La pediatra Annamaria Moschetti è l’ambientalista dell’anno: “Proteggere i bambini e la Natura vuol dire tutelare l’umanità”

Ha ricevuto il premio Luisa Minazzi da Legambiente e la Nuova Ecologia per il suo impegno nella tutela della salute e dell’ambiente dei bambini e delle persone a Taranto, in quella che le Nazioni Unite hanno definito una “zona di sacrificio”.
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Gianluca Cedolin 15 Dicembre 2022

Lo scorso 2 dicembre la pediatra Annamaria Moschetti ha ricevuto a Casale Monferrato, in Piemonte, il premio come Ambientalista dell'anno, organizzato da Legambiente e dalla rivista La Nuova Ecologia e dedicato a Luisa Minazzi, morta nel 2010 a soli 57 anni dopo aver trascorso anni a difendere l'ambiente come direttrice didattica, amministratrice comunale e attivista.

Classe 1956, Moschetti è responsabile per le malattie dei bambini legate all'inquinamento per l'Associazione culturale pediatri in Puglia e Basilicata, ma anche presidente della Commissione per l'ambiente dell'ordine dei medici di Taranto e lavora proprio in questa zona dove inquinamento e problemi sanitari sono intrecciati da decenni. L'abbiamo sentita per Ohga nei giorni successivi alla consegna del premio.

Dottoressa Moschetti, ci racconta brevemente come nasce e come si sviluppa il suo impegno nella tutela dell'ambiente e della salute?

Fa parte del compito dei medici sia curare le malattie sia intervenire sulle condizioni che ne favoriscono lo sviluppo, tra questi la qualità dell’ambiente e la sua salubrità. Faccio parte, da sempre, dell’Associazione culturale pediatri, che già dal 2007 ha posto tra le sue quattro priorità la salute dei bambini connessa alle condizioni ambientali. Il fatto di operare in provincia di Taranto ha stimolato ulteriormente questo impegno: Taranto è stata recentemente annoverata dall’Onu, a causa del grave inquinamento ambientale, tra le zone di sacrificio del mondo. Questi sono luoghi in cui i residenti subiscono devastanti conseguenze sulla salute fisica e mentale e violazione dei diritti umani a causa del vivere in zone fortemente contaminate. L’Onu ha definito la loro esistenza una macchia sulla coscienza collettiva dell’umanità.

Oggi tutti conosciamo i dati sui danni ambientali, sanitari, sociali ed economici dell'inquinamento. Ma allora, secondo lei, per quale motivo facciamo ancora fatica a invertire la tendenza?

La richiesta di uno stile di vita diverso e rispettoso del diritto delle future generazioni a un ambiente salubre incontra come ostacolo la necessità di riconvertire i propri stili di vita ad una maggiore sobrietà per un obiettivo che non è immediatamente percepibile. Questo obiettivo deve essere pensato e accolto come un dovere etico e questo richiede una operazione culturale di cui bisogna farsi carico. Inoltre alcuni danni alla salute da inquinanti che affliggono le presenti generazioni, come il cancro, si verificano nel tempo dopo lunghe latenze e questo non rende immediatamente percepibile alla popolazione il rapporto di causa e di effetto tra inquinanti e malattie, e quindi la necessità di rapidi correttivi. C’è poi la percezione di una questione "troppo grande" che sfugge alla possibilità dei singoli cittadini, anche sensibili, di intervenire per un efficace cambiamento che invece, secondo la mia opinione, deve partire dalla consapevolezza e dall’azione di ogni singolo cittadino informato e attivo. Sento infine di sottoscrivere le parole dell’Onu citate nel predetto documento sulle Zone di sacrificio, parole pertinenti per Taranto e non solo: "Il mantenimento dei posti di lavoro dei lavoratori delle industrie inquinanti viene utilizzato come una forma di ricatto economico per ritardare la transizione verso un futuro sostenibile".

Come possono cambiare le cose a Taranto?

Taranto ha patito per decenni morte e malattia nei cittadini e negli operai a causa del gravissimo inquinamento ambientale che vede per grande parte, anche se non esclusivamente, la responsabilità dell’impianto siderurgico. Attualmente non sono visibili all’orizzonte scenari realistici che vedano una produzione di acciaio che non danneggi la popolazione, pertanto la riconversione economica con il ricollocamento degli operai e la rinuncia all’impianto siderurgico (peraltro definito recentemente dal un ministro "un treno che sta deragliando") si propone, secondo me, come un imperativo etico ed economico. La vita dei tarantini è già "deragliata" da tempo in un dolore che si è stratificato e che è diventato insopportabile ed inaccettabile per una nazione civile. Che Taranto sia annoverata dall’Onu tra le zone di sacrificio del mondo rappresenta il fallimento della politica e una vergogna per la nostra azione.

Ricevendo il premio, ha definito i bambini la vita nascente e l'intera natura: cosa dobbiamo fare per tutelare al meglio queste vite?

Amarle e non le si può amare completamente se non si percepiscono come parte di sé: sono tutti figli nostri. Esiste una unica umanità, questo credo, una unica mente condivisa. È irrazionale non proteggere i bambini e la Natura e cioè noi stessi.

Cosa si augura per il futuro di Taranto e in generale della lotta all'inquinamento?

Per Taranto che riprenda il suo cammino liberandosi dalla "morte industriale" (Libera nos domine, cantava Guccini) e per tutti di acquisire consapevolezza del destino comune degli uomini sul pianeta, e da questa consapevolezza correggere la rotta, perché è ancora possibile.