano piano a riconnettersi con il presente e con quello che sta accadendo proprio ora, proprio a lei. "Dopo quelle due parole, carcinoma duttale, non ho capito più nulla. Non volevo piangere, volevo che mi spiegassero bene quale fosse la situazione e cosa andasse fatto".

Il tumore che all'apparenza era benigno doveva invece essere operato subito perché progrediva molto rapidamente

Quel tumore, che all'apparenza sembrava a tutti gli effetti benigno, andava invece operato subito perché stava progredendo molto velocemente: l'indice di proliferazione era al 74%. Nel frattempo, anche la madre di Ivonne era in attesa di un referto e anche lei si era da poco sottoposta a un agoaspirato. "Quando le ho detto della diagnosi, si è sentita male. Per fortuna, però, nel suo caso l'esito delle analisi è stato positivo. Io invece avevo davanti un lungo percorso". L'intervento viene fissato per metà giugno. Al momento del colloquio il chirurgo, tra le altre cose, le chiede se per caso lei sia credente. E Ivonne lo è, al punto dall'aver fatto un voto proprio durante il giorno delle nozze. "Avevo guardato il Crocefisso e gli avevo detto che la mia vita da quel momento era nelle sue mani e che avrebbe potuto fare di me quello che voleva", ricorda. Così, il medico le dice che, secondo lui, non solo Dio l'aveva presa in braccio, ma avevano proprio scalato insieme la montagna. Sarebbe stato sufficiente un solo mese di ritardo, aggiunge, e sarebbero comparse le prime metastasi.

E pensare che a gennaio il risultato dell'ecografia, a cui Ivonne si sottoponeva periodicamente come screening preventivo, non aveva evidenziato assolutamente nulla di sospetto. E pensare che quel braccio lo aveva alzato per caso, per asciugare l'ascella dopo la doccia. E che solo grazie a quel gesto abituale si era accorta di quella formazione all'apparenza innocua.

Il percorso di cura comincia con una quadrectomia, cioè una rimozione della massa tumorale e dei tessuti circostanti. Prosegue poi con radio e chemioterapia. "La chemio è stata devastante sia a livello fisico che psicologico e soprattutto per chi mi era accanto. Mio figlio era piccolo, frequentava ancora la seconda media, e rifiutava completamente la malattia". Oggi le terapie continuano con una puntura di leuprorelina una volta al mese e soprattutto con l'assunzione quotidiana di ormoni che le hanno indotto la menopausa. "Prima ero una donna diversa, fertile, bella. Oggi ho forti mal di testa, dolori alle ossa e tutto quello che comprende la menopausa. Ma non mi interessa nulla di quello che pensano gli altri, mi apprezzo per come sono adesso: è un'altra forma di bellezza".

"Prima ero una donna diversa. Oggi mi apprezzo per come sono: è un'altra forma di bellezza"

E un cambiamento importante è arrivato anche nella vita lavorativa. Ha lasciato un posto che non la soddisfaceva più e ha cercato una strada che la avvicinasse alle persone. Prima nelle scuole, sostituendo insegnanti in malattia, e poi collaborando con un'associazione che si occupa della cura agli anziani e ai bambini, oltre che con un'associazione sportiva dilettantistica dove fa l'educatrice a chi ha tra i 2 e i 10 anni. Nel frattempo ha iniziato un nuovo corso di formazione all'università. Ma soprattutto si dedica alle donne e lo fa in particolare da quando la malattia le ha permesso di incontrare una vecchia amica che non vedeva da tempo. Lei era alla quarta recidiva di tumore. Ivonne non l'ha più lasciata, l'ha accompagnata fino al cimitero. "Da quel momento si è scatenata una grande forza dentro di me. La scrittura è stata terapeutica e sanificante".

Qualche mese fa ha pubblicato un libro, L'ombra di una stella (Aletti editore). Sono poesie che ha voluto dedicare alle donne e alle loro emozioni. "Mi serve come tramite anche per parlare a chi, magari, sta affrontando un'esperienza simile alla mia. Per farci forza a vicenda e imparare a vedere questo momento come un'evoluzione, una tappa terribile
ma che poi può far nascere cose positive”.

E intanto continua a collaborare con AIRC: "Lo faccio con ancora più motivazione dopo aver visto con i miei occhi cosa significhi avere la cura giusta. La ricerca è tutto. Stupiti? La scienza non è mai lontana dalla fede, anzi vanno a braccetto perché sono entrambi due strumenti per fare del bene".

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