
Si fa presto a dire idrogeno. In molti, inclusa l'Unione Europea, scommettono su questo vettore energetico per supportare la transizione ecologica e nel Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, è contenuto un focus specifico. Ma perché tutto questo interesse? Semplice, l'idrogeno è considerato un vettore utile, per esempio, per ridurre le emissioni nel settore dei trasporti. Ma soprattutto può svolgere un ruolo importante nella decarbonizzazione di alcuni settori definiti hard-to-abate, cioè caratterizzati da un'alta intensità energetica (e quindi molto inquinanti) e privi di opzioni di elettrificazione scalabili, come l'industria dell'acciaio o quella del cemento.
C'è solo un problema: produrlo non è semplice. L'idrogeno infatti non è disponibile sulla Terra allo stato elementare (simbolo chimico H2), ma è presente solamente in combinazione con altri elementi. Vedi il caso dell'acqua (H2O) e degli idrocarburi (i composti che iniziano con "CH", come il metano, detto anche gas naturale, il cui simbolo chimico è per l'appunto CH4).
Non staremo qui a dilungarci sui dettagli tecnici. Ti basta sapere che attualmente la maggior parte dell'idrogeno a livello globale viene prodotto attraverso un processo chiamato steam reforming del metano. C'è poi l'elettrolisi dell'acqua, ossia il processo di scomposizione dell'acqua in ossigeno e idrogeno gassoso. Il punto è che per produrre in questo modo l'idrogeno è richiesto un notevole quantitativo di energia elettrica. Ed è proprio in base alla provenienza dell'energia elettrica utilizzata che vengono assegnati dei "colori" all'idrogeno. Andiamo a vedere quali sono.
È l'idrogeno più "sporco", quello da evitare se vogliamo contrastare in maniera adeguata la crisi climatica, perché per il processo di elettrolisi dell'acqua viene impiegata energia elettrica proveniente da centrali a carbone o a gasolio.
A livello di emissioni di CO2 la sostanza cambia poco rispetto al colore precedente, perché rimaniamo nel campo del fossile. Come dicevamo prima, il metano costituisce oggi la fonte primaria per la produzione di idrogeno. Che in questo caso viene definito grigio, perché nel processo di steam reforming viene rilasciata anidride carbonica nell'atmosfera, contribuendo così al problema del riscaldamento globale.
L'idrogeno blu per certi versi è simile all'idrogeno grigio, perché si basa sugli stessi processi di reforming del gas naturale. In questo caso però il processo di produzione viene integrato con sistemi di cattura e stoccaggio della CO2 (in sigla CCS, o CCUS) che viene generata durante il processo stesso.
L'idrogeno verde rappresenta la soluzione migliore dal punto di vista della tutela ambientale. Per l'elettrolisi dell'acqua viene infatti utilizzata l'energia elettrica proveniente da strutture che sfruttano fonti rinnovabili, come centrali idroelettriche, impianti eolici e fotovoltaici.
In questo caso il processo di produzione dell'idrogeno tramite elettrolisi dell'acqua viene alimentato con l'energia elettrica fornita dalle centrali nucleari. Anche l'idrogeno viola, come quello verde, sarebbe teoricamente un idrogeno "pulito", o comunque a basse emissioni di carbonio. Ma sul ruolo che può ricoprire l'energia nucleare all'interno della transizione ecologica c'è molto dibattito. Oltre al tema delle scorie da smaltire c'è quello dei costi, che per questo tipo di tecnologia sono tutt'altro che irrilevanti.