
Un drone subacqueo costruito per ripopolare il mare dei coralli che stanno lentamente scomparendo, uccisi dall’inquinamento ambientale e dal cambiamento climatico. E come? Seminandone delle piccole larve in giro per i fondali acquatici, nella speranza che da esse possano poi nascere e crescere nuovi esemplari. Il suo nome è LarvalBot, è australiano e rappresenta l’evoluzione del precedente RangerBot, un robot ideato per monitorare e proteggere i coralli rimasti. LarvalBot è un progetto presentato dal alcuni ricercatori della Queensland University of Technology e supportato dalla Great Barrier Reef Foundation. Ma come funziona esattamente?
Dal momento che gran parte dei coralli si riproducono attraverso le uova, LarvalBot deposita in acqua contemporaneamente sia le uova, raccolta in precedenza da ciò che rimane della Barriera corallina, sia lo sperma, coltivandole poi come baby coralli all’interno di recinzioni acquatiche monitorate. Una volta diventate abbastanza grandi da poter sopravvivere da sole, solo a quel punto il Bot parte e comincia a depositare le piccole larve di corallo in punti della Barriera corallina danneggiati, nella speranza che queste riescano a svilupparsi e crescere, ripristinandola pian piano. L’attività di deposito di baby coralli su larga scala è prevista per la fine del mese di novembre, quando due o tre droni porteranno in giro per l’oceano circa 1,4 milioni di larve, depositandole su un’area di circa 1.500 metri quadri all’ora per ciascun Bot.
Se questo esperimento funzionasse davvero, in particolare su larga scala, la prospettiva di salvare la barriera corallina potrebbe davvero diventare reale. Se però l'obiettivo di ripristinarla e di renderla autosufficiente venisse raggiunto, a quel punto, diventerebbe ancora più necessario adottare misure preventive per salvaguardarla ed evitare di distruggerla ancora.