
C'è una legge in Italia che si occupa di definire le modalità di recupero e donazione di prodotti alimentari e farmaceutici per fini caritativi.
È stata scritta e pensata dall'On. Maria Chiara Gadda (IV) nel 2016, in un contesto molto diverso da quello che viviamo. Eppure la necessità di destinare i prodotti alimentari in via di scadenza o in eccesso era sorta già prima della pandemia che abbiamo vissuto e di una guerra ancora in corso.
La legge 166, o "legge Gadda" infatti, oltre a promuovere qualsiasi attività di miglioramento delle conoscenze sulle quantità e sulle cause degli sprechi alimentari, contiene tre concetti chiave:
In particolare, la legge Gadda definisce chiaramente cos'è lo "spreco alimentare", ovvero "l'insieme dei prodotti alimentari scartati dalla catena agroalimentare per ragioni commerciali o estetiche o perché prossimi alla data di scadenza, ancora commestibili e potenzialmente destinabili al consumo umano o animale e che, in assenza di un possibile uso alternativo, sono destinati a essere smaltiti".
Abbiamo contattato l'On. Maria Chiara Gadda per approfondire alcuni aspetti di una legge che interviene su un tema di fondamentale importanza, in grado di limitare la povertà e di tutelare l'ambiente allo stesso tempo.
On. Gadda, che vuoto normativo ha colmato la legge 166?
Questa norma non ha creato da zero un fenomeno, anzi, ha riconosciuto il fatto che il nostro Paese già prima del 2015 -quando l'ho scritta- aveva un tessuto sociale molto attivo. Molte aziende avevano già deciso di donare, il punto è che in passato farlo era molto complesso dal punto di vista burocratico e non conveniente fiscalmente parlando.
Le prime norme sulle donazioni risalgono agli anni '90 e il primo cambio di passo c'è stato nel 2003 con la legge 155, la cosiddetta "legge del buon samaritano", che aveva preso spunto dal "Good samaritan Act" degli Stati Uniti durante l'amministrazione Clinton.
Questa legge -la 155- dà un ruolo al produttore ma anche al gestore, perché quando prendi in carico un alimento devi saperlo gestire bene. Questo secondo me ha avuto già nel 2003 un ruolo importante di questo tipo. A differenza delle leggi degli altri Stati poi, quella italiana ha messo l'accento sul recupero per fini caritativi.
Questa legge non è fatta per fare da "svuota magazzini" da parte di chi dona, ma anzi è una svolta culturale per educare chi lo fa a una corretta gestione di quel bene. La legge 166 pone particolare attenzione anche al "come" si recupera quel cibo.
La legge 166 nasce fondamentalmente da una domanda che io avevo fatto alle imprese: "Raccontami quello che fai e come potresti farlo meglio". Abbiamo agito poi sulla burocrazia e sugli adempimenti che potevano essere ridotti perché rallentavano il processo.
Prima di questa norma bisognava fare una dichiarazione preventiva cinque giorni prima della donazione alle autorità competenti, questo dal punto di vista del carico burocratico è oneroso per il donatore, ma è anche un non senso, perché l'eccellenza si genera per motivi non sempre eliminabili, non sempre programmabili e chiaramente fare sempre una dichiarazione preventiva è una cosa ridondante.
Oggi per fare una donazione serve solo un documento di trasporto o documenti equipollenti, quindi ciò che l'azienda già fa scrivendo cosa viene donato.
Era assurdo vedere che donare costava di più rispetto che buttare via. Era più conveniente fiscalmente buttar via. La legge 166 equipara il donato al distrutto, la donazione quindi non genera ricavo imponibile, poi a livello comunale abbiamo favorito una riduzione della TARI.
L'altro aspetto che secondo me è importante è l'attenzione che si dà al rispetto delle corrette pratiche di tipo sanitarie. La legge non è legata al concetto di rifiuto, la donazione consente di ridurlo perché l'eccedenza diventa un bene per qualcun altro. Dall'altro lato però noi abbiamo posto l'accento sul fatto che l'eccedenza, lo scarto e i beni non riutilizzabili non sono la stessa cosa.
