Perché una nave piena di amianto è stata affondata in Brasile? Ci rispondono le Ong Shipbreaking e BAN

Il caso dell’affondamento di una nave carica di rifiuti tossici in Brasile ha fatto scalpore. Si tratta di un metodo non solo non convenzionale, ma che viola almeno tre trattati ambientali internazionali.
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Francesco Castagna 7 Febbraio 2023

Non tutte le navi affondano per motivi accidentali, in Brasile infatti lo scorso 3 febbraio è stata affondata dalla Marian brasiliana la nave SÃO PAULO nell'Oceano Atlantico. L'imbarcazione era una vecchia portaerei che inizialmente sarebbe dovuta tornare in sicurezza in una base navale, per poter recuperare il materiale riutilizzabile per altre costruzioni.

La Marina militare però si è rifiutata di rilasciare i permessi per il rientro, ignorando gli appelli delle Ong locali e internazionali. Così la sera del 3 febbraio ha posizionato degli esplosivi in prossimità dello scafo per farla finire sul fondale del mare. La motivazione ufficiale è che la SÃO PAULO costituiva ormai un pericolo per le coste brasiliane per via delle sue condizioni strutturali.

La denuncia delle ONG

L'esplosione della nave ha portato a una serie di conseguenze dal punto di vista ambientale, compreso il mancato recupero di "diversi milioni di dollari di acciaio riciclabile e altri metalli, circa 760 tonnellate di amianto pericoloso, più di 300 tonnellate di materiale contaminato da PCB (policlorobifenili) altamente tossici e altre tonnellate di vernici cariche di metalli pesanti, che senza dubbio contamineranno l'ecosistema marino nell'area della discarica per gli anni a venire", denuncia l'ONG Basel Action Network.

BAN è la sola organizzazione al mondo che si occupa di affrontare la giustizia ambientale globale in relazione all'inefficienza economica del commercio di sostanze tossiche e dei suoi impatti devastanti.

I metalli pesanti e i Policlorobifenili, ovvero tra le sostanze chimiche inquinanti organiche più persistenti nell'ambiente si disperderanno nell'ecosistema marino.

Questa volta il Brasile non ha voluto scegliere la stessa strada intrapresa anni fa con la Clemenceau, la nave gemella della SÃO PAULO, che era stata portata nel Regno Unito per essere sottoposta a un processo di riutilizzo del materiale che la componeva.

Quando la Clemenceau era stata ritrovata nel 2000, infatti, a bordo erano presenti tonnellate di materiale contaminato da PCB. Come ho appena spiegato, questo materiale è in grado di causare danni alla fauna e contaminare la catena alimentare se ingerito da pesci o da altri animali marini.

Il retroscena

A quanto pare, secondo la ricostruzione dei fatti, la nave sarebbe dovuta arrivare in Turchia, la destinazione del materiale sarebbe dovuta essere un cantiere di riciclaggio. Eppure così non è stato. Questo perché le proteste degli ambientalisti hanno indotto il governo turco a non far arrivare l'imbarcazione, per via del fatto che il Brasile si era rifiutato di fare delle modifiche ai documenti di trasporto, come richiesto e auspicato dalla ONG Shipbreaking Platform, che aveva notato "numerose discrepanze e irregolarità riguardo alle quantità di materiali pericolosi a bordo nei documenti preparati prima dell'esportazione della nave".

Il governo turco quindi ha deciso di impedire l'accesso alla nave e ha ritirato il consenso a riceverla fino a quando non fosse stata condotta una valutazione più approfondita dei rischi a bordo. Così il Brasile ha richiamato la nave nelle sue acque di competenza, come previsto dalla Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento, ma non l'ha indirizzata verso la base di Rio de Janeiro, lasciandola di fatto al largo della costa.

Dopo numerose richieste da parte del proprietario dell'imbarcazione, l'ONG Basel Action Network  racconta che "Il 13 gennaio, all'improvviso, è stato effettuato un sopralluogo che ha evidenziato la fuoriuscita di acqua dalla nave. Il comandante della nave aveva concesso circa altre 4 settimane prima che non fosse più sicuro spostarla. Ancora una volta, la Marina rifiutò di portarla al molo per la riparazione. Invece, il 20 gennaio, la Marina costrinse improvvisamente il convoglio a 200 miglia al largo, annunciando subito dopo l'intenzione di affondare la nave".

