Malattia del cervo zombie: quali sono i sintomi e che rischi ci sono per l’uomo

Negli Stati Uniti sono ormai centinaia i casi di malattia da deperimento cronico, meglio nota come malattia del cervo zombie. Si tratta di una patologia neurologica causata da prioni che porta gli animali infetti a sbavare in maniera eccessiva, a muoversi con difficoltà e con sguardo perso. Ad oggi non sono stati registrati casi di infezione umana ma gli scienziati vogliono tenere alta la soglia dell’attenzione.
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Kevin Ben Alì Zinati 22 Febbraio 2024
* ultima modifica il 22/02/2024

Decine che sono diventate in fretta diverse centinaia. Per questo i casi di malattia da deperimento cronico (o CWD) stanno cominciando a mettere in allarme più di uno stato americano.

Più comunemente nota come “malattia del cervo zombie”, si tratta di una patologia neurologica che sta seriamente minacciando la popolazione dei cervi statunitensi e che si tema possa arrivare anche all’uomo.

Provocata da prioni, ovvero proteine mal ripiegate capaci di propagare l'anomalia a quelle sane, la malattia da deperimento cronico è mortale nel 100% dei casi e porta gli animali che la contraggono a sbavare, a procedere in maniera instabile e claudicante e a mostrare uno sguardo spaesato.

I timori che possa oltrepassare i confini del mondo animale ed arrivare a noi trova fondamento in test di laboratorio in cui è stato dimostrata l’infezione di cellule umane sebbene comunque ad oggi il salto di specie non sia stato ancora verificato concretamente.

Da dove parte l’allarme

Il primo caso di questo mini focolaio di malattia del cervo zombie è stato registrato a novembre 2023 nel Parco Nazionale dello Yellowstone. Si trattava di un cervo mulo, la cui carcassa era stata individuata dai ranger del Wyoming Game and Fish Department in corrispondenza delle rive del lago Yellowstone.

Nel giro di poco tempo i numeri sono esplosi, arrivando a ben 800 cervi e alci positivi alla CWD registrati nel solo Stato del Wyoming. I Centers for Disease Control and Prevention statunitensi hanno poi confermato la presenza della malattia in 414 contee di 31 diversi Stati americani.

I sintomi

Come ti accennavo all’inizio, i sintomi della malattia da deperimento cronico sono abbastanza evidenti.

Gli animali infetti presentano una salivazione eccessiva e intensa e difficoltà nei movimenti: claudicano, inciampano ripetutamente, si muovono in maniera disorientata e con uno sguardo lento e perso.

Ad oggi non abbiamo trattamenti a disposizione contro questa malattia e nemmeno vaccini. Per di più, la malattia ha una prognosi estremamente infausta con il 100% di mortalità.

Rischi per l’uomo? 

Di fronte al dilagare di queste infezioni è inevitabilmente salita la paura. Inevitabile perché, reduci da tre anni di pandemia, ogni malattia animale che abbia anche la più piccola possibilità di passare all’uomo spaventa e preoccupa.

Come ti dicevo all’inizio, però, non ci sono casi umani di malattia da deperimento cronico: i Cdc statunitensi raccontano solamente di studi che dimostrano come il prione responsabile della CWD sia stato in grado di infettare sperimentalmente le scimmie scoiattolo e topi caratterizzati da geni umani.

Un altro studio del 2009 non ancora pubblicato in letteratura scientifica sta ancora valutando se la malattia possa essere trasmessa ai macachi, un tipo di scimmia geneticamente più vicino all’uomo.

Nel 2017 una parte di letteratura scientifica ha fatto cenno di casi di trasmissione di CWD alle scimmie nutrite con carne infetta (tessuto muscolare) o tessuto cerebrale di cervi o alci infetti ma i dati pubblicati sul Journal of Virology nel 2018 non mostravano una trasmissione efficace ai macachi.

Il dato di fatto è che oggi non esistono prove concrete di casi di malattia del cervo zombie negli esseri umani così come non è noto se le persone possano contrarre o meno l’infezione dai prioni.

Questo, però, non significa che possiamo dimenticarcela e non prestarvi attenzione muovendoci nella direzione della massima prevenzione possibile. SarS-CoV-2 insegna.

Motivi di preoccupazione 

Gli scienziati hanno comunque più di un motivo per alzare la soglia di attenzione. Molti sono legati ai contatti già esistenti tra uomini e animali potenzialmente infetti per via delle attività di caccia. Secondo i dati, nel 2017 sarebbero stati consumati tra i 7mila e i 15mila animali infetti da CWD, con proiezioni che indicano un aumento annuo del 20%.

Ciò significa che in zone, come il Wisconsin, dove la prevalenza della CWD è elevata è plausibile pensare che migliaia di persone possano o aver consumato involontariamente carne di cervo infetto.

La capacità dei prioni di propagare la propria anomalia anche alle cellule sane preoccupa i ricercatori perché rende queste proteine particolarmente resistenti ai tradizionali metodi di disinfezione come la formaldeide, le radiazioni e l’incenerimento a temperature estreme e capaci dunque di persistere a lungo nell’ambiente.

Samuel J. White e Philippe B.Wilson dell’Università Nottingham, in un articolo su The Conversation hanno ammesso la possibilità di portare questi prioni dentro le proprie case anche solo camminando nei luoghi in cui vivono i cervi malati.

Oltre alle preoccupazioni immediate per la salute umana ci sono anche quelle di natura ecologica ed economica. Ti basti pensare che la caccia al cervo è una fonte vitale di sostentamento per molte comunità.

Gli elementi acquisiti sinora dagli scienziati escludono tuttavia il contagio dall'animale all'uomo: non ci sono prove di trasmissione anche in presenza di consumo di carne proveniente da un animale malato.

Fonti | Cdc; AdnKronos

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