
Giovane e delicato. Con questi due aggettivi potremmo descrivere geologicamente il nostro Paese, stretto dal mare e caratterizzato da un'altimetria nervosa che, da nord a sud, mostra i segni recenti dei fenomeni geologici e naturali. Un contesto in cui si inseriscono gli effetti dei cambiamenti climatici, le precipitazioni stanno infatti modificando il proprio regime annuale, le temperature mediamente più alte aumentano l'evapotraspirazione del suolo, ed a cui bisogna sommare anche gli effetti di un'urbanizzazione spesso priva di alcune regole che rispettino l'ambiente. Sono questi gli elementi principali che ruotano attorno al dissesto idrogeologico. Ricordiamo tutti le immagini delle Marche, dell'Emilia-Romagna, della Liguria, ma anche della Sardegna, Sicilia, della Calabria. A pensarci bene non c'è alcuna regione che possa sentirsi "al sicuro" rispetto ai fenomeni di dissesto.
Un Paese dunque delicato, dicevamo, che come tale deve prevedere necessariamente periodici investimenti per la messa in sicurezza del territorio e cicliche azioni di riforma per limitare il consumo di suolo e garantire costruzioni nel rispetto dei vincoli ambientali e territoriali.
Si parla di dissesto idrogeologico quando l'azione delle acque meteoriche e di dilavamento, a seconda dell'entità dei fenomeni e dello stato pregresso dei terreni, induce cambiamenti nella morfologia del terreno. Frane, valanghe, smottamenti, infatti, sono tutti fenomeni connessi ad eventi meteo-climatici, che modificano l'aspetto del paesaggio, spesso coinvolgendo infrastrutture e manufatti.
L'Italia è un Paese piuttosto vulnerabile a fenomeni di questo tipo, non solo per la complessa e relativamente giovane natura geologica, ma anche e soprattutto perché ci troviamo in un contesto fortemente antropizzato.
A conferma di ciò, nell'ultimo rapporto ISPRA dedicato al Dissesto idrogeologico in Italia si legge che "complessivamente il 93,9% dei comuni italiani (7.423) è a rischio per frane, alluvioni e/o erosione costiera. 1,3 milioni di abitanti sono a rischio frane (13% giovani con età < 15 anni, 64% adulti tra 15 e 64 anni e 23% anziani con età > 64 anni) e 6,8 milioni di abitanti a rischio alluvioni". Le regioni con i valori più elevati di popolazione a rischio frane e alluvioni, sempre secondo il documento, sono Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Veneto, Lombardia, e Liguria, tutte zone che negli ultimi anni hanno conquistato le cronache nazionali e internazionali proprio per importanti eventi calamitosi.
Il tema è poi legato a quello del consumo di suolo: più suolo viene consumato, più ci si espone al rischio di dissesto idrogeologico e dunque i fenomeni meteoclimatici, che si prevede divengano sempre più estremi, risulteranno anche maggiormente dannosi.
Il 2023 è stato un anno record per gli eventi estremi: secondo Legambiente sono stati 378 gli eventi climatici estremi registrati nel nostro Paese, facendo segnare +22% rispetto al 2022. Un anno impegnativo dunque per l'attuale Governo che si trova a fronteggiare una perenne emergenza, segno dei tempi climatici ormai già mutati.
Tra le disposizioni ordinarie, l'impegno dell'esecutivo in carica nel fronteggiare i fenomeni legati al dissesto idrogeologico ha visto, per esempio, lo stanziamento di circa 1 miliardo di euro di risorse dedicate nella Legge di Bilancio 2023. Nello specifico, si tratta di:
Vi sono state poi diverse disposizioni di carattere emergenziale, legate ai fenomeni calamitosi che hanno colpito alcune zone del nostro Paese, tra queste Marche, Ischia, Toscana ed Emilia Romagna. Disposizioni fondamentali queste ultime, va sottolineato, eppure dovremmo cercare di uscire da una logica "emergenziale" nell'affrontare fenomeni di dissesto idrogeologico e le loro conseguenze, per non farci trovare impreparati alla vigilia di eventi che ormai non sono più straordinari. Il nostro Paese ha bisogno di una programmazione continua per fronteggiare gli effetti dei cambiamenti climatici legati al dissesto idrogeologico: obiettivo mettere gradualmente in sicurezza il Paese e salvare vite.
Il tema del dissesto idrogeologico è ovviamente legato a quello del rischio e dunque delle costruzioni. Dalla disposizione e tipologia dei manufatti deriva il rischio idrogeologico: in un luogo in cui non esistono strutture, il rischio è trascurabile. Per tutelare la vita delle persone e le attività economiche, è importante non solo calcolare il livello di rischio a cui le strutture sono esposte, ma promuovere azioni di mitigazione.
Tra queste, per le aree già edificate, vi sono un insieme di interventi strutturali e non strutturali che vanno dalle opere di ingegneria per il consolidamento dei pendii instabili e la difesa dalle alluvioni, alle delocalizzazioni, alle reti di monitoraggio strumentale e/o di allertamento, mentre nel caso di aree non ancora edificate, è fondamentale ubicare in posti sicuri le aree di nuova urbanizzazione con particolare attenzione per gli edifici strategici quali ospedali, scuole, uffici pubblici e attuare una corretta pianificazione territoriale, mediante l’applicazione di vincoli e regolamentazione d’uso del territorio (PAI), che costituisce l'azione più efficace di riduzione del rischio nel medio-lungo termine.
Esiste poi uno strumento importantissimo che è il Piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico (cosiddetto "Piano ProteggiItalia"), approvato nel febbraio 2019 e che dovrebbe delineare la governance, la ripartizione delle funzioni, il cronoprogramma delle attività e le risorse destinate (circa 14,3 miliardi di euro) per disegnare un quadro unitario sul tema e soprattutto snellire la burocrazia. La Corte dei Conti ha già sollevato numerose criticità insolute nel meccanismo di funzionamento e di monitoraggio degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico: tra tutte la scarsa capacità di spesa (sic!). Un problema che ha coinvolto tra l'altro anche recentemente il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che ha visto nella sua rimodulazione un depotenziamento della linea di intervento dedicata proprio ad interventi per la mitigazione del rischio per l’impossibilità di concludere gli interventi entro l’orizzonte temporale previsto dal PNRR (giugno 2026).
Senza un piano a regime è impossibile programmare gli interventi che il nostro Paese necessita, ma allo stesso modo bisogna mettere le amministrazioni locali nelle condizioni di poter impiegare le risorse assegnate puntando sicuramente sullo snellimento delle procedure ma anche e soprattutto sull'assunzione di personale qualificato e sul contemporaneo upskill o reskill del personale già in forza, con il fine di garantire un organico più efficiente. La sfida per la messa in sicurezza del Paese è una sfida contro il tempo e ne abbiamo già perso fin troppo.