La fusione nucleare tra presente e futuro, Consoli (Enea): “Sì, abbiamo accorciato i tempi ma servono altri investimenti”

Secondo il ricercatore del dipartimento di fusione e tecnologie per la sicurezza nucleare dell’Enea, il successo dell’esperimento sulla fusione nucleare ottenuto al Lawrence Livermore National Lab, in California, è la prova che un giorno si potrà sfruttare questa reazione per produrre energia. Siamo un po’ più vicini? Sì, ma servono ancora due cose: tempo e maggiori investimenti.
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Kevin Ben Alì Zinati 14 Dicembre 2022
In collaborazione con Fabrizio Consoli Ricercatore del dipartimento di fusione e tecnologie per la sicurezza nucleare dell’Enea e responsabile del laboratorio di applicazione dei plasmi e degli esperimenti interdisciplinari del stesso dipartimento

Per qualche miliardesimo di secondo, 192 laser sono stati indirizzati su un bersaglio grosso quanto una gomma da matita e, dopo aver colpito la sua superficie, hanno innescato dei processi fisici che hanno portato il deuterio e il trizio, due isotopi dell’idrogeno, ad interagire tra loro fino ad innescare una fusione nucleare. La reazione ha prodotto una quantità di energia che è stata maggiore di quella utilizzata dai laser. Si parla di 3,15 megajoule, più o meno la quantità di calore che serve per riscaldare una teiera.

Questo è quanto è successo lo scorso 5 dicembre nei laboratori del National Ignition Facility presso il Lawrence Livermore National Lab, in California. L’esperimento è stato descritto come un successo epocale, “una pietra miliare nella storia della scienza” perché per la prima volta siamo riusciti ad emulare lo stesso processo vitale delle stelle guadagnano davvero dell’energia.

Bene: ma che cosa significa davvero? Qual è la reale portata del traguardo appena annunciato e celebrato da tutta la comunità scientifica internazionale? E soprattutto: siamo davvero un po’ più vicini all’energia del futuro?

Fabrizio Consoli, ricercatore del dipartimento di fusione e tecnologie per la sicurezza nucleare dell’Enea e responsabile del laboratorio di applicazione dei plasmi e degli esperimenti interdisciplinari del stesso dipartimento, è molto chiaro: “Bisogna relativizzare il guadagno di energia. Dalla presa di corrente sono stati necessari da 300 megajoules, da cui siamo arrivati ai 2 megajoules di energia dei laser con cui ne abbiamo prodotti 3,15. Alla fine, per poter ottenere un impianto che fornisca un guadagno di energia al netto di tutte le perdite serve produrre un guadagno almeno di due ordini di grandezza più alto di quello avuto adesso. Vuol dire produrre almeno 100 volte più energia di quanto fatto ora”.  

Quindi non abbiamo ottenuto un reattore a fusione nucleare, domani non ci staccheremo dal gas o dal carbone e non alimenteremo case, fabbriche e stadi senza emissioni: non abbiamo dato forma, insomma, a ciò che promette la fusione nucleare. L’entusiasmo attorno al Lawrence Livermore National Lab tuttavia non è ingiustificato, anzi. Quello raggiunto in California è un grandissimo traguardo scientifico e rappresenta davvero anche una buona notizia per l’umanità.

Tra le mani, infatti, abbiamo finalmente la prova – da circoscrivere e contestualizzare, vero, ma pur sempre reale – che un giorno non troppo lontano questa promessa potremmo davvero concretizzarla e che si potrà sfruttare la fusione nucleare per produrre energia. “Aspettavamo questo momento da 60 anni e non c’è dubbio che rappresenti un grosso passo in avanti. Nei test del 2015 il guadagno di energia era circa dell’1%, oggi è quasi del 150%: in soli 7 anni – ha continuato il fisico – il guadagno è nettamente aumentato. Questo non vuol dire che in altri 7 anni avremo risolto il problema ma fa capire che ci sono prospettive di miglioramento”.

