Mentre il fast fashion si scontra in tribunale, cosa sta facendo l’UE per combattere l’impatto dell’industria tessile?

Manca un mese dall’inizio del periodo dei saldi estivi e un altro colosso del fast fashion è entrato nel mercato della moda a portata di tutti: Temu. Ma cosa sta facendo l’Unione Europea per limitare l’impatto del settore tessile?
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Francesco Castagna 7 Giugno 2023

Non hanno fatto in tempo a capire in che modo una società potrebbe togliere mercato all'altra che hanno già deciso di vedersela in tribunale. Stiamo parlando del colosso dell'ultra fast-fashion Shein e della nuova piattaforma cinese Temu, che ha già trovato un ampio riscontro positivo in America.

A dicembre del 2022 infatti Shein aveva portato la neo-società di fronte a un tribunale federale degli Stati Uniti, accusandola di aver pagato alcuni influencer per fare disinformazione sui suoi prodotti. Temu, come prevedibile, ha respinto tutte le accuse. Oltre al fatto di cronaca, ciò che rimane è il modello di produzione insostenibile di entrambe le società del fast fashion.

Se infatti per Temu è ancora presto per avere dei dati ufficiali sull'impatto ambientale della filiera produttiva, per Shein esistono diversi report online che negli ultimi anni hanno segnalato come la società cinese abbia contribuito all'impatto ambientale dell'industria della moda. Utilizzando poliestere vergine e petrolio Shein produrrebbe la stessa quantità di CO2 di 180 centrali elettriche a carbone, secondo il rapporto Synthetics Anonymous 2.0 sulla sostenibilità della moda.

Nel Rapporto sull'Impatto di Sostenibilità di Shein, il marchio afferma che sta "attualmente analizzando il consumo di energia e stabilendo obiettivi per l'utilizzo di energia rinnovabile nelle nostre attività. Non vediamo l'ora di divulgare pubblicamente i calcoli delle nostre emissioni di gas serra di base". Ma dal report Synthetic Anonymous emerge che Shein fa parte di un gruppo di otto marchi che non hanno obiettivi climatici pubblicati online.

Inoltre, un'indagine di Greenpeace Germania ha mostrato come il colosso cinese utilizzi "il 15% dei prodotti SHEIN contiene concentrazioni di sostanze chimiche pericolose che superano i limiti normativi dell'UE".

Tutto ciò si traduce, secondo il record, in circa 6,3 milioni di tonnellate di anidride carbonica all'anno. Numeri che sono ben al di sotto dell'obiettivo previsto dalle Nazioni Unite, che nella Carta dell'Industria della Moda per l'Azione per il Clima prevede una riduzione delle emissioni globali di CO2 entro il 2030 pari al 45%.

Cosa sta facendo l'Unione Europea

Dell'impatto dell'industria tessile in Europa se ne discute molto, ma prima bisogna fare una premessa importante: non è sempre vero che il costo economico di un capo sia collegato necessariamente a una scarsa qualità o a scarse tutele dei diritti dei lavoratori, l'utilizzo dei dati e dei magazzini che consentono che il prodotto venga consegnato direttamente al consumatore permettono di abbassare notevolmente il costo dei beni. Di questo ne ha parlato anche la professoressa/assistente Bolor Amgalan dell'università Northeastern University, a Boston. Secondo la docente infatti, l'ubicazione del produttore può dire molto sulle sue pratiche commerciali. In Cina infatti il costo della produzione è molto più alto rispetto a Paesi come il Bangladesh, lo Sri Lanka, il Sud-est asiatico o il Vietnam, poiché esistono delle leggi in materia di salario minimo e condizioni di lavoro sicure.

Secondo le stime dell'Unione europea, la produzione tessile è responsabile di circa il 20% dell'inquinamento globale delle acque pulite dovuto ai prodotti di tintura e finitura. Inoltre, si legge in un comunicato di Bruxelles "Secondo l'Agenzia europea dell'ambiente, nel 2020 gli acquisti di prodotti tessili nell'UE hanno generato circa 270 kg di emissioni di CO2 a persona. Ciò significa che i prodotti tessili consumati nell'UE hanno generato emissioni di gas serra per 121 milioni di tonnellate".

L'Unione europea sta adottando una nuova strategia che mira al riuso, alla riparazione, al rendere i prodotti tessili più durevoli e al riciclo. Nel marzo 2022 ha adottato un piano in cui sono previsti nuovi requisiti di progettazione ecocompatibile dei prodotti tessili. Il 1° giugno 2023 poi il Parlamento UE ha presentato alcune proposte "per l'adozione di misure più severe da parte dell'UE per arrestare la produzione e il consumo eccessivi di prodotti tessili". In sostanza gli eurodeputati chiedono che i prodotti tessili siano realizzati "nel rispetto dei diritti umani, sociali e del lavoro, nonché dell'ambiente e del benessere degli animali".

Attualmente nel mercato europeo esistono alcune tutele come:

  • l'obbligo entro il 2025 di raccogliere separatamente i prodotti tessili
  • un marchio Ecolabel che i produttori che rispettano i criteri ecologici possono applicare agli articoli
  • misure per mitigare l'impatto dei rifiuti tessili sull'ambiente, come Resyntex, un progetto che riutilizza il riciclo chimico