La pianura stretta tra i vulcani: viaggio alla scoperta della Piana di Catania

Tra vulcani di magma e fango, profumati agrumeti ed energie rinnovabili, viaggio nella Piana di Catania, l’area pianeggiante più grande della Sicilia.
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Andrea Di Piazza Geologo specializzato in Green Management
24 Maggio 2023 * ultima modifica il 24/05/2023

Con i suoi 430 chilometri quadrati di superficie, la Piana di Catania è l’area pianeggiante più estesa della Sicilia ed una delle più ampie del Sud Italia. Stretta tra vulcani giovani e antichi, è sempre stata una via di comunicazione eccezionale per gli scambi commerciali tra il litorale ionico e l’interno della Sicilia. Tra vulcani di fango, profumati agrumeti ed energie rinnovabili, un breve viaggio alla scoperta di questo angolo di Sicilia.

La pianura tra due fuochi

Senza l’Etna, probabilmente, oggi al posto di questa grande pianura alluvionale ci sarebbe un ampio golfo che dalla zona di Lentini disegnerebbe un arco a toccare le propaggini di Iblei ed Erei nel territorio di Ramacca, Castel di Judica, per poi piegare presumibilmente verso nord est, sotto l’attuale mole del vulcano più grande d’Europa. Ed è proprio l’attività vulcanica la principale emergenza geologica di questa zona della Sicilia. Non solo l’Etna, infatti, anche nella zona degli attuali Monti Iblei si è registrato un vulcanismo intermittente e prevalentemente sottomarino che ha interessato l’area dal Triassico superiore fino a circa un milione di anni fa. Successivamente l’attività è migrata verso nord, dando origine al grande vulcano siciliano in un arco di tempo relativamente breve. L’attività vulcanica antica è nascosta al di sotto dei potenti strati alluvionali della Piana di Catania che hanno anche obliterato le grandi pieghe della parte frontale della catena appennino-maghrebide: la lunga linea di sutura lungo la quale placca eurasiatica e africana collidono. L’attività fluviale e torrentizia dei bacini idrografici di Nebrodi, Erei, Iblei e dell’Etna ha condizionato fortemente la geomorfologia della zona creando la vasta superficie pianeggiante dove oggi scorrono i fiumi Simeto, Dittaino e Gornalunga che, disegnando ampi meandri, si tuffano nello Ionio dando origine a una delle zone umide litoranee più importanti della Sicilia.

Vulcani in miniatura

Al margine settentrionale della Piana, dove i depositi alluvionali e sedimentari si incontrano con le vulcaniti dell’Etna, si trovano i vulcanetti di fango noti come “Salinelle”. Salinelle dei Cappuccini, o dello Stadio, e Salinelle del Fiume, sono localizzate nel territorio di Paternò, mentre le Salinelle di San Biagio, o del Vallone Salato, si trovano nel territorio di Belpasso. Si tratta dell’emissione di acque con elevata salinità, fango e gas da piccole bocche che si aprono nel terreno e che danno luogo a brevi colate, quasi ad imitare il vicino gigante di fuoco. L’origine di questo fenomeno è ancora dibattuta, se da un lato sembra accertata la presenza di una zona serbatoio dei fluidi in una successione sedimentaria sottostante, ricca probabilmente in materia organica (idrocarburi) e sedimenti poco coerenti, non è ancora chiaro il legame con l’attività dell’Etna. Oltre ad acqua e fango, le Salinelle emettono prevalentemente anidride carbonica, ma anche metano, azoto, idrogeno, acido solfidrico, elio nonché tracce oleose di idrocarburi. Tutto il contrario dei classici vulcani di fango di altre aree d’Italia o del mondo, il cui gas emesso è essenzialmente il metano derivato dalla decomposizione della materia organica intrappolata negli strati sedimentari.

Si tratta dunque di un sito unico al mondo dove i gas del serbatoio profondo dell’Etna risalgono attraverso le faglie e si mescolano a quelli di origine organogena del bacino sedimentario sotto le Salinelle. Emettendo dunque anche fluidi profondi (provenienti dal serbatoio magmatico etneo a circa oltre i 9 km di profondità), il monitoraggio di queste emissioni nel tempo permette di capire meglio e con anticipo le dinamiche profonde dell’Etna. Eventuali variazioni nell’emissione di gas, infatti, potrebbero indicare se il vulcano sta preparando nuove fasi o cicli eruttivi molti mesi prima che si manifestino in superficie delle eruzioni magmatiche. Le Salinelle sono attive da almeno 10.000 anni come testimoniano i ritrovamenti di cercamiche lavorate con il fango e risalenti al Neolitico.

