
Industria del legname, incendi, realizzazione di allevamenti di bestiame, spazi per fare posto ad agricoltura intensiva spesso finalizzata a nutrire gli animali negli allevamenti di tutto il mondo. Questi e tanti altri fenomeni provocati da attività economiche hanno un grande, importante punto in comune: sono causa di deforestazione e di distruzione degli ecosistemi naturali in vari luoghi del mondo.
Sembra un problema relativo soltanto a determinate zone, che vivono questo fenomeno di distruzione da vicino. Invece a contribuire enormemente a questo depauperamento siamo noi. Con i nostri acquisti, le nostre abitudini alimentari, la nostra inconsapevolezza nel saper scegliere prodotti provenienti da filiere etiche o meno, noi siamo in grado di amplificare i fenomeni di deforestazione, così come potremmo riuscire forse ad attutirli.
Secondo un report pubblicato dal WWF, infatti, l’Unione Europea si attesta come il secondo importatore al mondo (subito dopo la Cina) di “deforestazione incorporata” all’interno dei prodotti, ovvero di tutti quei beni e servizi che implicano in un modo o nell’altro attività di disboscamento di alcune aree del Pianeta, rendendoci praticamente inconsapevoli di contribuire a questa situazione. Situazione che coinvolge sì le foreste tropicali, ma anche praterie, zone umide, savane e tutti quegli spazi incontaminati e ricchi di biodiversità che vengono praticamente spazzati via per lasciare spazio a coltivazioni, allevamenti, attività estrattive e a tutto ciò che possa comportare un profitto. Tutto questo, ovviamente, implica anche un aumento di milioni di tonnellate di emissioni di CO2 in atmosfera.
Sempre a detta del WWF, tra il 2005 e il 2017 sono stati otto Paesi dell’Ue, ovvero Germania, Italia, Spagna, Regno Unito, Paesi Bassi, Francia, Belgio e Polonia a generare l’80% della deforestazione delle zone tropicali connessa all’esportazione.
Così, di ciò che noi importiamo serenamente nei nostri territori, alimenti e beni di consumo che consideriamo imprescindibili, esiste un dietro le quinte piuttosto inquietante, che è ora che venga alla luce.
Per questa ragione, infatti, la Commissione europea sta lavorando a una proposta legislativa che dovrebbe separare le importazioni in Ue dalle attività di deforestazione, risolvendo o per lo meno arginando il problema alla base, quindi non consentendo l’acquisto entro i confini comunitari di produzioni per realizzare le quali sono state promosse pratiche di disboscamento e distruzione degli ecosistemi. Il testo verrà presto sottoposto al Parlamento europeo e agli Stati membri, arricchito anche da una check list stilata dallo stesso WWF e articolata in otto punti, riportati qui sotto:
1. I prodotti e le materie prime introdotti nel territorio europeo devono risultare sostenibili, oltre a essere stati prodotti legalmente in base alle leggi del paese d’origine.
2. Il campo di applicazione della norma comunitaria deve comprendere anche la conversione e il degrado degli altri ecosistemi naturali, oltre alla deforestazione e al degrado delle foreste naturali.
3. La nuova legislazione, sulla base di criteri oggettivi e scientifici, deve riguardare sia materie prime che loro trasformazioni potenzialmente legate alla conversione o al degrado delle foreste e degli ecosistemi naturali.
4. Nessuna violazione dei diritti umani deve essere legata alla raccolta o produzione di materie prime immesse sul mercato dell'UE.
5.Vengano introdotti requisiti obbligatori per le imprese e il settore finanziario, per garantire la due diligence, la tracciabilità delle materie prime e la trasparenza della catena di approvvigionamento.
6. Vengano fornite definizioni chiare dei termini e dei concetti utilizzati nella legislazione.
7. La nuova legge deve essere applicata e fatta rispettare rigorosamente in tutti gli Stati membri dell'UE, con sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive.
8. La normativa deve prevedere altre misure, aggiuntive e complementari, per affrontare la distruzione e il degrado delle foreste naturali e di altri ecosistemi naturali.