La natura nell’opera di Giacomo Leopardi: perché la sua critica al progresso è più attuale che mai

In occasione del 225esimo anniversario di nascita di Giacomo Leopardi, Google ha dedicato un doodle al poeta di Recanati. Proviamo a rispolverare il suo messaggio rivoluzionario: gli uomini sono solo ospiti passeggeri dell’universo, e la “Natura”, ovvero l’ambiente, non sarà mai una loro proprietà.
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Maria Teresa Gasbarrone 29 Giugno 2023

Il 29 giugno 1798 nasceva a Recanati Giacomo Leopardi, uno dei poeti più emblematici della letteratura italiana di metà Ottocento. Eppure oggi, ai tempi dell'emergenza climatica e dei disastri ambientali, il suo messaggio è più attuale che mai.

Rispetto al tema del rapporto degli uomini con la natura, spesso di Leopardi si dice che fosse "pessimista", ma non tutti sanno che il suo pessimismo nascondeva invece una feroce critica all'antropocentrico e all'egocentrismo dell'uomo.

La sua natura "matrigna" non è altro che il ritratto consapevole di quello di fatto è la natura: un organismo vivo e potente, rispetto al quale l'uomo ha dei margini d'intervento a dir poco inesistenti. La natura mostra il suo volto crudele in risposta all'illusione umana di poterla piegare al suo volere attraverso il "progresso".

La critica di Leopardi al "progresso"

C'è un testo emblematico che racchiude l'idea che Leopardi ha del progresso umano. Si tratta di una delle sue "Operette Morali": "Dialogo di un folletto e di uno gnomo" del 1824.

Riassumiamo a grandi linee la trama: uno gnomo scopre da un folletto che la specie umana si è estinta a causa delle continue guerre intraprese dagli uomini. Eppure l'universo continua indisturbato ad andare avanti, anche senza gli uomini.

Lo gnomo, sorpreso, si chiede preoccupato come sarà possibile apprendere "le nuove del mondo", ora che l'essere umano è scomparso. È a questo punto che Leopardi, attraverso la voce del folletto, espone la sua critica all'egocentrismo dell'uomo, che ha sempre vissuto pensando di essere il centro e l'anima dell'universo, quando invece altro non è che uno dei suoi tanti minuscoli abitanti:

"Gnomo: Tu dici il vero. Or come faremo a sapere le nuove del mondo?
Folletto: Che nuove? che il sole si è levato o coricato, che fa caldo o freddo, che qua o là è piovuto o nevicato o ha tirato vento? Perché, mancati gli uomini, la fortuna si ha cavato via la benda13, e messosi gli occhiali e appiccato la ruota a un arpione, se ne sta colle braccia in croce a sedere, guardando le cose del mondo senza più mettervi le mani; non si trova più 20 regni né imperi che vadano gonfiando e scoppiando come le bolle, perché sono tutti sfumati; non si fanno guerre, e tutti gli anni si assomigliano l’uno all’altro come uovo a uovo".

La risposta del folletto non ha bisogno di troppe spiegazioni:

"Gnomo: E i giorni della settimana non avranno più nome.
Folletto: Che, hai paura che se tu non li chiami per nome, che non vengano? o forse ti pensi, poiché sono passati, di farli tornare indietro se tu li chiami?"

I giorni della settimana – dice il folletto – continueranno a esistere anche se non ci sarà più nessun uomo a contarli o a dar loro un nome. Come a dire che la natura continuerà a esistere.

Natura e uomo in Leopardi

Nella più famosa operetta "Dialogo della Natura e di un Islandese", considerata il manifesto del pessimismo cosmico di Leopardi, la Natura appare agli occhi dell'uomo egocentrico "cattiva". In realtà la sua cattiveria, altro non è che indifferenza.

Il messaggio rivoluzionario che ci consegna Leopardi, e che purtroppo i disastri naturali innescati dalla crisi climatica hanno confermato, è abbastanza chiaro: pensare che il progresso umano potrà un giorno dominare la natura non solo è un'illusione, ma potrebbe presto ritorcersi contro la stessa specie umana.

"Natura: Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Ora sappi che nelle fatture, negli ordini e nelle operazioni mie, trattone pochissime, sempre ebbi ed ho l’intenzione a tutt’altro che alla felicità degli uomini o all’infelicità. Quando io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me n’avveggo, se non rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so; e non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi. E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei".

Sono passati due secoli da quando Leopardi scriveva queste parole, eppure non abbiamo ancora imparato la lezione.