
"Un alfabeto con cui si possono scrivere tantissimi messaggi". È così che Michela vede gli scarti di produzione, il materiale non utilizzato dalle industrie e dalle aziende. Michela è una volontaria dell'associazione di promozione sociale ‘Bi-done‘ di Lucca: un gruppo di sette donne accomunate dalla voglia di cambiare la percezione che abbiamo dello scarto. Non c'è miglior giorno di parlare con loro di oggi, 18 marzo: ovvero la data in cui si celebra la Giornata mondiale del Riciclo. Istituita dalla Global Recycling Foundation, sensibilizza dal 2018 la cittadinanza globale sui temi della tutela ambientale.
Quello di ‘Bi-done' è un progetto che compie questa missione in modo molto particolare. I materiali destinati al macero vengono recuperati dai loro luoghi di primo utilizzo, attraverso una partnership con l'azienda comunale dei rifiuti. L'associazione li raccoglie per poi disporli all'interno di un'area espositiva che gestisce all'interno di ‘Grossomodo‘, uno spazio concesso dall'amministrazione locale lucchese per progetti a fine educativo. Il risultato è una sorta di museo dello scarto. "Per noi lo scarto è bellezza", racconta Michela. "Quelli che raccogliamo sono divisi nel nostro spazio per colore al fine di farli spiccare, mostrando come quello che associamo al brutto, all'inutile può invece essere esaltante".
I percorsi delle sette donne dietro al progetto, attivo dal 2006, sono decisamente variegati. C'è chi ha fatto l'Accademia di Belle Arti, chi è laureata in Scienze Ambientali, chi è educatrice per l'infanzia. Tutte condividono uno sguardo legato alla bellezza del riciclo. "A noi piace il gusto estetico. Pensiamo che se una cosa è posizionata in un certo modo, manda già dei messaggi a chi la guarda", aggiunge Michela.
‘Bi-done' organizza inoltre laboratori nelle scuole, ma anche percorsi di formazione per insegnanti attivi nel campo dell'infanzia e della prima adolescenza. "Ma abbiamo lavorato anche con associazioni di architetti e centri di malattia psichiatrici: non siamo insomma legati a un solo tipo di utenza. L'arte parla linguaggi diversi, per raggiungere obiettivi diversi", aggiunge Michela. Parte dei materiali recuperati dall'associazione possono inoltre essere presi da scuole, associazioni, cooperative, ed essere usati per costruire nuovi oggetti, per fare i classici ‘lavoretti‘, a scopi educativi, o terapeutici. L'importante è che non siano usati a scopo di lucro, rivendendo quello che si produce.
"Noi intercettiamo scarti prima che diventino rifiuto. Sono materiali nudi, decostruiti, che hanno in loro una grande potenza", sottolinea Michela. L'associazione è nata su ispirazione del progetto Remida di Reggio Emilia, una sorta di emporio degli scarti industriali e artigianali. "Si tratta di uno dei punti più avanzati di riflessione sul riciclo e il riuso in ambito educativo ed artistico. Da loro abbiamo preso l'idea di usare il materiale di scarto, e di come questa base di partenza sia molto potente in termini di creatività", aggiunge la volontaria di ‘Bi-done'.
L'idea dell'associazione è un concetto differente della pratica del riciclo. I materiali di scarto non creano qualcosa di innovativo, ma piuttosto sono utilizzati per ragionare sui temi più disparati. In questo modo, il loro riciclo è infinito o quasi. "Quello che noi facciamo sono laboratori esperienziali. Capiamo come i materiali interagiscono con l'olfatto, il tatto, l'udito…e poi a seconda dei messaggi che vogliamo dare prendiamo strade differenti".
Insomma, da questi laboratori non si crea niente, tutto viene poi rimesso a posto sugli scaffali. Basta trovare un tema e le infinite possibilità degli scarti si mostrano. "Abbiamo fatto un percorso sul tema del fast-fashion, dal nome ‘Ri-vesto', che è finito con una sfilata, attraverso una riflessione sull'esagerazione dei nostri consumi, sull'impatto di quell'industria. Stiamo organizzando diversi incontri sul tema della sessualità, coinvolgendo ragazzi e adolescenti, insieme a una psicologa. A breve faremo una iniziativa sull‘inquinamento delle acque".
Le attività di ‘Bi-done' spiegano che lo scarto può diventare una risorsa, trasformarsi in qualcosa – non per forza di fisico – con un valore aggiunto. Si tratta di un messaggio per smettere produrre ai ritmi attuali: "Dove possiamo, serve usare quello che scartiamo. Spesso è sufficiente, e ci si può fare tantissime cose", conclude Michela.