Immagini delle Salinelle di Giomodica da Creative Commons

Dalla preistoria ai giorni nostri

I primi insediamenti nell’area erano situati ai margini della Piana e nelle zone collinari circostanti. La pianura era difficilmente praticabile a causa delle frequenti inondazioni e del ristagno continuo delle acque che creava ampie zone paludose, probabilmente, un tempo, ricettacolo di malattie. Tuttavia, la presenza di reperti archeologici come quelli di Paternò, ma anche di altre zone come Mineo o nei pressi di Ramacca (la stazione paleolitica di Perriere Sottano), conferma la presenza di una direttrice di comunicazione e commercio nella zona attiva sin dalla preistoria. L’area del Simeto è infatti considerata una sorta di zona di cerniera tra l’area etnea, da dove provenivano basalto e quarzite, con quella iblea, ricca di selce. Attraverso questa direttrice, probabilmente, giunse ai margini della Piana di Catania anche l’unico esempio di bracciale-anellone litico conosciuto in Sicilia, rinvenuto in località Trefontane, tipologia ben nota nell’Italia settentrionale ma sconosciuta a sud della Toscana.

Una certa rilevanza per la circolazione dovevano essere le vie d’acqua come il Simeto e il Dittaino, probabilmente navigabili e dunque utili vie di comunicazione tra gli insediamenti del litorale e quelli più interni. In età greca e poi romana il bordo settentrionale della Piana era attraversato da un’importantissima via di comunicazione che univa Catina (Catania) con Aitna, Centuripe (Kentoripa), Agira (Agyrion), Assoro (Assoros) ed Enna (Henna), mentre il margine litoraneo era tagliato dalla Via Pompeia che univa Messina a Siracusa. Insomma un crocevia di attraversamenti e strade che permettevano fitti scambi commerciali, evitando sempre però la zona centrale della piana, probabilmente non praticabile. Bisogna fare un salto fino a quasi i giorni nostri quando, dopo la Seconda Guerra Mondiale, si iniziò la bonifica della Piana di Catania con l’inalveazione dei principali corsi d’acqua e la realizzazione di interventi di sistemazione idraulica e forestale che hanno permesso lo sviluppo dell’agricoltura in decine di migliaia di ettari.

La Piana di Catania da hotspot del cambiamento climatico ad hub sostenibile

Grazie alla presenza di rocce vulcaniche e di una discreta quantità d’acqua, la Piana di Catania è senz’altro una delle zone più fertili della Sicilia. La bonifica delle antiche paludi ha permesso l’estesa coltivazione dell’area: qui crescono arance tarocco, tarocco gallo da tavola, tarocco da spremuta, tarocco Scirè ma anche limoni e clementine, che vengono raccolti ed esportati in tutto il Pianeta. Coltivazioni in realtà minacciate dagli effetti dei cambiamenti climatici: negli ultimi anni si è assistito da devastanti alluvioni (nel 2021) con danni importanti, ai recenti episodi siccitosi, che hanno messo in ginocchio il settore. È urgente investire in infrastrutture per proteggere le aziende e allo stesso tempo garantire la disponibilità di risorsa idrica.

Non solo hotspot climatico, dunque, la Piana di Catania si candida a diventare una delle zone più green d’Europa. Da luglio 2011, 3Sun Gigafactory di Catania di Enel Green Power è la più grande fabbrica per la produzione di pannelli solari d’Italia e una delle più grandi d’Europa, coi suoi 240.000 metri quadrati ricavati dalla trasformazione di un precedente stabilimento e dunque senza il consumo di nuovo suolo. La firma tra l’azienda italiana e la Commissione europea di un accordo di finanziamento a fondo perduto ad aprile 2022, consentirà l’ampliamento della fabbrica con un aumento della capacità di produzione di 15 volte, fino ad arrivare a 3 GW all'anno dagli attuali 200 MW. Un progetto ambizioso che consentirà la creazione di circa 1.000 posti di lavoro entro il 2024, oltre a fungere da catalizzatore per il rilancio della catena del valore del fotovoltaico nel Vecchio continente.

Crediti foto di copertina: Davide_Mauro_Wikipedia_CreativeCommons

Dopo una laurea in Geologia ed un dottorato di ricerca presso l'Università degli Studi Roma Tre, ha lavorato come ricercatore presso altro…