Matteo, soccorritore volontario in ambulanza a Milano: “Il 90% delle chiamate riguardano casi di Covid-19”

Un giovane volontario ci offre una testimonianza diretta di cosa significhi lavorare come soccorritore in ambulanza a Milano nel periodo Coronavirus.
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Sara Del Dot 2 Aprile 2020
* ultima modifica il 22/09/2020

Ha 31 anni, lavora come ingegnere e trascorre il martedì notte a bordo di un’ambulanza, a disposizione di chiunque chiami il 112. Volontario soccorritore della Onlus Croce d’Oro di Milano, Matteo Mossinelli quest’attività ce l’ha nel sangue. Mamma infermiera, padre e zio volontari nella stessa associazione, da oltre dieci anni soccorre le persone in seguito alla segnalazione delle chiamate effettuate ai numeri di emergenza. Chiamate che, negli ultimi mesi, riguardano soprattutto casi accertati o sospetti di Covid-19.

“Il numero dei servizi che facciamo ogni notte non è aumentato particolarmente, ciò che è cambiato la causa. Il 90% delle chiamate che riceviamo riguardano il Coronavirus. L’arrivo del Covid-19 in Italia, infatti, ha cambiato diversi aspetti della vita dei soccorritori, che rimangono le prime persone che i pazienti vedono quando chiedono aiuto, e quindi le persone che prima di tutti devono fornire risposte e rassicurazioni. Contatti ridotti al minimo, moltissime misure di autoprotezione e di protezione del paziente e soprattutto la necessità di spiegare ai familiari che non potranno accompagnare il loro caro in ambulanza e nemmeno andare a visitarlo in ospedale durante la degenza.

Un lavoro complesso, emotivamente pesante ma che va fatto, e va fatto con passione, professionalità e sicurezza. Sicurezza che a tutti gli operatori viene garantita grazie anche alla collaborazione con Anpas (Associazione nazionale pubbliche assistenze) che fornisce materiali e supporto psicologico e Areu, Agenzia Nazionale Emergenza Urgenza.

Le informazioni fornite su www.ohga.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.