L’esperimento dimostra dunque che siamo sulla strada corretta e che per arrivare alla meta non impiegheremo altri 60 anni. Il tempo che ci separa da un futuro a fusione si è accorciato “a qualche altro decennio, non troppi”. Per velocizzare ulteriormente la corsa però servirà investire. In totale, l’impianto statunitense è costato oltre 4 miliardi dollari e il governo ha già annunciato sovvenzionanti annuali per oltre 600 milioni. Il traguardo di oggi dimostra che serve investire in questo campo perché ci sono prospettive”. 

Aspettavamo questo momento da 60 anni e non c’è dubbio che rappresenti un grosso passo in avanti.

Fabrizio Consoli, ricercatore Enea

Secondo Consoli, i risultati del NIF ora possono dare una bella spinta alla ricerca, specialmente quella europea. Eurofusion, il consorzio europeo per lo sviluppo della fusione nucleare, finanzia la ricerca sul confinamento inerziale con meno di un milione di euro l’anno. È chiaro che finché non si dimostra che un progetto può potenzialmente funzionare gli investimenti pubblici tanto quelli privati sono frenati: oggi però le cose sono cambiate”. 

L’attenzione dell’Europa è maggiormente puntata sulla fusione nucleare a confinamento magnetico, sulla quale Eurofusion da anni investe diverse centinaia di milioni di euro. Confinamento magnetico e inerziale, come ti abbiamo già spiegato, sono due metodologie diverse per ottenere lo stesso risultato.

Per innescare la fusione, l’energia laser del National Ignition Facility viene convertita in raggi X all’interno di una struttura cilindrica detta "hohlraum" che comprime una capsula di combustibile fino a farla implodere, creando un plasma ad alta temperatura e alta pressione. Photo credit: NIF.

Nel confinamento magnetico il plasma, per produrre energia in maniera continua, è inserito all’interno di una struttura a forma di ciambella – il cosiddetto tokamak – e per evitare che raggiunga le pareti del tokamak e sostanzialmente le sciolga viene confinato e tenuto stabile per mezzo di fortissimi campi magnetici. Nella fusione a confinamento inerziale questo problema non si pone perché i laser impiegati per innescare la reazione colpiscono un bersaglio, che si trasforma in plasma e altri prodotti di fusione per poi esaurirsi.

“In termini di efficienza sono due metodologie equivalenti. Anche il confinamento inerziale è potenzialmente in grado di produrre energia in maniera continua. L’idea non è di colpire un bersaglio alla volta ma, come con un fucile, colpire più bersagli a ripetizione, uno dopo l’altro: ogni bersaglio si trasforma, innesca la fusione e una volta esaurito lo stesso farà il bersaglio successivo. Diventa così un processo continuo – ha aggiunto il fisico dell’Enea – L’obiettivo futuro è quello di sparare 10 volte al secondo, così da rendere lo sparo sempre più costante”. 

Finché non si dimostra che un progetto può funzionare gli investimenti pubblici e privati sono frenati: oggi però è diverso

Fabrizio Consoli, ricercatore Enea

Anche la fusione a confinamento magnetico necessita ancora di miglioramenti: bisogna trovare il modo, per esempio, di allungare sempre di più la vita dell’enorme contenitore a ciambella dentro cui staziona il plasma.

Servirà investire, insomma, per arrivare a dominare e sfruttare la fusione nucleare, ad aprire un vero e proprio mercato e una produzione energetica green e di massa basata sull’atomo. E oggi abbiamo la prova che ha senso farlo. "Al momento solo l’America ha un impianto adeguato, ne abbiamo uno gemello in Francia, il Laser Megajoule a Bordeaux, ma è meno performante. Se i finanziamenti aumentassero, se si capisse che si sta investendo nel futuro dell’umanità e anziché uno o due impianti ne avessimo di più, e tutti quanti puntassero verso lo stesso risultato, è chiaro che i tempi diminuirebbero, ancora di più”.

Servirà tempo. “Qualche decennio, e i risultati del NIF hanno comunque accelerato un po’ la tabella di marcia.

Servirà crederci. All'orizzonte, infatti, qualcosa si comincia a intravedere.