Cosa chiedono le ONG

La decisione ha destato scalpore soprattutto da parte delle ong che si aspettavano con il governo di Lula un cambio di marcia sulle questioni ambientali e un approccio più sensibile. Con una lettera aperta, decine di organizzazioni ambientaliste e sindacati di base hanno denunciato al governo che la Marina brasiliana non ha adempiuto ai propri obblighi ai sensi delle convenzioni internazionali.

Secondo le ONG inoltre, la Marina militare brasiliana si sarebbe resa complice di aver violato tre trattati ambientali internazionali:

  • il mancato riporto di una nave restituita da un movimento transfrontaliero di rifiuti interrotto nel territorio dello Stato esportatore per una gestione sicura
  • lo smaltimento di PCB in mare è una violazione della Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti
  • lo scarico di navi in mare senza averle prima ripulite dalle sostanze tossiche è una violazione della Convenzione e del Protocollo di Londra

Sulla scelta di "voler smantellare" una nave in questo modo bisogna aprire una piccola parentesi di carattere politico. Il governo di Lula è diventato operativo al culmine di questa operazione. È chiaro quindi che, una volta ricostruita l'intera vicenda, la responsabilità del nuovo esecutivo sia minima, se non nulla. In questi Paesi infatti esistono degli equilibri interni particolari, per cui a volte l'esercito ha anche più autorità del governo stesso. Si può dire quindi che più che di responsabilità politica si dovrebbe parlare di responsabilità delle forze militari.

La risposta delle ONG a Ohga

Proprio per voler capire meglio cosa è successo in uno scenario così diverso dal nostro, Ohga ha contattato le due principali Ong che si sono occupate del caso: Shipbreaking e BAN, Basel Action Network. Così Nicola Mulinaris della Shipbreaking Platform ci racconta che la modalità di smaltimento delle imbarcazioni viene sempre decisa dal proprietario.

"Per quanto riguarda le navi commerciali private è il classico armatore che decide la destinazione finale in base all'ammontare di soldi che riesce a ricevere per lo smantellamento" dice Mulinaris, e continua "Una nave come una porta container riesce a guadagnare intorno ai 10 milioni di dollari se viene venduta a un cantiere di smantellamento sulla spiaggia nel Bangladesh, e ne guadagni solo 4 o 5 se lo smantelli in maniera appropriata in Europa o in Turchia".

Le navi militari invece sono "vittime" di pressioni mediatiche e/o diplomatiche. A volte la loro gestione è esclusiva della parte militare di uno Stato, ci sono stati che decidono di non tenere navi vecchie, come l'Italia, ma preferiscono venderle al Bangladesh in uno stato in cui queste imbarcazioni sono ancora capaci di operare per alcuni anni, in modo di non dover avere grattacapi legati al riciclaggio. Quando ci sono problematiche di questo tipo, infatti, l'Italia le smantella nel proprio territorio, a Piombino.

Altri Stati invece le smaltiscono in Turchia, la Nuova Zelanda in India. La Clemenceau è rilevante perché è la nave gemella della Sao Paolo. Entrambe francesi, ma la Sao Paolo è stata venduta al Brasile, mentre la Clemenceau è rimasta di proprietà della Francia. All'epoca, ci racconta Mulinaris, la Francia aveva deciso di inviarla su una spiaggia in India per essere smantellata, si parla di poco prima del 2010.

La Ong Shipbreaking Platform, nata nel 2006, assieme a Greenpeace e altre associazioni partner è riuscita a fermare il viaggio della Clemenceau dalla Francia all'India quando era più o meno presso il canale di Suez, in Egitto.

"Jacques Chirac, l'ex Presidente della Repubblica francese, è stato obbligato a richiamare la nave in Francia. L'imbarcazione è stata sottoposta a processi di pulizia, parte del materiale tossico è stato pulito in Francia e poi la nave è finita in quartiere navale di smantellamento in Inghilterra. La Francia chiaramente ha dovuto pagare lo smantellamento", racconta Mulinaris.

