
La notizia che nessuno voleva leggere questa mattina. Il TAR Lazio ha rigettato l'istanza di sospensiva dei titolari della Sfattoria degli ultimi. Il giudice monocratico non ha preso in esame le ragioni avanzate dai titolari e dalle associazioni animaliste intervenute ad adiuvandum (Enpa, Leal, Leidaa, Lndc e Oipa), ma ha respinto l'istanza non ravvisando, allo stato degli atti, un “caso di eccezionale gravità e urgenza, tale da non consentire neppure la previa notificazione del ricorso e la domanda di misure cautelari provvisorie con decreto presidenziale”. Non ci sarebbero, insomma, i presupposti per l'urgenza. A questo punto i ricorrenti trasformeranno l'istanza in ricorso ordinario con richiesta di sospensiva. I tempi per la discussione dovrebbero comunque essere brevi.
Così hanno commentato le associazioni Enpa, Leidaa, Lndc e Oipa: "La motivazione addotta per respingere l’istanza è a dir poco sorprendente: non c’è urgenza quand’è in ballo la vita di 130 animali? L’urgenza c’è e ci sono le motivazioni per annullare il provvedimento che dispone gli abbattimenti. Solo che queste ragioni devono essere esaminate: è quanto chiederemo nel nuovo ricorso. Nel frattempo, cioè finché non si entrerà nel merito, diffidiamo l’Asl Roma 1 dal procedere agli abbattimenti”.
Potrebbero essere abbattuti da un momento all’altro, senza neppure una valida giustificazione. Parliamo di circa 120 suini e cinghiali ospitati da La Sfattoria degli Ultimi a Roma, animali che, dopo essere stati sottratti da allevamenti intensivi e macelli, oggi rischiano di essere uccisi. Il motivo? L’area in cui sorge la struttura nel mirino è a rischio di diffusione della peste suina africana.
Sulla vicenda sono intervenute diverse associazioni animaliste, Enpa, Leidaa, Lndc-Animal protection e Oipa, unite per sostenere dinanzi al TAR le ragioni dei responsabili della Sfattoria degli Ultimi che lo scorso 8 agosto si sono visti notificare un provvedimento dell’Asl Roma 1 per disporre l’abbattimento degli animali.
“La peste suina africana, diffusa assai limitatamente, è una malattia virale che colpisce i suini domestici e selvatici e non si trasmette all’uomo, dunque non sussiste alcun pericolo per la salute umana – ha osservato Massimo Comparotto, presidente dell’Oipa -. Ci chiediamo dunque perché l’Azienda sanitaria abbia preso questa tragica decisione. E, se necessario, lo chiederemo anche nelle Aule giudiziarie”.
Le speranze di evitare l’abbattimento di questi animali regolarmente registrati e microchippati sono appese al ricorso d’urgenza per la sospensiva del provvedimento di Asl Roma 1 che la Sfattoria degli Ultimi ha depositato mercoledì scorso al TAR del Lazio, seguita dall'intervento "ad adiuvandum" delle associazioni sopra citate.
Le associazioni animaliste, che si sono affidate all’Avvocato Giuseppe Calamo, hanno dichiarato che “si tratta di animali sani e regolarizzati, la cui presenza è da tempo nota all’Asl e per i quali sono state adottate adeguate misure precauzionali contro la diffusione della peste suina africana. Gli ospiti della Sfattoria, scampati a maltrattamenti e accolti nella struttura, non costituiscono alcun pericolo: il provvedimento di abbattimento emesso dall’Asl è del tutto ingiustificato”.
A dare ulteriori spiegazioni sugli sviluppi della vicenda è l’Avvocato Claudia Taccani, responsabile dello Sportello Legale OIPA:
“Come associazione siamo venuti a conoscenza dell'ordine di abbattimento notificato alla struttura da pochissimi giorni. Sappiamo bene che la Sfattoria degli Ultimi ospita un numero rilevante di animali tra cui cinghiali e maiali, tenuti a scopo né lucrativo né alimentare; al contrario sono animali sottratti da situazioni di sfruttamento o maltrattamento. La peste suina africana ha toccato anche la Regione del Lazio e ha dato origine a delle zone soggette a piani di abbattimento dei suini ivi presenti, la cui procedura è disciplinata da normativa europea, regionale e comunale; esistono quindi delle regole precise su come bisogna comportarsi nelle zone considerate in pericolo e nelle zone limitrofe. Questo è il caso della struttura in questione che ha ricevuto una notifica per diverse motivazioni, tra cui l’ipotesi di un focolaio di peste suina africana di cui non abbiamo tuttavia ancora certezza. Oltre a questo viene notificata anche l’assenza di sistemi di biosicurezza che sono le misure tecniche che un allevamento deve avere per evitare che si verifichino contagi del virus, perché se la peste suina africana non si trasmette all’uomo, è mortale per l’animale”.
"Per scongiurare l’abbattimento di questi animali abbiamo depositato come associazioni un intervento davanti al TAR del Lazio ad adiuvandum, ciò significa che con il nostro ricorso andiamo ad appoggiare e speriamo rafforzare quello fatto dagli avvocati della struttura – continua l'Avvocato Taccani -. Stiamo attendendo l’esito da parte del giudice del Tar chiamato, appunto, a decidere sull'urgente richiesta della sospensione di abbattimento".
Non resta che aspettare, con la consapevolezza che si sta facendo tutto per salvare questi animali da una misura che sembra assolutamente eccessiva, non avendo rilevato fino a questo momento il concreto rischio di trasmissione del virus.
“Chiedendo che venga sospeso il provvedimento di abbattimento è stato fatto tutto il possibile dal punto di vista legale, in attesa di fare ulteriori valutazioni – conclude l’Avvocato Taccani -. Tra quelle già fatte, per esempio, è evidente la necessità di chiedere al legislatore di riconoscere formalmente la figura del "santuario degli animali", una struttura dove vengono ospitati animali scampati da destini nefasti come, appunto, il macello; un riconoscimento che porterebbe la struttura stessa ad essere maggiormente tutelata. Al momento, infatti, la Sfattoria degli Ultimi è trattata legalmente come un mero "allevamento". Non solo. Oipa Italia, da mesi, ha chiesto al Ministero competente e alle Regioni che sia sospesa la caccia in prossimità delle zone dove vi è il pericolo di peste suina africana perché la movimentazione di cinghiali potenzialmente infetti, l'utilizzo di cani nell'attività venatoria, calzature, indumenti e veicoli potrebbero concorrere alla diffusione involontaria del virus”.