L’urgenza di mettere le periferie al centro del Pnrr (e non solo). Intervista a Vittorio Cogliati Dezza di Legambiente

Il Pnrr e nuove politiche pubbliche possono migliorare notevolmente le condizioni di vita delle periferie. Serve puntare su mobilità, aree verdi e riqualificazione energetica, aiutando inoltre i cittadini a sfruttare le opportunità e gli incentivi varati per finanziare la transizione ecologica. Questo l’appello lanciato da Legambiente, Forum Diseguaglianze Diversità e Forum Terzo Settore in un convegno dedicato proprio alle aree periferiche. Ne abbiamo parlato con Vittorio Cogliati Dezza, membro della segreteria nazionale di Legambiente e del Forum Diseguaglianze Diversità.
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Michele Mastandrea 3 Maggio 2022
Intervista a Vittorio Cogliati Dezza Segreteria nazionale di Legambiente e membro del Forum Diseguaglianze Diversità

Lo sviluppo economico e sociale delle periferie è fondamentale, sarai d'accordo. È necessario affinché la transizione ecologica e il cambiamento del nostro stile di vita in senso sostenibile non riguardi solo le aree più benestanti. Sostenere le periferie significa dunque portare reddito e servizi in aree storicamente svantaggiate, e che oggi anche grazie alle novità in campo di tecnologia e politica energetica possono fare grandi passi avanti.

Questo il senso del convegno svoltosi martedì scorso a Roma, dal titolo "Le periferie urbane. Dagli interventi straordinari alle politiche ordinarie", organizzato da Legambiente, Forum Disuguaglianze Diversità e Forum Terzo Settore. Abbiamo intervistato Vittorio Cogliati Dezza, della segreteria nazionale di Legambiente e membro del Forum Diseguaglianze Diversità, per approfondire alcuni dei temi discussi nell'incontro.

Dottor Cogliati Dezza, perchè il Pnrr dovrebbe puntare di più sulle periferie?

Il Pnrr, a causa degli stretti tempi che ha per realizzare i suoi progetti, sta utilizzando molti piani pre-esistenti. Ma quello che paradossalmente è messo in luce dall'accelerazione che il piano richiede, è una debolezza storica delle politiche pubbliche nei confronti delle periferie. Manca un punto di coordinamento. Anche nell'ambito del Pnrr troviamo una quota di finanziamenti gestita dal ministero dell'Interno, una dal Ministero per la Mobilità Sostenibile…emerge l'assoluta urgenza di accentrare presso un singolo Ministero le politiche urbane. Questo è uno degli elementi emersi dal convegno di martedì scorso, e non è secondario: perché se il Pnrr deve entro breve realizzare progetti validi sul piano della transizione ecologica, ma anche dell'innovazione sociale, avere un'unica cabina di regia sarebbe fondamentale. Ma questo è solo uno dei fattori alla base delle politiche urbane.

Esiste la necessità di "ripensare" queste ultime?

Dal convegno è emersa una serie di indicatori di qualità di cui tenere conto per governare le politiche urbane, in cui gli aspetti ambientali e sociali sono strettamente connessi. Uno di questi indicatori, parlando ad esempio di rigenerazione urbana, ovvero dell'obiettivo globale e complessivo di questi progetti, è che non si tratta di fare solo una riqualificazione fisica degli spazi, o di limitare il consumo di suolo. Serve ad esempio garantire l'accesso alla mobilità sostenibile anche in periferia: in quasi tutte le città metropolitane bike-sharing, car-sharing, piste ciclabili, colonnine per la ricarica elettrica, si trovano solo nel centro. Bisogna tenere insieme aspetti diversi, integrando servizi e azioni per la qualità della vita delle persone. Un buon abitare non dipende solo dall'avere una casa, ma anche dalla qualità dell'abitazione, e dunque dalla necessità oggi di inserire  – come ad esempio nel superbonus 110% –  l'efficientamento energetico degli edifici nella strategia di lungo periodo del Paese. Cosa che ci consentirebbe indipendenza dalle fossili e riduzione delle emissioni, come richiesto dalla Ue.

C'è poi anche un discorso più ampio di contesto, relativo ai quartieri.

Efficienza energetica, oppure disponibilità di casa, sono aspetti che si inseriscono in contesti più grandi. Dove serve fornire accesso alla mobilità, ma anche procedere nella riqualificazione del verde pubblico, per rendere le periferie più resilienti rispetto alle ondate di calore che si ripresentano tutte le estati. E ancora, come esplicitato anche dal dramma della pandemia, è importante che la qualità dell'abitare sia legata a un sistema di prossimità, di relazioni umane che si svolgono sul territorio. Servono negozi di vicinato, servizi sociali e sanitari a 15 minuti, scuole, centri culturali…serve ripensare il quartiere dandogli centralità, dotandolo di tutta una serie di funzioni che rendono la vita collettiva migliore, agendo sulle fragilità economiche e sociali e sulle disparità di reddito. Anche dove il reddito è scarso, se c'è una casa efficiente a livello energetico, inserita in un quartiere con una vita ricca di relazioni e servizi, la vita diventa molto migliore.

Ma il Superbonus110% che impatto ha avuto nei quartieri periferici?

Il 110% permette di riqualificare a livello energetico il proprio edificio anche alle famiglie incapienti, attraverso la cessione del credito ad esempio. Il problema è che non basta mettere in campo le misure giuste: vanno anche disegnate nel modo giusto. Il Superbonus 110% sta avendo un grande successo nelle aree occupate dai ceti medi benestanti e scarsissimo nelle periferie, per due ragioni. La prima è che chi ha difficoltà di arrivare a fine mese difficilmente si mette in un rapporto con le banche e con le imprese per riqualificare il suo edificio. Avrebbe bisogno di un accompagnamento: sulla misura del 110%, quello che abbiamo denunciato è che sarebbe stato importante avere delle agenzie territoriali che aiutassero le persone in difficoltà economica a sfruttarlo. La seconda ragione è che i tempi che il governo ha deciso di dare al 110% sono troppo stretti per il mondo delle case popolari. Parlo di tutti gli enti pubblici che gestiscono le case e hanno tempi più lunghi per riqualificarle. Ci sono pochi esempi virtuosi, ad esempio l'Azienda casa di Ferrara usa insieme diversi strumenti, così che la riqualificazione dell'edificio vada di pari passo con quella del quartiere, tenendo la casa dentro il suo contesto territoriale e sociale dentro cui si colloca. I tempi entro cui vanno realizzati i lavori restano comunque troppo stretti.

Eppure sulle rinnovabili qualcosa si muove.

Uno dei pochi effetti positivi della crisi energetica legata a questa guerra è aver sbloccato progetti fermi dal 2013. Sono segnali positivi che vanno nella direzione giusta, anche se non capiamo perché il Pnrr finanzi la creazione di comunità energetiche solo nei piccoli comuni sotto i 5mila abitanti, quando in realtà le esperienze più rilevanti in questo senso sono in ambito urbano. Le comunità energetiche sono uno degli strumenti per risolvere i problemi dell'indipendenza energetica e della de-carbonizzazione, servirebbe allora che queste misure entrino a far parte più organicamente nella cultura di governo del Paese. Oggi siamo di fronte a una situazione che richiede una risposta straordinaria, ma anche ripensare il territorio in funzione di questa novità. Puntando sulle comunità energetiche, ma anche sulla costruzione di impianti fotovoltaici, eolici, e non solo, che possano aumentare la produzione da rinnovabili. Importante però è anche coinvolgere i territori, senza fare l'errore di decidere centralmente, senza discutere con i territori la collocazione delle opere.