
Distrutta, ricostruita e di nuovo a rischio. La foresta di mangrovie di Can Gio, a 60 km da Ho Chi Minh city in Vietnam, è un polmone verde con una superficie di oltre 75mila ettari. Negli ultimi 70 anni, ha visto nascondersi tra i suoi alberi truppe di Viet Cong e dell'esercito del Vietnam del Nord, ha conosciuto la distruzione provocata da un diserbante chiamato "Agente Arancio" e vissuto una rinascita dovuta principalmente alle donne del luogo. Ora si teme di nuovo per la sua incolumità a causa di un progretto edilizio da 9 miliardi di dollari, già approvato dal governo. Ma abbatterla o ridurre la sua ampiezza significherebbe anche esporre la città alle conseguenze dell'innalzamento dei mari e delle tempeste tropicali sempre più intense.
Quando nel 1967 gli americani decisero di eliminare ogni possibile nascondiglio per i nemici, rilasciarono in un solo anno quasi 19 milioni di litri di diserbante su oltre 600mila ettari di foreste. Si trattava in gran parte di "Agente Arancio", (chiamato così per le striscie presenti sui fusti), un defoliante che poteva privare gli alberi delle proprie chiome, usate come protezione dai ribelli. Ne rimase colpito circa il 44% delle foreste e le più danneggiate furono quelle di mangrovie, come Can Gio appunto.
A guerra finita, il Comitato popolare della città di Ho Chi Minh votò a favore di un ripristino dell'ecosistema dell'area e della riforestazione del delta del fiume Soai Rap. A esserne coinvolte furono soprattutto le donne, felici di partecipare alla piantagione di nuove mangrovie in cambio di denaro con cui contribuire a sfamare i figli. Assieme a loro anche giovani, detenuti e volontari della zona. Lavorarono giorno e notte, racconta Mekong Review che ha raccolto le testimonianze di chi partecipò a questa grande opera di rinascita, in tutte le condizioni atmosferiche e con le gambe immerse nel fango. Per ripopolare i quasi 400 chilometri quadrati di foresta pluviale andati distrutti impiegarono molto meno dei cento anni stimati dagli esperti americani.
Fu un successo, al punto che nel 2000 l'Unesco l'ha dichiarata Riserva della Biosfera per l'abbondanza di flora e fauna diverse presenti nell'area. Negli anni, un aiuto è arrivato anche dal turismo che ha offerto nuove possibilità di lavoro ai locali e mostrato un'altra via attraverso cui la foresta poteva diventare fonte di reddito. Ma Can Gio è un esperimento riuscito all'interno di un quadro non più così incoraggiante.
Nel 1986 il Vietnam ha avviato la transizione verso un'economia di mercato e ci sono andate di mezzo anche le foreste, che sono passate dall'essere sotto controllo esclusivo del governo, a un approccio più multisettoriale che coinvolge ONG, imprese, comunità locali e consigli d'amministrazione. Questo ha portato a una classificazione dei polmoni verdi in vigore ancora oggi: ad uso speciale (come parchi nazionali e aree di conservazione), protezione (ovvero tutte quelle che possono fungere da scudo contro alluvioni e calamità naturali) e produzione industriale.
Una suddivisione che ha portato alcuni vantaggi: ciascun proprietario ha in gestione circa due o tre ettari ed è quindi incentivato a prendersene cura al meglio. Inoltre, il Vietnam ha ricevuto supporto a livello internazionale durante la Cop 18 per proseguire la sua opera di contrasto alla deforestazione. Il problema, denuncia Mongabay.com, piattaforma di informazione ambientale, è che i soldi stanziati dal governo non sembrano arrivare mai davvero al territorio e che i risvolti pratici dei grandi proclami di lotta al cambiamento climatico stentano a vedersi. Dopo il 2011, anno in cui il Paese era riuscito a ricostruire quasi tutte le foreste distrutte durante la guerra, la corsa verso il green sembra aver rallentato.
L'ultima decisione che sta preoccupando gli ambientalisti è l'approvazione da parte del governo del progetto edilizio presentato da Vingroup, il più grande gruppo del Paese. Si trattarebbe di un'area residenziale e turistica di oltre 28 chilometri quadrati che dovrebbe sorgere proprio a Can Gio, su terreni bonificati. Scienziati e attivisti hanno già inviato una petizione in cui paventano il rischio di un disastro ecologico. Ma di fronte alle promesse di sviluppo e nuovi posti di lavoro, questo timore potrebbe rimanere inascoltato. E quando arriverà la prossima tempesta tropicale, o il mare avrà guadagnato un altro centimetro, che ne sarà di Ho Chi Minh City?