La norma poi definisce i concetti di "data di scadenza" e "termine minimo di conservazione". La prima è un termine tassativo, che non può essere superato perché si altererebbero le caratteristiche biologiche dell'alimento, con eventuali rischi per la salute, mentre la seconda è un'indicazione di consumo, e quindi può essere donato.
C'è poi da fare una parentesi sul rendere obbligatoria la donazione delle eccedenze. Il punto è che non sempre il terzo settore è in grado di organizzarsi in maniera tale da poter garantire sempre il recupero degli alimenti. Chiaramente la legge 166 non è la soluzione finale, ma è uno dei modi per allungare la vita di un prodotto. Per lavorare sulla riduzione degli scarti allora bisognerebbe entrare nelle case dei cittadini, ma è chiaro che una legge dello Stato non può fare una cosa del genere.
Lo dico perché lo spreco domestico è più del 50% dello spreco che avviene nella società. Bisogna quindi lavorare sulla prevenzione, sull'informazione e sulla sensibilizzazione. Molte persone, per esempio, confondono data di scadenza con termine minimo di conservazione, quindi vedono la data e, impauriti, buttano il prodotto. Altri invece non sanno bene come conservare determinati tipi di cibo.
C'è un legame che però ha degli effetti anche sulla filiera produttiva. Le abitudini del singolo cittadino di acquisto hanno un impatto, nel senso che se si scarta la frutta e la verdura sulla base delle caratteristiche estetiche quei prodotti esteticamente sono brutti, ma non hanno nessun problema.
Perché non c'è una campagna di questo tipo?
All'interno della legge c'è una parte che riguarda e prevede una campagna di educazione da parte del servizio pubblico. Qualcosa è stato fatto, ma credo che si possa fare qualcosa di più in modo raffinato, nel senso che è giusto fare un'iniziativa sullo spreco alimentare, ma forse sarebbe il tempo di raccontare quanto di buono viene fatto nel nostro Paese.
Ci troviamo in un periodo in cui non solo la pandemia, ma anche la guerra hanno gravato sulle tasche degli italiani. Secondo lei la classe politica è al corrente delle risorse economiche che si potrebbero ricavare dal contrasto allo Spreco Alimentare?
Io penso che sia molto difficile dare una stima dello spreco che sia oggettiva e sostenibile. Misurarlo in alcuni punti della filiera è facile, meno facile è nelle prime fasi della catena. Secondo me la consapevolezza c'è, ma in termini mediatici prevale l'aspetto sensazionalistico.
Questi due eventi ci hanno fatto capire che esiste una geopolitica del cibo. La Russia ha un impatto geopolitico su quei Paesi che ne dipendono sotto il profilo alimentare per quasi il 70%. Le scorte di grano nel mondo sono stoccate per la maggior parte in Cina. C'è un tema di accesso alle risorse che determina la situazione geopolitica e che ci deve far dire che la questione alimentare e la questione agricola sono due temi che dobbiamo affrontare maggiormente e meglio.
Secondo lei la legge 166 attualmente dovrebbe essere modificata?
A mio parere dopo averla ripensata nuovamente in pandemia io credo di no, avendo permesso la donazione anche di oggetti di prima necessità di altro tipo rispetto a quello alimentare. Dobbiamo impegnarci ad attuarla invece. Se non vengono messe a disposizione le attrezzature per recuperare il cibo possiamo farci poco.
Lo stesso vale nella filiera produttiva, perché in Italia abbiamo ridotto la superficie agricola utilizzata del 20% negli ultimi anni. Quando i mercati si sono chiusi in pandemia, questo ha fatto vedere che abbiamo delle filiere strategiche per cui la politica comune deve fare un'analisi approfondita di come non essere ricattabili dal punto di vista politico a causa dell'accesso al cibo.