
Durante il mese appena trascorso, gli incendi in Amazzonia sono stati 17.326, un numero che supera del doppio quello dell’anno scorso nello stesso periodo, fermo a circa 7.000. Un ottobre infausto, quindi, in coda a un anno, il 2020, che nei suoi primi dieci mesi ha visto le fiamme colpire la foresta pluviale amazzonica con una portata di oltre il 25% rispetto all’anno precedente, per un totale di 93.356 punti caldi contro i 74.604 dell’anno scorso. In pratica ci sono stati più incendi nei primi 10 mesi del 2020 che nell’intero 2019. Sono i dati diffusi dall’INPE, l’istituto nazionale di ricerche spaziali del Brasile.
Più incendi, quindi, e meno protezione per il polmone verde del mondo. Un polmone sempre più incancrenito da politiche sbagliate e distruttive messe in atto dall’attuale presidente, Jair Bolsonaro, le cui azioni si rivolgono principalmente alle necessità economiche e produttive del Paese, ponendo in ultima posizione nella lista di priorità la questione ambientale e la necessaria difesa del patrimonio naturale del Paese.
Una situazione drammatica interessa anche il Pantanal, l’altro polmone verde del Brasile, la pianura alluvionale situata a Sud del Paese, che ha vissuto il suo anno peggiore nella serie storica di INPE. Qui, i focolai del 2020 fino ad ora sono stati 21.215 contro i 4.413 punti caldi dell’intero 2019. Secondo il Lasa, Environmental Satellite Applications Laboratory, gli incendi hanno distrutto il 28% del Pantanal, per un totale di 4,2 milioni di ettari di foresta.
WWF-Brasile ha sottolineato che negli ultimi anni il governo brasiliano non ha fatto che ignorare gli allarmi degli esperti, favorendo deforestazione e pratiche illegali come il mercato di legname. L’associazione ha sottolineato in un comunicato che i dati forniti dal governo brasiliano siano diversi dalla realtà, e che diversi incendi derivino dall’azione di alcuni criminali che, dopo aver abbattuto la foresta, hanno appiccato il fuoco per ripulire il materiale organico.