La Sao Paolo invece è stata venduta al Brasile, perché il Paese voleva avere una nuova portaerei da poter usare. La cosa interessante è che la Francia, imparata la versione dalla Clemenceau, ha inserito nella clausola contrattuale di vendita il fatto che la Francia avrebbe avuto la possibilità di approvare la destinazione finale di riciclaggio della nave.

Quando il Brasile ha deciso nel 2018-2019 di disattivare la nave e indire un'asta pubblica a Rio de Janeiro (l'imbarcazione si trovava nella base navale di Niterói), ha chiesto a livello mondiale chi fosse interessato alle operazioni di smantellamento e si sono fatti avanti dei cantieri privati turchi e indiani.

"Noi abbiamo chiesto alla Francia, sapendo della clausola, di escludere cantieri navali che non sono in grado di fare il loro lavoro. Tramite azioni di lobbying abbiamo convinto il governo francese a escludere i cantieri navali localizzati in India sulla spiaggia. La Francia ci ha ascoltato, e ha stabilito che avrebbero potuto partecipare all'asta pubblica solo cantieri che sono approvati dall'Unione europea, in base al regolamento europeo sul riciclaggio navale del 2013″, racconta Mulinaris.

Il retroscena

Il team della Ong Shipbreaking Platform ci spiega che fanno parte di questa lista di cantieri approvati dall'Unione europea, in base al regolamento europeo sul riciclaggio navale del 2013.

Fanno parte di questa lista di cantieri approvati una serie di cantieri in Europa, meno di dieci cantieri in Turchia e uno negli Stati Uniti. Nessun cantiere sulle spiagge dell'Asia meridionale fa parte di questa lista. L'asta pubblica avviene con un'unica offerta da parte di un cantiere navale turco e viene fatto un inventario dei materiali pericolosi da parte di un'azienda che ha una reputazione abbastanza alta nel settore.

La società incaricata dal cantiere turco di smantellamento (proprietario / vincitore dell’asta) fa un inventario insufficiente, dove viene evidenziata la presenza di nove tonnellate e mezzo di materiali contenenti amianto. Non vengono menzionati né il mercurio, né PCB. La Marina e l'IBAMA, l'autorità ambientale brasiliana, accettano questo inventario, la Turchia autorizza l'importazione, ma il Brasile non informa tutti i Paesi che avrebbero dovuto ricevere un avviso del passaggio di questo convoglio (Spagna, Marocco, e tutti i Paesi che ci sono tra il Brasile e la Turchia). Quindi si hanno già due violazioni della Convenzione di Basilea: un inventario non preciso e il mancato avviso.

Le offerte pervenute alla Marina militare brasiliana per recuperare questa nave erano numerose, tra chi voleva trasformare l'imbarcazione in un museo e chi ha offerto trenta milioni di Reais (5,420,313.74 Euro).

Le soluzioni alternative

Sulle soluzioni alternative per poter smaltire un'imbarcazione del genere ci ha risposto Jim Puckett, Direttore esecutivo e fondatore della Rete d'azione di Basilea.

"Le navi vengono demolite in continuazione. Ci adoperiamo affinché le vecchie navi vengano riciclate correttamente in cantieri approvati e in conformità al diritto internazionale. In questo caso si trattava di ciò che era stato pianificato da molti mesi. Tuttavia, il Brasile non ha seguito correttamente le regole, fornendo una descrizione credibile dei materiali pericolosi a bordo. Così la Turchia, il Paese in cui doveva essere riciclata, ha deciso di revocare il proprio consenso iniziale in attesa di una nuova indagine. La nave è stata rispedita in Brasile per il rinnovo dei controlli, ma la Marina brasiliana si è rifiutata di riportarla nelle proprie basi navali. E poi, improvvisamente, dopo molti mesi di rimorchio in cerchio nel mare al largo della costa brasiliana, dichiararono che la nave era troppo pericolosa. La fecero rimorchiare per 200 miglia e dichiararono la loro intenzione di affondarla", spiega Puckett.

Il Direttore di BAN spera che la violazione dei trattati internazionali non diventi un'abitudine per nessuno. "L'impatto di molte centinaia di tonnellate di PCB in mare, assorbite dalla catena alimentare, sarà molto dannoso e potrebbe contaminare la pesca nella regione", conclude.