Dall'insalata mista che hai scelto per contorno, al frutto che hai mangiato dopo pranzo, tutto ciò che viene coltivato nei campi cresce grazie alla presenza di tre elementi principali: azoto, fosforo e potassio. L'azoto, ad esempio, si trova soprattutto nell'aria, mentre in acqua e suolo viene conservato sotto forma di nitrati e nitriti. Trattandosi di un composto altamente volatile, le radici delle piante non sono in grado di assorbirlo in percentuali elevate. Da qui, la necessità di aumentarne la concentrazione nel terreno attraverso l'uso di prodotti industriali: i fertilizzanti. Oggi, metà della produzione agricola mondiale dipende dalla capacità di addizionare artificialmente questi tre nutrienti.
Ma le necessità economiche si sono scontrate con la geopolitica. I primi produttori al mondo di fertilizzanti a base di azoto e potassio sono Russia, Bielorussia e Ucraina. Con lo scoppio della guerra, i prezzi sono schizzati alle stelle arrivando anche a un più 140%. Le ripercussioni si sono fatte sentire un po' ovunque, ma soprattutto in quelle aree che più direttamente dipendevano dalle importazioni, come l'Africa sub-sahariana e pure l'Unione europea. Mosca rimane tuttora il primo polo di approvvigionamento di fertilizzanti per l'Europa, ma il volume di import è calato del 15%. Ancora meno acquistiamo dall'Ucraina, da cui abbiamo dimezzato le quantità, mentre la Bielorussia ci ha potuto vendere solo il 20% di quanto faceva prima dell'invasione.
In tema di fertilizzanti la soluzione dell'Europa è la stessa che per il gas: troviamo altri fornitori. E così, abbiamo aumentato le importazioni dall'Argentina (+60%) e dal Canada (+41%).
I Paesi più poveri dell'Africa, invece, si sono ritrovati con le spalle al muro. I fertilizzanti sono fondamentali in territori ad alta percentuale di desertificazione e dove le infrastrutture agricole scarseggiano. Secondo un report dell'Integrated Food Security Phase Classification (IPC), la difficoltà di reperimento di queste sostanze aumenta il rischio di insicurezza alimentare per 205 milioni di persone in tutto il continente. Di questi, 4 milioni abitano in Malawi, dove però stanno provando a ottimizzare le risorse che la natura mette loro a disposizione. Una in particolare, l'urina umana.
"I fertilizzanti a base di urina umana funzionano, perché sono ricchi dei tre nutrienti fondamentali, sebbene la loro concentrazione sia molto diluita: 10% di azoto, 2,5% di potassio e 1% di fosforo", conferma il professor Marco Trevisan, Preside della facoltà di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza. Con l'etichetta di fertilizzanti bionitrati, questi prodotti si stanno diffondendo tra i contadini di Malawi e Burkina Faso e vengono confezionati da aziende locali, come la Environmental Industries, fondata nel 1996 da un laureato alla Lilongwe University of Agriculture and Natural Resources.
Ma l'Africa non è l'unica parte del mondo dove si sono accorti di avere una risorsa direttamente in casa. A ottobre 2022, la Francia ha immesso sul mercato il primo fertilizzante al mondo a base di urina umana prodotto in Europa, dopo aver ricevuto il via libera dall'Autorità nazionale per la sicurezza sanitaria degli alimenti. E non è nemmeno una novità che gli scarti liquidi degli animali, uomo compreso, nascondano dei benefici per i campi: già oggi l'urea derivante dagli allevamenti è tra i concimi più diffusi ed efficaci. Uno dei segreti sta nelle caratteristiche che permettono una migliore assimilazione dei nutrienti da parte delle radici, riducendo quindi la quantità di prodotto impiegato e il rischio di dispersione nell'ambiente.
"Le sostanze presenti nel terreno devono essere disciolte in acqua affinché le piante le assorbano – prosegue il professor Trevisan, – ma alcune di queste assumono una forma chimica che non permette la completa assimilazione. Accade, ad esempio, al fosforo: quello presente nell'urina è più facilmente biodisponibile".
Dunque, si può fare. Inserire gli scarti umani in un sistema di economia circolare che ne permetta il riutilizzo nella filiera di produzione alimentare, garantendo un parziale risparmio delle risorse idriche che a causa della crisi climatica diventano sempre più preziose anche in Italia.
Ma allora la soluzione era nel nostro bagno? Non proprio. Prima di poter usare l'urina nei campi, ci sono diversi punti da chiarire, dalla raccolta alla normativa sulla gestione dei rifiuti.
L'urina deve essere prelevata completamente a secco, senza ulteriore acqua che la diluisca, come invece accade con il sistema di scarico tradizionale. Il liquido deve inoltre essere privo di residui di farmaci e tenuto ben separato dalle feci. In Malawi la raccolta avviene direttamente nelle case, come spiega Fairplanet.org, da dove l'urina viene destinata a contenitori chiusi nei quali avvengono processi chimici che trasformano lo stato da acido ad alcalino, attenuando il problema dei cattivi odori e ottenendo una soluzione adatta alla fertilizzazione.
"In Italia lo vedo possibile nei bagni pubblici o nelle stazioni di sosta lungo l'autostrada, più che nelle abitazioni. Sicuramente è necessario sviluppare un metodo standardizzato che separi, ad esempio, le persone che assumono medicinali e che prevenga la presenza di patogeni", specifica Trevisan.
Oggi ne produciamo troppo poca. La Toopi Organics, in Francia, può contare su appena 400mila litri all'anno: "È una quantità risibile, vuol dire che partecipano circa 550 persone. Con questo ritmo diventa complicato espandersi sul mercato". In Svezia, invece, è partito un progetto pilota che coinvolge solo 44 appartamenti.
E rimane fondamentale la questione prezzo. Sebbene l'urina presenti le principali sostanze di cui sono fatti i fertilizzanti, le percentuali sono più basse: o si trova un modo per far evaporare la parte liquida e aumentare la concentrazione dei nutrienti, o si adeguano i prezzi. In caso contrario, sarà difficile risultare competitivi sul mercato.
E quando avremo risolto raccolta e prezzo, dovremo adeguare anche la legislazione: "Il rischio è che venga considerato commercio illegale di rifiuti", avverte il professor Trevisan.
Ciò che non risolveremo invece con questo sistema è l'utilizzo scorretto dei fertilizzanti, che devono essere distribuiti solo in specifici periodi dell'anno e in quantità pari a quelle che le colture possono assimilare. "Con l'agricoltura di precisione, la fertilizzazione e la concimazione seguono meglio i cicli naturali". Da un lato abbiamo una risorsa che tutti produciamo, dall'altro lato prodotti che dipendono dalle importazioni e una scorta idrica in forte difficoltà. Se non altro, vale la pena tentare.